Di James S. Grotstein Titolo originale: A Beam of Intense Darkness. Wilfred Bion’s Legacy to Psychoanalysis Karnak Book, London , UK Anno: 2007. Tr. It. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010. Traduzione: Isabella Negri. Pagg. 401. Euro: 37,00 ISBN:978-88-6030-316-5.
La lettura dell’opera di Bion risulta di solito molto perturbante, soprattutto per uno psicoanalista. E’ proprio per questo che bisogna apprezzare molto questo lavoro di James S. Grotstein, psicoanalista e psichiatra presso la David Geffen School of Medecine della University of California, nonché ex-paziente di Bion stesso, nel suo tentativo di produrre un compendio ragionato dell’opera del suo maestro. Tale tentativo ha lo scopo di re-interpretare il pensiero di Bion (che, ricordiamo, fu tra l’altro l’analista di Samuel Beckett) e i suoi multiformi concetti teorici, tutti sempre tesi a rendere più chiaro l’oggetto della conoscenza (e della cura) psicoanalitica, e cioè: la Verità Emotiva. Essendo perturbante leggere i testi di Bion, questo Perturbante riverbera ovviamente anche nel testo di Grotstein, per esempio quando afferma che l’analisi è una forma di “’esorcismo’, tramite il quale si trasferiscono i demoni dell’analizzando all’analista (o dal bambino alla madre)” (pag. 57). Oppure, sempre su questa linea, quando dice: “L’analista, come la madre fa per il bambino, assorbe il dolore del paziente, ‘diventando’ l’analizzando/bambino (nella fattispecie ‘diventando’ lo stato emotivo della mente del secondo) e permettendogli di diventare parte di sé” (pag. 57). Come si vede, Grotstein sta parlando di fenomeni di “contagio psichico” necessari perché un’analisi abbia luogo, fermi restando tutti gli altri prerequisiti “concreti” (e anti-fusionali) perché essa abbia luogo (il lettino, l’orario sempre uguale delle sedute, le associazioni libere, il pagamento dell’onorario e così via). Sul tema del contagio, del “diventare” lo stato mentale dell’altro, Grotstein picchia il chiodo nel corso di tutto il volume, reinventando a suo modo il concetto bioniano di “Trasformazione in O”, dove ‘O’ sta per “Verità assoluta”, o “Realtà Ultima” (stiamo parlando “Realtà” e “Verità” emotive, psichiche, attenzione), e che Grotstein preferisce rinominare, con sottile distinguo filosofico: “Verità assoluta sulla Realtà ultima”. Si tratta di una concezione che possiede un suo particolare sapore religioso, mistico, che soprattutto nell’ultimo Bion diventa Inconscio come Immanenza Assoluta che si incarna nel singolo, e che si estrinseca nel percorso analitico (queste posizioni divinizzanti dell’Inconscio sono state ostracizzate e sono tuttora criticate e negate dai suoi colleghi kleiniani della Società Britannica di Psicoanalisi). Pur avendo una struttura quasi “matematica”, cioè toccando tutti i temi nodali dell’opera di Bion, in ordine quasi cronologico di apparizione (dalla tecnica coi suoi pazienti ai gruppi, dalla funzione alfa al contenitore«contenuto, dalla Griglia alla Caesura della vita fetale, dalla riformulazione del pensiero kleiniano nella famosa triade L (love), H (hate), K (knowledge), al tema della “fede”), il libro di Grotstein è in realtà una lunga associazione libera dell’Autore, intrisa di passione, e tesa soprattutto a rendere vivamente qual è stata la sua esperienza di analisi con Bion, a partire dalla quale è partito un percorso di conoscenza e approfondimento del pensiero di Bion da parte dell’Autore stesso. Il pregio di questo libro sta esattamente qui: è una “Trasformazione” onirica del pensiero di Bion effettuata da un altro analista che ha avuto la non comune fortuna di aver fatto un’analisi con lui. Non è cioè una “spiegazione” della teoria bioniana. E’ il sogno di un sogno. Per un analista di oggi è per esempio molto interessante leggere alcune interpretazioni (inedite) di Bion date durante l’analisi di Grotstein, avvenuta negli Stati Uniti. E’ interessante perché si coglie come Bion avesse integrato a sua volta, ed elaborato, la teoria kleiniana in modo assolutamente originale, “trasformando oniricamente”, “sognando” anche lui tale teoria. Ecco per esempio un bellissimo (esteticamente, poeticamente) stralcio di seduta, tratta dal capitolo “Che genere di analista era Bion?”: “A un certo punto incappai in una pubblicità del White House Hotel. In quel momento Bion aprì la porta del suo studio e mi invitò ad accomodarmi. Mentre mi alzavo, richiamai l’attenzione di Bion su quella pubblicità menzionando il meraviglioso pranzo che avevo fatto con mia moglie proprio al White House Hotel durante il nostro primo viaggio a Londra. Lì per lì Bion non fece commenti. Mi distesi sul lettino, feci due o tre associazioni, che ho ormai dimenticato da molto tempo, poi egli formulò la seguente interpretazione (per quanto riesca a rammentarla dopo tanti anni): ‘Si spera che, iniziando un’analisi qui con me, lei si pregusti una buona cena in questo White House Hotel, giacchè la ‘Casa Bianca’ è un modo per unirci: lei sta congiungendo la ‘Casa Bianca’ del mio paese d’origine e la ‘Casa Bianca’ del suo’ (pag. 37). E subito dopo Grotstein commenta: “(un’interpretazione kleiniana, certo, ma che interpretazione kleiniana!)”. Non si può che concordare con Grotstein rispetto a questa sua ultima ammirata esclamazione. Quella di Bion è infatti una immediata interpretazione del transfert, nel qui ed ora della relazione, ma che ridipinge in modo del tutto inedito l’immagine onirica della “Casa Bianca”, come oggetto transizionale che accomuna (che “accasa”) il paziente e l’analista sotto uno stesso tetto dove si mangia una “buona cena” analitica. E’ un’interpretazione che valorizza la relazione, l’Esser-ci dell’analista nella relazione. Cosa avrebbe detto la Klein non lo sappiamo, ma forse potremmo fantasticare a posteriori che la sua interpretazione avrebbe parlato solo del paziente, e non anche dell’analista e della “casa comune” dei due. Per concludere queste note, che non desiderano essere solo pedissequamente entusiastiche, possiamo dire che forse il “lato debole”, o che personalmente sento meno emotivamente vicino, di questo libro, è il tentativo un po’ troppo insistito di rendere ragione a tutti i costi, del complesso tema di ‘O’ (lo trovate negli ultimi capitoli del libro di Bion “Trasformazioni” -1965). Tema che sconfina (troppo, in modo “iperbolico”, come direbbe Bion stesso) nel filosofico kantiano e noumenico, e che occorre prendere con le pinze, soprattutto se ci si occupa quotidianamente di clinica psicoanalitica, per evitare di andar per farfalle, piuttosto che “stare coi piedi per terra” con il proprio ascolto, per dare un aiuto a chi ne ha bisogno. “Un raggio di intensa oscurità”: libro difficile, in alcuni punti discutibile sul piano teorico, ma lettura quasi obbligata se ci si prende la briga di attraversare le lande misteriose del Perturbante bioniano.