La dottoressa Margaret Matheson, psicologa sperimentale, e il suo giovane assistente Tom Buckley, dedicano il loro lavoro universitario alla studio scientifico dei fenomeni paranormali. I loro obiettivi principali consistono nel dimostrare l'inesistenza di tali fenomeni, e nello smascherare sedicenti sensitivi che sfruttano la superstizione del loro pubblico. Le ricerche di Matheson e Buckley li portano a confrontarsi con Simon Silver, sensitivo di fama mondiale, tornato dopo trent'anni di ritiro e oblio per dimostrare nuovamente al mondo i suoi poteri. Buckley, gradualmente svilupperà una vera ossessione per Silver...
Le presenza regale e onnipervasiva di Sigourney Weaver e Robert De Niro, nonché i loro rispettivi ruoli magistralmente interpretati, rendono di per sé questo film di Rodrigo Cortès imperdibile, almeno per uno come me che considera la Weaver, dopo Vanessa Redgrave, una delle maggiori attrici cinematografiche viventi. Il resto del cast è in questo senso coreografico, compreso il pur bravo Cillian Murphy, nonostante lo sguardo da pesce lesso che mantiene indefessamente nel corso di tutta la pellicola. Lo script è fondamentalmente suddiviso in tre parti non necessariamente coincidenti con i tre atti classici in cui è ripartito un film: nella prima la Weaver assume un ruolo centrale, così come la relazione con l'assistente/allievo Tom. Si tratta, a mio avviso, della parte migliore, meglio girata e più intensa, con una Weaver splendidamente ispirata e altrettanto ben ripresa, fotografata e colta attraverso primi piani nei quali ogni sua ruga parla, oltre che della storia che stiamo vedendo, anche della sua personale carriera cinematografica. Una vera delizia che vale da sola il tempo e il denaro spesi per entrare in sala. La seconda parte si muove su un terreno più vago, nel quale prende spessore il ruolo di Cillian (Tom), e anche tutto il plot, che si apre a sua volta sul personaggio di Silver/De Niro, il quale diventa qui a sua volta centrale, sfocando di molto la figura della Weaver. La terza parte è rappresentata dal finale, purtroppo poco, pochissimo convincente, aldilà del fatto che, in sé è un finale molto spiazzante e davvero imprevisto. Ma è proprio questa contraddizione, per certi versi inspiegabile almeno per chi scrive, a rendere il film non del tutto riuscito, e generatore di più d'una perplessità. Probabilmente è il congegno drammaturgico nel suo complesso a non funzionare a dovere, cioè la sua gestalt a risultare non coerente, nonostante tutte le buone intenzioni di Cortès, che cerca poi di sviluppare la storia attraverso una regia impeccabile, ma incapace di saldare secondo linee coerenti la sproporzione tra le tre parti che ho descritto. Il finale è punteggiato da brevi flash-back che tentano di dare senso a questa sproporzione, ma che comunque non sono in grado di illuminare di luce viva e vigorosa un andamento narrativo che parte in quarta ma poi si perde in vicoli bui. Mi sono chiesto se la sproporzione di cui sto parlando non dipenda anche dalla diversa caratura dei tre principali protagonisti, cioè Weaver, De Niro e Murphy, che non sembrano mai bene entrare in dialettica. I tre, cioè non sembrano mai "parlarsi" veramente, ciascuno collocato nei suoi propri spazi di scena, ma senza interazioni davvero significative sul piano dell'intreccio. L'unico dialogo veramente importante è quello tra la dottoressa Matheson e Buckley sul finire della prima parte, nel quale tuttavia è sempre la Weaver a possedere veramente la scena, lasciando Murphy in un angolo coi suoi soliti occhi da pesce lesso in salamoia. De Niro è possente, soprattutto nella prima sequenza in cui compare nel teatro, quando "guarisce" dal vivo il paziente disteso sulla barella. Ma anche questa sequenza rimane isolata, come incorniciata e appesa in una galleria di quadri, molto bella da vedere e rivedere, ma non ben integrata con il resto. Da un certo punto di vista poi, anche il tema del confrontro/scontro tra paranormale e mentalità scientifica, appare come semplice pretesto per costruire una storia tutta tesa a produrre un coup de theatre finale che rimane fine a se stesso. Da questo punto di vista il film risulta poi del tutto privo di elementi inquietanti o specificamente perturbanti, ma forse proprio perché il regista pensa ad altro, cioè pensa di stupirci con l'effetto speciale di un finale in stile "The Others", che però fa il botto di un petardo di Capodanno che si spegne subito e poi la vita continua. La fotografia di Xavi Gimenez e le musiche Vìctor Reyes in questo progetto narrativo condotto da Cortés hanno quindi un ruolo del tutto marginale e scarsamente significativo. A parte le performance di Weaver e Di Niro, certamente riuscite, si poteva lavorare anche meglio e più finemente caratterizzando il rapporto tra la Matheson e Buckley, rendendolo cioè più attraversato da correnti edipico-filiali, ad esempio, oppure dipingendolo con i toni più aspri del conflitto generazionale, aspetti che Cortès non vuole introdurre nè tanto meno sfiorare. In sintesi "Red Lights" mi è apparso piuttosto deludente e tuttavia da vedere per non perdersi due calibri da novanta come la nostra beneamata Sigourney e il sempre mitico Robert, entrambi in ottima forma.
Regia:Rodrigo Cortès Soggetto e Sceneggiatura: Rodrigo Cortés Fotografia: Xavi Giménez Musiche: Vìctor Reyes Cast: Sigourney Weaver, Robert De Niro, Cillian Murphy, Elizabeth Olsen, Joely Richardson, Toby Jones, Leonardo Sbaraglia, Jeany Spark Nazione: Spagna, USA Produzione: Nostromo Pictures, Cindy Cowan Entertainment, Antena 3 Films Durata: 113 min.