Un'antologia horror in 26 capitoli, scritti e diretti da altrettanti autori horror del cinema statunitense contemporaneo.
Dopo aver parlato (abbastanza bene) di "V/H/S", di "V/H/S 2" (piuttosto male) e di "The Theatre Bizarre" (piuttosto bene), rivolgiamoci ora a questa ulteriore antologia horror che vede ben 26 registi di varia provenienza geografica internazionale, riuniti insieme dalla incomprensibile ostinazione del produttore neozelandese Ant Timpson, allo scopo di rappresentare il tema (molto generico) della Morte mediante corti rapidissimi quanto sperabilmente intensi. Il risultato complessivo, va detto subito, è pessimo, a parte alcuni episodi meritevoli di attenzione, che qui andremo a discutere, insieme ad altri che invece vanno solo dimenticati, o, meglio, buttati senza indugio nella spazzatura. Ma cominciamo appunto con la spazzatura, che ci serve qui anche per evidenziare metaforicamente i terribili difetti di un film a episodi che in generale è semplicemente un'accozzaglia maniacale e pseudo-avanguardistica di sequenze del tutto inutili perché non portano avanti di un millimetro il discorso estetico sul Perturbante nel Cinema. C'è da chiedersi inoltre come mai alcuni nomi importanti come Xavier Gens, Srdjan Spasojevic, Timo Tjahjianto e soprattutto Ti West, abbiamo deciso di partecipare a tale discutibile produzione. Tornando alla spazzatura, direi che il corto peggiore è senz'altro "Z is for Zetsumetsu" di Yoshimiro Nishimuri, che insieme all'altro corto del collega nipponico Noburo Iguchi allestiscono un festival del kitsch in miniatura, due veri e propri bonsai del cattivo gusto puro ed "in esistenza" quant'altri mai se ne erano visti, tra le cose più lontane dal genere Perturbante si potessero creare (più che altro un vero insulto alla creatività, in verità). Passiamo poi a "W is for WTF!" di Jon Schnepp, allegoria lisergica ipercontrastata, iperilluminata, pop-artistica e dall'ispirazione wharoliana che mette in scena inverosimili pagliacci-zombie stile IT, ma come in un "Drive In" berlusconiano anni '70. Una vera noiosissima pena determinata da un bombardamento visivo maniacale in senso strettamente psichiatrico che il buon Timpson poteva tranquillamente risparmiarci. Non parliamo poi di "M is for Miscarriage" di Ti West, debolissimo, deludente, completamente insulso corto che possiede l'unico pregio di essere molto breve. Su altri sorvolo perché in realtà non varrebbe nemmeno la pena citarli (vedansi ad esempio l'episodio del pappagallo di Banjong Pisanthanakun, ridicolo e di molto inferiore a molti sketch del duo Mondaini-Vianello, e il pezzo di Adam Wingard e Simon Barrett, che qui sono anche protagonisti: una vera, semplice schifezza ripresa specularmente nell'eloquente titolo: "Q is for Quack").
In questo baraccone che stanca la vista e tutti gli altri sensi, si salvano poche, pochissime cose, che sono le seguenti:
a) "T is for Toilet", di Lee Hardcastle, corto animato molto particolare e nuovo, nel quale il tema delle angosce infantili più primitive si intreccia con quelle più adulte della morte dei propri figli. Nella sua semplicità molto più potente di molta CG contemporanea al servizio di Hollywood. Complimenti .
b) "R is for Removed", Srdjan Spasojevic, molto poetico, essenziale, un aiku serbo potremmo definirlo, che dopo il rovinoso debutto di "Srpski Film" (2010) risolleva le sorti di un regista che pareva solo presuntuoso,frettoloso e mimetico.
c) "X is for XXL" di Xavier Gens, metafora terribile di certo sadismo socialmente condiviso attraverso i canali ambigui e subdoli di social networks, canali YouTube e altre piacevolezze perverso-tecnologiche odierne. Molto attuale, con un sottotesto sociologico assai ben impacchettato e iniettato sottopelle allo spettatore ignaro. Dopo le notevoli prove di "Frontier(s)" (2007) e "The Divide" (2011), a partire da questo corto Gens sembrerebbe ben proiettato verso uno sviluppo molto generativo della sua specifica poetica filmica. Siamo quindi molto curiosi di vedere i suoi prossimi "Cold Skin" e "The Farm", in pre-produzione. "X is for XXL" è probabilmente il miglior corto dell'intera antologia, e meritava altro contesto, decisamente.
d) "L is for Libido", di Timo Tjahjianto, che avevamo già visto in "V/H/S 2" nell'episodio, peraltro non particolarmente apprezzabile dal titolo "Safe Heaven". "L is for Libido" è un corto molto interessante perché prende di petto il tema del voyeurismo pornografico così invasivo oggigiorno e lo organizza all'interno di poche, violentissime sequenze che non lasciano respiro. A me è sembrato un vero atto di denuncia delle derive perverse verso cui la società liquido-ipermoderna che viviamo ci sta guidando a dispetto dei nostri fragili frame valoriali. A mio avviso Tjahjianto ha assoluta necessità di raffinare certi spigoli inutilmente ed eccessivamente gore della sua poetica (motoseghe, impalamenti, grandguignol, parti mostruosi, come anche avevamo visto in "Safe Heaven" ) ma certamente ha molto da dirci.
I corti citati (da a) a d) ) non bastano tuttavia a rendere guardabile un'operazione discutibilissima come "The ABCs of the Death", la cui impalcatura espressiva crolla inevitabilmente sotto il peso dell'eccessiva libertà accordata ai registi, nonché della numerosità degli autori riuniti. Sono anche interessanti le mostre collettive, ma se mettiamo in una galleria d'arte cento pittori diversi, generiamo solo un gran casino, una casbah urlante nella quale ti senti solo tirato da tutte le parti e non ti puoi soffermare su niente. Se poi i prodotti esposti sono anche brutti, malconfezionati e buttati sui banconi con malagrazia strafottente, allora non ci siamo proprio, ed è molto meglio uscire finalmente all'aria aperta a fare due passi lungo il fiume per riordinare le idee. "The ABCs of the Death": assai sconsigliato, a parte le interessanti prove di Hardcastle, Gens, Spasojevic, Tjahjianto, che però stanno tutti e quattro lì dentro come i cavoli a merenda.
In questo baraccone che stanca la vista e tutti gli altri sensi, si salvano poche, pochissime cose, che sono le seguenti:
a) "T is for Toilet", di Lee Hardcastle, corto animato molto particolare e nuovo, nel quale il tema delle angosce infantili più primitive si intreccia con quelle più adulte della morte dei propri figli. Nella sua semplicità molto più potente di molta CG contemporanea al servizio di Hollywood. Complimenti .
b) "R is for Removed", Srdjan Spasojevic, molto poetico, essenziale, un aiku serbo potremmo definirlo, che dopo il rovinoso debutto di "Srpski Film" (2010) risolleva le sorti di un regista che pareva solo presuntuoso,frettoloso e mimetico.
c) "X is for XXL" di Xavier Gens, metafora terribile di certo sadismo socialmente condiviso attraverso i canali ambigui e subdoli di social networks, canali YouTube e altre piacevolezze perverso-tecnologiche odierne. Molto attuale, con un sottotesto sociologico assai ben impacchettato e iniettato sottopelle allo spettatore ignaro. Dopo le notevoli prove di "Frontier(s)" (2007) e "The Divide" (2011), a partire da questo corto Gens sembrerebbe ben proiettato verso uno sviluppo molto generativo della sua specifica poetica filmica. Siamo quindi molto curiosi di vedere i suoi prossimi "Cold Skin" e "The Farm", in pre-produzione. "X is for XXL" è probabilmente il miglior corto dell'intera antologia, e meritava altro contesto, decisamente.
d) "L is for Libido", di Timo Tjahjianto, che avevamo già visto in "V/H/S 2" nell'episodio, peraltro non particolarmente apprezzabile dal titolo "Safe Heaven". "L is for Libido" è un corto molto interessante perché prende di petto il tema del voyeurismo pornografico così invasivo oggigiorno e lo organizza all'interno di poche, violentissime sequenze che non lasciano respiro. A me è sembrato un vero atto di denuncia delle derive perverse verso cui la società liquido-ipermoderna che viviamo ci sta guidando a dispetto dei nostri fragili frame valoriali. A mio avviso Tjahjianto ha assoluta necessità di raffinare certi spigoli inutilmente ed eccessivamente gore della sua poetica (motoseghe, impalamenti, grandguignol, parti mostruosi, come anche avevamo visto in "Safe Heaven" ) ma certamente ha molto da dirci.
I corti citati (da a) a d) ) non bastano tuttavia a rendere guardabile un'operazione discutibilissima come "The ABCs of the Death", la cui impalcatura espressiva crolla inevitabilmente sotto il peso dell'eccessiva libertà accordata ai registi, nonché della numerosità degli autori riuniti. Sono anche interessanti le mostre collettive, ma se mettiamo in una galleria d'arte cento pittori diversi, generiamo solo un gran casino, una casbah urlante nella quale ti senti solo tirato da tutte le parti e non ti puoi soffermare su niente. Se poi i prodotti esposti sono anche brutti, malconfezionati e buttati sui banconi con malagrazia strafottente, allora non ci siamo proprio, ed è molto meglio uscire finalmente all'aria aperta a fare due passi lungo il fiume per riordinare le idee. "The ABCs of the Death": assai sconsigliato, a parte le interessanti prove di Hardcastle, Gens, Spasojevic, Tjahjianto, che però stanno tutti e quattro lì dentro come i cavoli a merenda.
Regia: Angela Bettis, Adrian Garcia Bogliano, Xavier Gens, Lee Hardcastle, Jason Eisner, Noburo Iguchi, Yoshimiro Nishimura, Banjong Pisanthanakun, Jon Schnepp, Srdjan Spasojevic, Timo Tjahjianto, Ti West, et al. Soggetto e Sceneggiatura: Angela Bettis, Adrian Garcia Bogliano, Xavier Gens, Lee Hardcastle, Jason Eisner, Yoshimiro Nishimura, Banjong Pisanthanakun, Jon Schnepp, Timo Tjahjianto, Ti West, et al. Fotografia: Manuel Dacosse, Nicolàa Ibieta et al. Montaggio: Phillip Blackford, Robert Hall et al. Cast: Ingrid Bolso Berdal, Kyra Zagorsky, Dallas Malloy, Erik Aude, Peter Pedrero, Fraser Corbett, Xavier Magot et al. Nazione: USA Produzione: Magnet, Drafthouse Films, Timpson Films, et al. Durata: 123 min.