Anno: 2012 Editore: Mondadori, 2012 Pagine: 250 ISBN: 978-88-04-61611-5 Euro: 17,00
E' il coccodrillo, la sua fame si è sedimentata negli anni, nel rumore di un rantolo senza fine, nel ricordo di un'antica tenerezza. Siamo a Napoli, una città borghese, inospitale caotica, dove ciascuno è preso dai propri affari. E' esattamente questo clima di indifferenza che permette a un killer gelido e metodico di agire indisturbato, di aggirarsi tra la folla e uccidere giovanissime vittime. I giornali lo chiamano "il coccodrillo", proprio perché questo animale, quando divora i propri figli, piange. L'ispettore Lojacono non si ferma di fronte alle apparenze, sorretto da suo fiuto e dalla sua triste storia personale: un collaboratore di giustizia lo ha accusato di aver passato alla mafia informazioni riservate (cosa naturalmente falsa), e per questo sarà trasferito dalla sua Sicilia, a Napoli, nello sperduto commissariato di San Gaetano. Sarà la giovane sostituto procuratore Laura Piras ad accorgersi di lui, colpita dallo spirito di osservazione di Lojacono. Lo coinvolgerà dunque nelle indagini e Lojacono aiuterà Laura a trovare un collegamento, all'apparenza inesistente, tra i delitti.
Lo so, lo so, la terribile parola "capolavoro", anche per quanto attiene alla letteratura, e non solo per il cinema, non alberga da queste parti, e quando ce la troviamo, tendiamo a buttarla via subito, come un gatto morto puzzolente. Purtroppo, però, non trovo parole alternative per descrivere questo nuovissimo libro di Maurizio de Giovanni, napoletano, noto ai lettori per la serie di indagini del commissario Ricciardi . Capolavoro perturbante davvero, che non restringerei nella banalizzante categoria del "thriller", ottimo nella sua scarna semplicità di scrittura, nella rapidità delle pennellate descrittive di una città, Napoli, "belva addormentata" nella quale si aggira uno spietato killer, che uccide ragazzi adolescenti, senza apparente ragione, se non quella di straziare i cuori delle famiglie delle vittime. L'ispettore Lojacono, nuovo personaggio di de Giovanni, è poi un tipo pure lui semplicissimo, tratteggiato in modo impressionistico, che l'Autore sembra voglia presentarci quasi di sfuggita (perché certamente lo vedremo ancora, o così speriamo vivamente, in altre successive storie), rivelandoci lentamente la sua vicenda di distacchi (dalla moglie, dalla figlia), una storia traumatica ma non lacrimosa, che viene direttamente dal suo ambiente professionale. Un'altra figura che vedremo sperabilmente ancora in altri romanzi dello scrittore napoletano, è quella di Letizia, donna veracemente napoletana, titolare della trattoria in cui Lojacono si rifugia la sera, dopo il lavoro, a mangiare e soprattutto bere per dimenticare il suo tristo passato prossimo. de Giovanni, insieme alla pasta al ragù di Letizia, ci fa assaporare gradualmente anche l'epifania lenta dell'innamoramento della donna, che scoprirà dentro di sé pian piano emozioni intense verso questo uomo che sembra come naufragato lì, nella sua trattoria, alla ricerca di un'impossibile conforto alimentare. Ma è decisamente la figura del killer, il "coccodrillo", ad aver destato in me grande commozione, termine che ovviamente non uso a caso, perché non capita spesso di provare commozione per un killer similmente spietato, in qualsivoglia romanzo "giallo". Chi ha letto, come il sottoscritto, molta letteratura gialla nordica contemporanea, ha conosciuto assassini terribili (vedansi quelli che abitano le pagine di un Jo NesbØ, ad esempio), verso cui non si può provare alcuna pietà. Si tratta, sempre e solo di "cattivi" e basta, che si meritano la punizione, o almeno questo è il sentimento che l'Autore ci trasmette, ci vuol far provare. Con il "coccodrillo" ci troviamo invece collocati in una posizione emotiva tutta diversa, straniante, che de Giovanni costruisce pagina dopo pagina, attraverso brevi ma efficacissime inserzioni di "lettere" che il killer scrive al suo amore, raccontandogli come prosegue il suo piano. Il piano di sterminio del coccodrillo è infatti organizzato per vendicare il suo amore, e solo alla fine di un tessuto narrativo esemplarmente geometrico e certosinamente cesellato, ne scopriremo insieme a Lojacono le vere finalità. Insieme all'ispettore, quasi in soggettiva, entreremo nella stanza della famiglia Orazi, nella sommamente drammatica scena finale del libro, che da sola, ci legittima a parlare di "capolavoro" perturbante. L'effetto angoscioso si amplifica di molti decibel, se poi il lettore ha figli, perchè de Giovanni di padri e figli/e sta parlando, ma lo capiamo solo a metà libro, quando il coccodrillo ha già versato molte lacrime, sulla scena del delitto. Molto vicino a certi climi anglosassoni alla McEwan, per quanto concerne le tematiche incrociate di morte e rapporti generazionali, pur essendo ambientato a Napoli, il libro evoca risonanze profondissime relative al legame imperscrutabile e spiritualmente "carnale" tra genitori e figli. Tale incrocio viene risolto attraverso la chiave enigmatica dell'inquietudine, della morte come unica chiave di lettura possibile, ma che nella sua angosciante pesantezza, pure genera l'arte della scrittura, perché fa nascere un romanzo come questo che ci lascia attoniti e pensosi, ammirati e plaudenti. "Il metodo del coccodrillo" è infatti un libro terribilmente poetico, come solo certa poesia sa appunto essere (penso alla Szymborska, ad esempio), nel suo andamento disvelante, che sa cioè aprire finestre verso verità terribili e mai pensate. "Il metodo del coccodrillo": un libro che non solo consiglio, ma che trovo quasi necessario leggere.