Quando un massiccio blackout immerge la città di Detroit nel buio totale, un gruppo eterogeneo di individui si rifugiano all’interno di un bar. La popolazione della città intera è scomparsa nel nulla, lasciando dietro di sé cumuli di vestiti vuoti, auto abbandonate a se stesse e ombre minacciose che si allungano misteriosamente sui muri della città. Presto la luce del giorno inizia a scomparire completamente, e i sopravvissuti, si rendono conto che il buio nasconde entità sinistre e assassine, e che solo la ricerca disperata di fonti di luce alternative potrà condurli alla salvezza.
Ci aspettavamo molto da questo "Vanishing on 7th Street", soprattutto considerando la corposa filmografia che ha alle sue spalle, nella quale spiccano film interessanti come "Session 9" (2001), "L'uomo senza sonno" (2004), "Transsiberian" (2008). Appare dunque quasi inspiegabile questo calo assoluto d'ispirazione da parte di un regista che si è mostrato fin qui sempre in grado di manovrare la tensione all'interno di sceneggiature ben costruite e originali. L'abile mano registica a tratti hitchcockiana che vediamo ad esempio in "L'uomo senza sonno", dal quale siamo avvinti fin dalle prime sequenze, si spegne e svanisce, semplicemente "vanishes", proprio come suggerito dal titolo. A fronte di un soggetto piuttosto intrigante che vuole deliberatamente rivisitare un tema a metà tra l'apocalittico e l'horror (la scomparsa dell'umanità per mano di non ben definite entità "oscure" che abitano nell'ombra), l'esito della scrittura filmica di uno script così pieno di potenzialità, si riduce invece a una riflessione pseudosociologica di scarsissimo peso, ridotta a performance teatrale all'interno di una stanza chiusa (il bar "Sonny's" dove i sopravvissuti si rifugiano). Dopo un inizio che fa ben sperare, illuminato dall'ottima fotografia di Uta Briesewitz, il film procede perdendo completamente l'orientamento e incartandosi in modo involuto e insensato fino ad un finale molto poco convincente, ma d'altr'onde coerente con la conduzione disorganizzata ed ebefrenica che Anderson imprime a tutta la pellicola. Non aiuta il cast, che vede una Thandie Newton inutilmente isterica e sopra le righe in particolare nelle prime sequenze, e soprattutto un Hayden Christensen incartapecorito e inattendibile a partire dalla sequenza del suo risveglio nel grattacielo vuoto di vita umana (e unico superstite solo perchè, udite udite, "salvato" da due candele accese accanto al suo letto durante la notte del black-out). Molto bravo Jacob Latimore, James, il ragazzino, le cui performance si disperdono tuttavia molto presto nelle nebbiose brume di un film davvero poco incisivo da qualsiasi prospettiva lo si voglia guardare. Non parliamo poi della suspense, inesistente, nonchè dell'effettistica, banalissima, che si limita a farci scorgere lunghe ombre (minacciose? Suvvìa, non scherziamo) che si addensano ogni tanto sui muri di Detroit. Sembra infatti quasi di rivedere certe sequenze di un qualsiasi "Boogyman", che non desideravamo certo farci evocare da un film di Anderson. "Vanishing on 7th Street" è un grande buco nell'acqua causato, forse, da un momento di grave crisi artistica da parte di un regista talentuoso, ma che in questo caso perde la bussola mostrando di non saper gestire nè la materia narrativa, nè gli attori, nè l'allestimento, nè gli apparati tecnici che avrebbe a disposizione. Film assolutamente sconsigliato, sebbene a malincuore. Regia: Brad Anderson Sceneggiatura: Anthony Jaswinski Fotografia: Uta Briesewitz Montaggio: Jeffrey Wolf Musica: Lucas Vidal Cast: Hayden Christensen, John Leguizamo, Thandie Newton, Taylor Groothuis, Jacob Latimore, P.J. Edwards Nazione: USA Produzione: Magnet, Errick Entertainment, Mandalay Vision Anno: 2010 Durata: 91 min.