Anno: 2014 Editore: Einaudi Collana: Stile Libero Traduzione: Maria Teresa Cattaneo Pagine: 544 ISBN: 978-88-06-21844-7 Euro: 21,00.
Il mondo di Sonny Lofthus è crollato il giorno in cui, tornando a casa, ha trovato il padre, un poliziotto dall'animo e dall'etica integerrimi, morto suicida. Ha cominciato a drogarsi. Ora non ha neanche trent'anni ed è in prigione da dodici per duplice omicidio. Eppure c'è qualcosa in lui che ispira fiducia, perché nel carcere di massima sicurezza di Staten i compagni lo considerano una specie di confessore; gli raccontano le loro storie. La sua esistenza è ormai tutta lì, non ha più sogni né un'idea del futuro. Finché un detenuto gli rivela che in realtà suo padre è stato ucciso. In quel preciso istante Sonny riscopre una ragione per vivere e riacquistare la libertà: ha deciso di punire i colpevoli, uno alla volta...
Era da un pò di tempo che non scrivevo recensioni di libri. Prima di dedicarmi alla vide-recensione a "Hyena" del regista inglese Gerard Johnson (che potrete visionare tra qualche giorno qui e sul mio canale YuoTube), eccomi dunque a dire due parole -necessarie- su quest'ultimo libro di Nesbø, che ha peraltro molte consonanze di contenuto con il film di Johnson. Infatti sia il libro dello scrittore norvegese che il film del regista inglese di cui parleremo a breve, trattano entrambi di un 'identica area antropologica, che è quella che potremmo intitolare "La violenza del Potere". Ma procediamo con ordine, cioè dal libro di Nesbø.
L'Autore si allontana nettamente dai territori della lunga, avvincente, ma alla fine anche un pò noiosa e ricorsiva saga di Harry Hole, e qui introduce un nuovo personaggio poliziesco, Simon Kefas, detective della squadra omicidi della polizia di Oslo, che viene tuttavia fatto entrare in scena in modo del tutto collaterale, dalla porta di servizio potremmo dire. Kefas è una figura lontanissima dallo spessore tragico di Hole; ha una moglie con un grave problema alla vista, una giovane, bella e intelligente giovane collega, e un acume poliziesco non da poco. Da un certo punto di vista possiamo certamente dire però che il vero protagonista di questa nuova storia dello scrittore norvegese non è il poliziotto, bensì l'"assassino", termine che metto tra virgolette poiché più che un assassino si tratta di un soggetto che è costretto ad agire concretamente, sanguinariamente, dal momento che quello è l'unico modo per dialogare con un ambiente sociale corrotto fino alle radici, marcio, dove l'Etica è totalmente alla deriva. Il linguaggio è questo, quindi Sonny Lofthus deve per forza parlare il linguaggio della "legge del taglione" per farsi capire.
Per questi motivi il lettore sta sempre, fin dalle primissime pagine, dalla sua parte, senza cedimenti valoriali di sorta. Come in "Hyena" di Johnson, anche in "Il confessore", il confine tra legalità e illegalità è confuso: la polizia è corrotta, invasa da "talpe" che ne corrodono alle fondamenta la mission sociale. Chi dovrebbe proteggerti ti sbatte in galera. Ecco dunque che l'intelligenza del Figlio (Sonny Lofthus) va oltre, surclassa, spazza via le "colpe dei padri". Ciò avviene attraverso il sangue ovviamente, perché quello tra padri e figli, ma anche ogni legame sociale su cui si fonda la civiltà, è un legame di sangue.
Quella di Nesboø è una riflessione sulla violenza del potere costituito, un potere che, sulla base della sua apicalità e sovradeterminazione, non si fa scrupolo di distruggere la vita chiunque le si metta tra i piedi. Una riflessione condotta attraverso uno stile narrativo come al solito dinamico, fresco, e, al contempo, totalmente inverosimile.
Leggendo Nesbø a me viene spesso in mente il tema ottocentesco del "verisimile" manzoniano. Con Nesbø siamo agli antipodi di una poetica di tal genere. L'Autore inventa situazioni assolutamente improbabili (vedi la fuga di Johnny dal carcere di Staten, oppure la meravigliosa sequenza dell'uccisione "metempsicotica" di Kalle Farrisen mediante un semplice ma letale ventilatore). Tuttavia le sa far diventare esteticamente "digeribili", anzi macrobiotiche e molto nutrienti. E' forse questa la cifra specifica del nostro norvegese, che tanto si discosta dal mood letterario del classico thriller scandinavo. Pensiamo ad esempio a un Indridason, oppure a un Mankell: nelle loro pagine sentiamo il vento delle brughiere islandesi sferzare l'erba sul terreno, oppure le betulle svedesi stormire lungo i gelidi promontori generati dai mille laghi. Leggendo Nesbø ascoltiamo invece le urla dei tossici in crisi d'astinenza nell'ostello di Ila, oppure osserviamo le borse bisunte di barboni ugualmente tossici nascosti tra i cespugli del parco. Vediamo sangue scorrere a fiumi, narrazioni di palpebre tagliate da parte di Nestor, boss della mafia locale e della tratta di donne che vengon dall'est, a chi tra i suoi collaboratori si fa rubare i soldi della droga venduta. E via di questo passo.
Personalmente, dopo "Il Pipistrello", avevo lasciato Jo Nesbø al suo destino: mi sembrava che girasse su se stesso senza produrre niente di nuovo, di originale, intendo, come quelle eterne franchise che purtroppo vediamo proliferare nel genere cinematografico a noi caro, una specie cioè di inutile rincorsa, motivata puramente da interessi economici, a sequel, prequel, remake, che fanno diventare il cinema una brodosa, melensa minestra da ospedale che poi alla fine uno vorrebbe solo buttare nello sciacquone. Perché è quello che si merita davvero. Con "Il confessore" siamo invece in presenza di un viraggio abbastanza netto di Nesbø, non dico dalle parti di una poetica in stile Gerard Jonhson, che pur mi è venuto in mente leggendo il libro (e ci sarà pur un motivo...), tuttavia e in ogni caso un viraggio verso un'attenzione ad un degrado sociale, a un "ambiente" come gruppo allargato che, sulla base di una mentalità mafiosa che esercita violentemente il suo potere deformando l'Etica a suo piacimento, determina il destino dell'individuo (Johnson è incomparabilmente più profondo e lacerante, su un piano cinematografico, a descrivere il degrado psicosociale che porta l'individuo al totale annichilimento di sè, ma lo vedremo in dettaglio nella video-recensione successiva a questa recensione letteraria).
"Il confessore" riabilita ai miei occhi senz'altro un Autore dalla biografia che fa intuire la sua frequentazione con l'ambiente della droga (Nesbø ricordiamolo, mi risulta che fino al 2013 abbia anche fatto il musicista suonando nel gruppo norvegese dei Di Derre. E si sa che l'ambiente artistico non sfugge certo alle morgane delle sostanze stupefacenti e degli ambienti ad esse limitrofi). Da questo punto di vista ho fatto addirittura la fantasia che il nostro abbia avuto figli con problemi molto grossi di droga, e mi piacerebbe molto che qualcuno che ne sa più di me in fatto di questioni biografico-letterarie mi dia notizie in merito. Fatto sta che "Il confessore" è un romanzo avvincente fin dalle prime pagine, che consiglio vivamente.