Marty è un ragazzo di 12 anni con la passione per i film e per i fumetti horror, che anche lui disegna, e nei quali si rifugia per sfuggire ad un ambiente scolastico vessatorio e pieno di bulli che non lo lasciano in pace. Marty ha un fratello maggiore, circa ventenne. Un bel giorno, entrando nella stanza di Steve, Marty scopre in uno sgabuzzino una borsa di plastica contenente una testa mozzata. Il ragazzo scoprirà così che il supereroe vendicatore delle angherie subite non deve cercarlo nel suo immaginario, perché ce l'ha in casa, è suo fratello ed è per giunta un efferato serial-killer...
Chi mi legge sa quanto il tema del fraterno declinato come aspetto del Perturbante sia molto apprezzato da queste parti. Non a caso a suo tempo ho concentrato la mia attenzione su un film come "Oculus", di Mike Flanagan (2013), oppure su "We are what we are" di Jim Mickle (2013) (non voglio tuttavia aprire qui parentesi storiografiche su questo interessantissimo tema, parentesi che ci porterebbero via molto tempo, basti pensare allo stilema "gemellarità" in ambito horror, che ci rimanderebbe subito a "Inseparabili" di Cronenberg (1988), e a molto altro ancora). Scott Schirmer, giovane esordiente che ha studiato (e assai bene) Teoria del Cinema, Sceneggiatura e Metodologia della Videoproduzione all'Università dell'Indiana, da perfetto Carneade prende di petto il tema del "fraterno" e lo descrive nel suo "Found" con attenzione, cura, potremmo dire con vero amore. Un amore che è prima di tutto rivolto al genere Perturbante, alle sue consonanze e vicinanze col periodo adolescenziale e preadolescenziale, ambiente emotivo, "terreno" ideale alla nascita di un interesse estetico di questa natura. Immagino innanzitutto che molti di noi spettatori si siano identificati subito con il giovanissimo Marty, un Gavin Brown perfettamente colto e raccontato da Schirmer alle soglie di un'adolescenza che ci immaginiamo turbolenta e super complessa fin dai subitanei primi piani delle sue lentiggini, dei suoi fluenti capelli rossi che attraversano una grigia casa di provincia, banalissima tanto da diventare inquietante solo per questo.
Ma è il rapporto tra Marty e il fratello Steve a diventare il cuore pulsante del film, rapporto di naturale idealizzazione spostata sull'hobby del disegnare fumetti horror, genere molto amato anche da Steve medesimo. Marty è però "ancora piccolo". Frequenta una scuola media nella quale non sono possibili le libertà idealizzate del fratello maggiore, nella quale Marty è costretto a subire le angherie dei suoi fastidiosissimi amichetti, bulli di provincia senza alcuno spessore che non sanno fare altro che chiamarlo "pussy-boy". Il vuoto affettivo che gli presentano quotidianamente i due genitori, del tutto assenti pur nella loro presenza fisica, fa sì, poi, che l'immaginario di Marty si diriga ben presto a cercare di trovare un fondamento emotivo, un modello di identificazione alternativo, un punto di riferimento cui ancorare il traballante scenario della propria crescita, proprio nel fratello maggiore. Schirmer concentra tutta la sua attenzione su questa famiglia completamente alla deriva di un quotidiano provinciale privo di qualsiasi stimolo, a parte il paesaggio industriale rugginoso e decaduto che circonda tutto quanto. Non c'è sogno, non c'è speranza per queste nuove generazioni cresciute a pop-corn nel ventre molle della profonda, isolata, inutile provincia americana. Marty e Steve rappresentano questo e a loro non rimane che il legame fraterno, un legame scarnificato e scollegato da ogni altro elemento vitale. Tanto più che Steve è un giovane serial-killer.
Un serial-killer, potremmo dire, alle prime armi, che sta facendo esperienza, che sta costruendosi un curriculum tutto suo, non come quelli da mandare al solito call-center allo scopo di farsi assumere per due dollari all'ora. Al contrario stiamo parlando di un curriculum che gronda di onnipotenza e sadismo, perfetto corollario di un'esistenza che ha insterilito alla sua base qualsiasi "spinta ad esistere" (Gaburri, Ambrosiano, 2008).
Schirmer è capace, capacissimo, con soli 8000 dollari di budget, di organizzare un discorso e un pensiero su elementi socio-psicologici ed estetici di tale portata, muovendo la macchina da presa con una maestria dolente, sofferta, e ponendo al centro di tutta la storia il rapporto tra due fratelli.
Dicevamo che si tratta di una relazione, quella tra Marty e Steve, considerata da Schirmer come "valore assoluto". Non è presente in Schirmer alcun intento romanticheggiante. Siamo lontani mille miglia da una rappresentazione dell'adolescente del tipo "Gente comune" (Robert Redford,1980), tanto per intenderci. Qui la distanza tra Steve e Marty rimane siderale, vive cioè solo in un antro psicotico-allucinatorio di idealizzazione la cui unica motivazione profonda è la deumanizzazione della vittima. Ma il dramma sta proprio qui: la "fratria" si da solo in questa bolla, l'amore fraterno è un collante fondamentale per Marty, anzi, l'unica boccata d'ossigeno in un mondo schizoaffettivo. Ma perché vi sia ossigeno, paradossalmente occorre incontrare la morte.
La genialità di Schimer consiste nel lavorare sul piano filmico questo tipo di tematiche relative al legame fraterno: un legame "di sangue", reso concreto dal sangue reale che scorre sotto le mani di Steve, un intreccio inestricabile, potentissimo, violento, ma sul quale, allo stesso tempo si fonda il processo di soggettivazione identitaria.
Detto ciò (che mi premeva dire, considerato il mio interesse nei confronti delle declinazioni del fraterno in ambito Perturbante) occorre anche sottolineare che le modalità narrative che Schirmer mette in atto per descrivere tale tessuto relazionale, appaiono molto raffinate pur nella loro semplicità di esecuzione. Penso ad esempio alla bellissima sequenza in cui vediamo Steve rincorrere Marty su e giù per i vagoni dismessi fino alla vasta campagna verde, e in particolare all'inquadratura di Steve che allunga la sua mano a Marty per farlo alzare da terra: poche pennellate, nessun trucco o effetto speciale di sorta, solo due fratelli che si inseguono e poi s'incontrano ri-generando un'alleanza profonda, inscindibile, aldilà del Bene e del Male. Una sequenza a mio avviso da tenere in mente e da studiare con attenzione perché assume un senso radicalmente fondamentale in tutta l'economia del film. Quell'abbraccio finale, commovente, tra Marty e Steve, in quella sequenza, è sufficiente a rendere "Found" un'opera perturbante da ricordare e che ci mostra quanto siano le idee, le persone, a conferire a un film un valore estetico significante, aldilà del fatto che sia etichettato nella cornice del cinema indipendente. Anche la sequenza della rissa familiare, nella quale Steve aggredisce il padre per difendere il fratello dalle percosse, possiede una sua grande forza che mi verrebbe da definire "neorealista": molte assistenti sociali credo si occupino di situazioni di questo tipo quotidianamente, voglio dire.
Sul piano della sceneggiatura, il tragico avvitamento finale coglie inoltre lo spettatore da una parte impreparato e dall'altra lo fa sentire come liberato dalla colpa di poter (finalmente!) "tifare" per i due fratelli, diventati due Caini senza alcuna traccia di Abele, che insieme uccidono il Dio-Padre che li ha messi al mondo a loro insaputa. E' come se Schirmer ponesse tutto il sapore del Perturbante in questa ultima parte della sceneggiatura, rallentando la storia appositamente lungo il corso di tutta la pellicola, fino a fare esplodere catarticamente, ma soprattutto tragicamente (nel senso della tragedia greca classica) solo alla fine tutte le contraddizioni. Lo spettatore rimarrà solo, davanti ad una violenza, ad una tragicità che Schirmer decide saggiamente di lasciare lungamente fuori scena, accompagnato da una musica tribale martellante (di Johson, Wright e Velasco) , inquadrando il volto sofferente di Marty, legato al letto e imbavagliato.
Opera pensata, ben elaborata sul piano della scrittura, interpretata con gran profondità e grazia da parte dei due giovani protagonisti, "Found" è certamente un film importante, degno di essere visto, ma soprattutto di essere studiato e meditato a lungo, in particolare sul versante del suo approfondimento molto originale della relazione fraterna nella sua dimensione perturbante.
Regia: Scott Schirmer Soggetto e Sceneggiatura: Todd Rigney (novel), Scott Schirmer Montaggio: Scott Schirmer Fotografia: Leya Taylor Musiche: Magician Johnson, Greg Wright, Lito Velasco Cast: Gavin Brown, Ethan Philbeck, Phyllis Munro, Louie Lawless, Alex Kogin, Addy Alphonse, Shane Beasley, Angela Denton, Kitsie Duncan, Kate Brown, Edward Jackson, Adrian Cox-Thurmond Nazione: USA Produzione: Forbidden Films Durata: 103 min.
(Qui sotto i titoli di testa, disegnati e illustrati da Lowell Isaac)
Chi mi legge sa quanto il tema del fraterno declinato come aspetto del Perturbante sia molto apprezzato da queste parti. Non a caso a suo tempo ho concentrato la mia attenzione su un film come "Oculus", di Mike Flanagan (2013), oppure su "We are what we are" di Jim Mickle (2013) (non voglio tuttavia aprire qui parentesi storiografiche su questo interessantissimo tema, parentesi che ci porterebbero via molto tempo, basti pensare allo stilema "gemellarità" in ambito horror, che ci rimanderebbe subito a "Inseparabili" di Cronenberg (1988), e a molto altro ancora). Scott Schirmer, giovane esordiente che ha studiato (e assai bene) Teoria del Cinema, Sceneggiatura e Metodologia della Videoproduzione all'Università dell'Indiana, da perfetto Carneade prende di petto il tema del "fraterno" e lo descrive nel suo "Found" con attenzione, cura, potremmo dire con vero amore. Un amore che è prima di tutto rivolto al genere Perturbante, alle sue consonanze e vicinanze col periodo adolescenziale e preadolescenziale, ambiente emotivo, "terreno" ideale alla nascita di un interesse estetico di questa natura. Immagino innanzitutto che molti di noi spettatori si siano identificati subito con il giovanissimo Marty, un Gavin Brown perfettamente colto e raccontato da Schirmer alle soglie di un'adolescenza che ci immaginiamo turbolenta e super complessa fin dai subitanei primi piani delle sue lentiggini, dei suoi fluenti capelli rossi che attraversano una grigia casa di provincia, banalissima tanto da diventare inquietante solo per questo.
Ma è il rapporto tra Marty e il fratello Steve a diventare il cuore pulsante del film, rapporto di naturale idealizzazione spostata sull'hobby del disegnare fumetti horror, genere molto amato anche da Steve medesimo. Marty è però "ancora piccolo". Frequenta una scuola media nella quale non sono possibili le libertà idealizzate del fratello maggiore, nella quale Marty è costretto a subire le angherie dei suoi fastidiosissimi amichetti, bulli di provincia senza alcuno spessore che non sanno fare altro che chiamarlo "pussy-boy". Il vuoto affettivo che gli presentano quotidianamente i due genitori, del tutto assenti pur nella loro presenza fisica, fa sì, poi, che l'immaginario di Marty si diriga ben presto a cercare di trovare un fondamento emotivo, un modello di identificazione alternativo, un punto di riferimento cui ancorare il traballante scenario della propria crescita, proprio nel fratello maggiore. Schirmer concentra tutta la sua attenzione su questa famiglia completamente alla deriva di un quotidiano provinciale privo di qualsiasi stimolo, a parte il paesaggio industriale rugginoso e decaduto che circonda tutto quanto. Non c'è sogno, non c'è speranza per queste nuove generazioni cresciute a pop-corn nel ventre molle della profonda, isolata, inutile provincia americana. Marty e Steve rappresentano questo e a loro non rimane che il legame fraterno, un legame scarnificato e scollegato da ogni altro elemento vitale. Tanto più che Steve è un giovane serial-killer.
Un serial-killer, potremmo dire, alle prime armi, che sta facendo esperienza, che sta costruendosi un curriculum tutto suo, non come quelli da mandare al solito call-center allo scopo di farsi assumere per due dollari all'ora. Al contrario stiamo parlando di un curriculum che gronda di onnipotenza e sadismo, perfetto corollario di un'esistenza che ha insterilito alla sua base qualsiasi "spinta ad esistere" (Gaburri, Ambrosiano, 2008).
Schirmer è capace, capacissimo, con soli 8000 dollari di budget, di organizzare un discorso e un pensiero su elementi socio-psicologici ed estetici di tale portata, muovendo la macchina da presa con una maestria dolente, sofferta, e ponendo al centro di tutta la storia il rapporto tra due fratelli.
Dicevamo che si tratta di una relazione, quella tra Marty e Steve, considerata da Schirmer come "valore assoluto". Non è presente in Schirmer alcun intento romanticheggiante. Siamo lontani mille miglia da una rappresentazione dell'adolescente del tipo "Gente comune" (Robert Redford,1980), tanto per intenderci. Qui la distanza tra Steve e Marty rimane siderale, vive cioè solo in un antro psicotico-allucinatorio di idealizzazione la cui unica motivazione profonda è la deumanizzazione della vittima. Ma il dramma sta proprio qui: la "fratria" si da solo in questa bolla, l'amore fraterno è un collante fondamentale per Marty, anzi, l'unica boccata d'ossigeno in un mondo schizoaffettivo. Ma perché vi sia ossigeno, paradossalmente occorre incontrare la morte.
La genialità di Schimer consiste nel lavorare sul piano filmico questo tipo di tematiche relative al legame fraterno: un legame "di sangue", reso concreto dal sangue reale che scorre sotto le mani di Steve, un intreccio inestricabile, potentissimo, violento, ma sul quale, allo stesso tempo si fonda il processo di soggettivazione identitaria.
Detto ciò (che mi premeva dire, considerato il mio interesse nei confronti delle declinazioni del fraterno in ambito Perturbante) occorre anche sottolineare che le modalità narrative che Schirmer mette in atto per descrivere tale tessuto relazionale, appaiono molto raffinate pur nella loro semplicità di esecuzione. Penso ad esempio alla bellissima sequenza in cui vediamo Steve rincorrere Marty su e giù per i vagoni dismessi fino alla vasta campagna verde, e in particolare all'inquadratura di Steve che allunga la sua mano a Marty per farlo alzare da terra: poche pennellate, nessun trucco o effetto speciale di sorta, solo due fratelli che si inseguono e poi s'incontrano ri-generando un'alleanza profonda, inscindibile, aldilà del Bene e del Male. Una sequenza a mio avviso da tenere in mente e da studiare con attenzione perché assume un senso radicalmente fondamentale in tutta l'economia del film. Quell'abbraccio finale, commovente, tra Marty e Steve, in quella sequenza, è sufficiente a rendere "Found" un'opera perturbante da ricordare e che ci mostra quanto siano le idee, le persone, a conferire a un film un valore estetico significante, aldilà del fatto che sia etichettato nella cornice del cinema indipendente. Anche la sequenza della rissa familiare, nella quale Steve aggredisce il padre per difendere il fratello dalle percosse, possiede una sua grande forza che mi verrebbe da definire "neorealista": molte assistenti sociali credo si occupino di situazioni di questo tipo quotidianamente, voglio dire.
Sul piano della sceneggiatura, il tragico avvitamento finale coglie inoltre lo spettatore da una parte impreparato e dall'altra lo fa sentire come liberato dalla colpa di poter (finalmente!) "tifare" per i due fratelli, diventati due Caini senza alcuna traccia di Abele, che insieme uccidono il Dio-Padre che li ha messi al mondo a loro insaputa. E' come se Schirmer ponesse tutto il sapore del Perturbante in questa ultima parte della sceneggiatura, rallentando la storia appositamente lungo il corso di tutta la pellicola, fino a fare esplodere catarticamente, ma soprattutto tragicamente (nel senso della tragedia greca classica) solo alla fine tutte le contraddizioni. Lo spettatore rimarrà solo, davanti ad una violenza, ad una tragicità che Schirmer decide saggiamente di lasciare lungamente fuori scena, accompagnato da una musica tribale martellante (di Johson, Wright e Velasco) , inquadrando il volto sofferente di Marty, legato al letto e imbavagliato.
Opera pensata, ben elaborata sul piano della scrittura, interpretata con gran profondità e grazia da parte dei due giovani protagonisti, "Found" è certamente un film importante, degno di essere visto, ma soprattutto di essere studiato e meditato a lungo, in particolare sul versante del suo approfondimento molto originale della relazione fraterna nella sua dimensione perturbante.
Regia: Scott Schirmer Soggetto e Sceneggiatura: Todd Rigney (novel), Scott Schirmer Montaggio: Scott Schirmer Fotografia: Leya Taylor Musiche: Magician Johnson, Greg Wright, Lito Velasco Cast: Gavin Brown, Ethan Philbeck, Phyllis Munro, Louie Lawless, Alex Kogin, Addy Alphonse, Shane Beasley, Angela Denton, Kitsie Duncan, Kate Brown, Edward Jackson, Adrian Cox-Thurmond Nazione: USA Produzione: Forbidden Films Durata: 103 min.
(Qui sotto i titoli di testa, disegnati e illustrati da Lowell Isaac)
Finalmente qualche recensione anche italiana di questo che considero uno dei migliori horror recenti e, personalmente parlando, uno dei più emozionanti. Ho iniziato a leggere pure i racconti di Todd Rigney che ha scritto il racconto Found ed è uno scrittore che vale la pena di tenere d'occhio (anche perché è pazzo). Ora prova Headless: sotto la superficie disturbante magari non proprio per tutti i palati dovrebbe offrirti molti spunti di riflessione sulla psiche come quelli che hai sviluppato in questo post.
RispondiElimina@ Bara Volante: Sì, assolutamente, consiglio :)
RispondiElimina@ Lennynero: guarda, personalmente ho trovato geniale già la sequenza dei titoli di testa. Un piccolo capolavoro a se stante. Avevo visto la tua recensione ma non l'ho letta appositamente per non farmi influenzare: la tua poetica recensoria ha infatti un taglio molto particolare ed influenza molto, a mio avviso. Bisogna tenerti un pò a distanza, voglio dire, visionare un film facendosi una propria idea per poi tornare a leggerti. E infatti è quello che di solito faccio. Sono contento che la mia recensione sia stata da te apprezzata (la mia chiave di lettura è sempre un pò psicoanalitica: ho questo neo, che vuoi fare: nessuno è perfetto :).
Headless è nel mio elenco, sebbene in questo periodo sia molto preso dal lavoro e abbia purtroppo poco tempo, ahimè (poi in questi giorni ho un'influenza da cavallo e sono a letto con la febbre alta...). A presto :)
@ lennynero: hai fatto bene a citare Todd Rigney, di cui non ho appositamente parlato nella mia recensione, ma solo citato in fondo nell'area della sceneggiatura. Se un Autore non lo conosco non ne parlo. Lo cercherò :)
RispondiEliminaUn prospettiva di lettura tecnico-specifica in realtà evidenzia aspetti, fondamentali in film come questo, che altri, me compreso, non saprebbero formalizzare correttamente (ci si avvicina con i concetti e le parole, ma non li s'inquadra in modo preciso). Todd Rigney è...fumettistico. ;) Prova, è una lettura molto particolare e mi stupisco che ne sia uscito fuori Found da un suo racconto. (Headless per gli incubi da febbre è coadiuvante...).
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