Sabato 30 marzo parto per un viaggio a New York di una settimana. Spero vivamente di riuscire a trovare il tempo di andare al cinema a vedere almeno un film meritevole e non ancora uscito dalle nostre parti. L'ideale sarebbe che trovassi, a Manhattan, cinema che abbiano in programmazione film horror anche underground o indie, ma per adesso, spulciando la rete, non sono riuscito a trovare niente in questo senso. Nuova uscita statunitense, in sala è "The Call", di Brad Anderson, quello di "Session 9" (2001), "Transsiberian" (2008) e "The Machinist" ("L'uomo senza sonno") - 2001. "The Call" credo quindi che lo andrò a vedere, a Manhattan, appunto e al mio ritorno lo recensirò, spolverandomi la spalla perché l'avrò visto in originale in un vero cinema americano, magari nelle vicinanze di Broadway. Se tuttavia i miei pazienti e colti lettori mi sapessero indicare altre uscite statunitensi perturbanti di questi prossimi giorni, siti dedicati a tali programmazioni, e magari cinema newyorkesi dove si possano visionare, sarei loro più che grato. Per ora auguro a tutti Buona Pasqua!
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mercoledì 27 marzo 2013
sabato 16 marzo 2013
Antiviral, di Brandon Cronenberg (2012)
In un futuro non molto lontano, Syd March è un giovane che lavora per una società che fornisce servizi molto speciali: l'azienda commercia in malattie che hanno ucciso famose stelle del mondo della musica e dello spettacolo, e da cui i loro fan fedeli desiderano essere infettati per provare le stesse sensazioni psicofisiche dei loro idoli. Il lavoro di Syd consiste nel consigliare ai clienti il virus che fa per loro. Ma Syd non ne ha mai abbastanza di denaro, e così mette in piedi un'attività clandestina: ruba malattie e le spaccia a clienti ovviamente paganti, nascondendo tali traffici all'azienda. Quando tuttavia Syd si ammala della malattia della sua eroina preferita, la giovane e bella Hanna Geist, ecco che il giovane diventa bersaglio del desiderio feticistico di molti clienti. Per salvarsi la pelle dovrà svelare il mistero che avvolge la morte della ragazza...
L'impatto estetico-perturbante di quest'ultima opera di Brandon Cronenberg è considerevole. A partire dalla locandina, potremmo dire, che evoca un'aura sanitaria asettica e insieme misteriosa, che è poi lo spirito che aleggia in tutto il film, un perfetto mix di immagini algide e decomposizione corporea, da sembrare ispirato alle opere di Francis Bacon. Il sottotesto principale che muove le fila della narrazione filmica è senza dubbio una riflessione sulle nuove, moderne, attuali forme di feticismo diffuso, planetario. Un feticismo non più chiuso nella psicopatologia del singolo, non più eccezione alla regola, alla normalità dei più, bensì "malattia" psichica delle masse, dei gruppi, forse dell'umanità, sebbene Cronenberg non si spinga in territori antropologici o filosofici nella sua personale riflessione sul tema, e giustamente. Cronenberg si limita a girare una storia che rivitalizza lo stile di suo padre, le sue intuizioni geniali, la sua estetica. Tale operazione viene effettuata essenzialmente attraverso un lavoro sull'immagine, sempre luminosissima, asettica, fredda, ma che subito abbraccia l'orrido-perturbante generando un equilibrio visivo che si fa tuttavia portatore di profonde inquietudini. E' come se fossimo portati in un perfetto giardino zen che rimane sempre lindo e pulito, ma nel quale appaiono improvvisamente i segni inesorabili di un'infezione mortale, senza scampo. Bellissime le sequenze in cui vediamo i giovani dipendenti della Lucas Clinic che chiacchierano tranquillamente di autopsie e intossicazioni alimentari, mentre camminano su sfondi immacolati e vestono sobriamente in giaccia e cravatta. Crononberg non utilizza mezzi splatteriformi o effetti speciali particolarmente raffinati per stupire quel tanto che basta e condurci così al botteghino. Anzi, al contrario centellina sangue e carne come un vino pregiato d'annata; ma è giustappunto questa ritmica lenta ed equilibrata tra stile zen e feticismo del corpo a generare una sottile, continua e persistente inquietudine nello spettatore. "Antiviral" è in ogni caso un film sul feticismo, sulla presenza di questo elemento sottotestuale non abbiamo dubbi, e anche da questo versante (cioè da quello dell'osservazione psicopatologica da parte di un medium artistico quale è un film) il film assolve egregiamente la funzione di lente di ingrandimento estetico di uno squilibrio psichico molto studiato dalla psicoanalisi di tutti i tempi, a partire naturalmente da Freud, e sul quale si fonda grande parte della teoria psicoanalitica stessa (basti pensare a tutto il filone freudiano relativo ai legami tra feticismo e negazione della castrazione, oppure al tema della perversione come difesa dalla psicosi). A tale proposito mi pare molto significativa la sequenza in cui Syd entra nella stanza dove trova un grande schermo digitale in cui vede il suo idolo femminile, Hanna Geist, completamente nuda. La Tv è avvolta da drappi di velluto rosso che dominano la scena con la loro purpurea presenza cardinalizia: siamo di fronte ad un contrasto estetico radicale, ulteriore declinazione della fissità mortifera del feticcio. Siamo di fronte ad un'immagine che ricorda certi quadri di Magritte, e che potrebbe certamente essere oggetto di studi psicoanalitici. Sulla stessa linea narrativa "magrittiana" e bizzarra, vanno collocati i dialoghi, surreali e potenti come palle di piombo: "Sei consapevole che stanno ancora coltivando le cellule tumorali di una donna morta negli anni '50, Henrietta Lacks? Sì, le usano per la ricerca. Quindi quelle sue cellule sono ancora vive e si moltiplicano in tutto il mondo. La vita dopo la morte sta diventando estremamente perversa", racconta a Syd un ricercatore nel suo laboratorio nel quale vengono trattate le cellule di divi e dive. Naturalmente anche Syd, il protagonista (un Caleb Jones altrettanto perfattemente ossimorico nel vestire i panni di una specie di cantante rock britannico anno '80, ma in giacca e cravatta), si troverà avvolto dalle spire fatali del mondo perverso che abita. Sarà costretto a farsi detective, ricercatore a sua volta di una verità che si perde nei gorghi della finzione e della simbiosi con la superstar idealizzata. Tornando al girato, la mano di Cronenberg scandisce la storia mediante una tempistica volutamente lenta, cerebrale, come a voler ribadire che il tempo del feticcio è un tempo immobile, è il Tempo dell'Inconscio. Da questo punto di vista il film può apparire lento ed involuto, ma ad esempio l'uso molto statico dei piani medi è a sua volta studiatamente voluto e volto a dare voce all'immagine in quanto tale. La fotografia dell'ottimo Karim Hussain (già egregiamente all'opera in "The Theatre Bizarre", di Buck, Giovinazzo et al., 2011) e le musiche, molto cupe, di E.C.Woodley, accompagnano magistralmente tutto il racconto. Per concludere, nonostante i suoi lunghi, impegnativi 108 minuti di pellicola, "Antiviral" mantiene sempre una linea narrativa che si fa ben seguire, a tratti anche come un romanzo giallo, a tratti come un romanzo di fantascienza suburbana in stile China Mieville, oltre che come un horror pur molto "di pensiero" più che di "effetto". I rimandi al corporeo e alle sue trasformazioni sono infine ancorati al codice stilistico paterno (il David Cronenberg di "Inseparabili" - 1988, per esempio, se guardiamo al tema della simbiosi patologica), ma sono elaborati con piglio personale e niente affatto derivativo. "Antiviral": tra i film di genere Perturbante più interessanti degli ultimi anni, quindi da vedere assolutamente.
Regia: Brandon Cronenberg Soggetto e Sceneggiatura: Brandon Cronenberg Fotografia: Karim Hussain Montaggio: Mattew Hannam Musiche: E.C. Woodley Cast: Caleb Landry Jones, Sarah Gadon, Malcolm McDowell, Douglas Smith, Joe Pingue, Nicholas Campbell Nazione: Canada, USA Produzione: Rhombus Media Durata: 108 min.
sabato 2 marzo 2013
Hansel And Gretel - Witch Hunters, di Tommy Wirkola (2013)
Circa quindici anni dopo essere scappati dalla casa di marzapane, e dopo aver ucciso la strega che li segregava, Hansel e Gretel sono diventati due spietati cacciatori di streghe che rapiscono bambini per mangiarseli. Per loro è un duro lavoro.
Tommy Wirkola non è un regista qualunque. Ha diretto il nazi-horror "Dead Snow" (2009), prova interessante e creativamente anomala, ma ancora immatura rispetto a quest'ultimo film nel quale il gusto dell'intrattenimento è in primo piano, ma realizzato con mano seria e con tutti i comparti realizzativi che fanno il loro dovere nel modo migliore. Lo script non è poi da meno, soprattutto perché riprende la fiaba tedesca di "Hänsel e Gretel", riportata dai Fratelli Grimm, molto evocativa e perturbante. La fiaba, che presenta numerosi punti di contatto con il "Pollicino" di Charles Perrault, è densa di rimandi simbolici che toccano le corde dell'immaginario infantile, mettendo in scena un negativo materno rappresentato dalla strega, intenso archetipo di un seno materno che apparentemente nutre (la casa di marzapane) ma in realtà avvelena e inghiotte, capovolgendo le aspettative di qualsiasi bisogno infantile. Il Perturbante di questa fiaba risiede proprio in questo capovolgimento di prospettiva (la mamma-fata turchina che diventa strega divoratrice) utile a raffigurare e a mettere in scena profonde angosce primitive di ogni bambino e, in qualche modo a "esorcizzarle" attraverso il setting narrativo nel quale si sviluppa e si risolve. Lo script di questo film di Wirkola riprende fedelmente nelle prime sequenze il testo dei Grimm, conferendo alla struttura della fiaba tedesca, uno spessore visivo che attinge molto suggestivamente al repertorio horror, scelta stilistica che ci fa capire subito la linea creativa su cui Wirkola ha intenzione di far procedere il film. Le prime sequenze sono infatti molto ben girate. Fanno rivivere la fiaba originaria immergendola in un'atmosfera sulfurea entro cui la strega fa davvero paura: non è una vecchietta rattrappita come la strega di Biancaneve. Al contrario è una specie di orribile zombie che non ci piacerebbe proprio incontrare, soprattutto in un bosco, magari ai confini della Foresta Nera. E' molto forte il contrasto tra i due fratellini abbandonati dal padre in una radura isolata, e questo essere inquietante e sdentato; un contrasto che produce un effetto notevole sullo spettatore, immettendolo subito in media res, senza bisogno di ricorrere a inutili fronzoli romantico-fiabeschi. A partire da questa storia archetipica la sceneggiatura prende poi una via tutta sua, nuova, impensata e "attuale", nel senso che trasforma la fiaba spostandola a quindici anni dopo e rendendola terreno fertile per generare un fantasy-horror molto ben ambientato, costruito e narrato. La ricostruzione scenica del villaggio tedesco in cui Hansel e Gretel, ormai divenuti adulti e diventati cacciatori di streghe sulla base del loro trauma originario, è perfetta, raffinatissima. Notevoli le sequenze che riprendono momenti della vita quotidiana del villaggio, con i bambini per strada che giocano con le spade di legno, nonché quelle del mercato col banco del fruttivendolo e le oche che camminano per strada. Sembra di assistere, mi perdoni Ermanno Olmi, a una sorta di "Albero degli zoccoli" (1978) virato decisamente all'horror, ma anche all'azione pura, al puro intrattenimento. Tutti ingredienti che producono ottimi effetti sul nostro immaginario filmico e, direi, lo nutrono di nuova linfa, integrandosi tra loro in modo sintonico. Non mancano infatti rimandi e citazioni all'enciclopedia cinematografica horror di tutti i tempi, basti solo pensare alla sequenza dei fili di acciaio tirati tra gli alberi, e che tagliano a fette le streghe mentre volano sulle loro scope, chiaro riferimento a una nota e topica sequenza di "The Cube" di Vincenzo Natali (1997). Molte sequenze si avvicinano poi addirittura a un gusto splatter, senza mai eccedere o toccare le corde del grottesco, rischio molto presente nel costruire una storia così, davvero, e totalmente immaginaria (per quanto riguarda lo splatter, si veda la sequenza dell'uomo il cui corpo letteralmente esplode all'interno della locanda, imbrattando di sangue e frattaglie una Gretel comunque avvezza a frammentazioni e teste di streghe mozzate, e che quindi, giustamente, non fa una piega. Tale sequenza fa pensare ad "Hatchet" di Adam Green, 2006, ma si tratta di un gore utilizzato senza ironia alcuna, e finalizzato a cementare un racconto ben organizzato e serio). Siamo di fronte ad un immaginario cinematografico che tuttavia ha qualcosa da dire anche sul piano psicologico: Hansel e Gretel non sono dei semplici vendicatori alla Tarantino. Le loro azioni nel presente partono da un grave trauma abbandonico del passato che diventa tensione affettivo-riparativa rivolta ai bambini del loro tempo presente, che i due eroi vogliono sottrarre alla crudeltà da loro stessi vissuta. Da un certo punto di vista si potrebbe anche interpretare tutto il film come una riflessione sul tema del Trauma in sè, e sulla necessità di una sua trasformazione che necessita comunque e sempre un dolore e una lotta interiore, affrontabili solo da una coppia, da una relazione, da una "fratellanza", e mai in solitudine, pena il ripetersi coattivo e immodificabile di fantasmi inconsci angoscianti e paralizzanti (le streghe). Gli attori, soprattutto un sofferto e concentrato Jeremy Renner (Hansel), ma anche la bellissima e implacabile Gemma Arterton (Gretel), sono bravi e capaci integrare gli elementi del trauma (e della sua elaborazione), con quello dell'intrattenimento in chiave gotico-perturbante, mantenendo sempre alto il livello di attenzione dello spettatore. Musiche (di Atli Örvarsson) e fotografia (di Michael Bonvillain) forniscono solide sponde a una storia che sorprende per coerenza e resa narrativa. Complimenti a Tommy Wirkola, dunque, che in futuro ci piacerebbe però vedere un pò meno impegnato a inseguire l'action movie, e un pò più rivolto all'approfondimento del Perturbante in quanto tale. "Hansel e Gretel - Witch Hunters": decisamente consigliato.
Regia: Tommy Wirkola Soggetto e Sceneggiatura: Tommy Wirkola Fotografia: Michael Bonvillain Montaggio: Jim Page Musiche: Atli Örvarsson Cast: Gemma Arterton, Jeremy Renner, Famke Janssen, Peter Stormare, Minique Ganderton, Ingrid Bolsö Berdal Nazione: Germania, USA Produzione: Paramount Pictures, Metro-Goldwyn-Mayer, Gary Sanchez Productions Durata: 88 min.
Regia: Tommy Wirkola Soggetto e Sceneggiatura: Tommy Wirkola Fotografia: Michael Bonvillain Montaggio: Jim Page Musiche: Atli Örvarsson Cast: Gemma Arterton, Jeremy Renner, Famke Janssen, Peter Stormare, Minique Ganderton, Ingrid Bolsö Berdal Nazione: Germania, USA Produzione: Paramount Pictures, Metro-Goldwyn-Mayer, Gary Sanchez Productions Durata: 88 min.
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