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martedì 3 gennaio 2017

Pet, di Carles Torrens (2016)


Un thriller psicologico che ci racconta di un giovane uomo, custode di un canile cittadino, che una sera, dopo il lavoro, incontra su un autobus una sua vecchia compagna di liceo e se ne innamora. Questo "amore" diventa un'ossessione che lo porterà ad imprigionare la donna in una gabbia, ma non sarà tanto facile per lui sopravvivere all'incubo da lui stesso generato...


"Pet", di Carles Torrens, risente molto benignamente della tradizione cinematografica horror ispanica, tanto che al sottoscritto ha fatto venire in mente "The Others" (2001), di Alessandro Amenábar, film di tutt'altro tessuto, naturalmente, ma che sul piano delle architetture drammaturgiche possiede molte cose in comune con "Pet". Sto parlando soprattutto del capovolgimento radicale di prospettiva, che in questo film arriva però già a metà pellicola, mentre in quello di Amenábar spiazzava tutti solo negli ultimi minuti. "Pet", a differenza di "The Others" non attinge però a nulla di sovrannaturale. È un film che parla infatti di una perversione di coppia, di un classico fenomeno sado-masochistico, ma lavorandolo secondo modalità di scrittura originalissime, a volte acrobatiche, a volte esplicitamente gore oriented, molte volte completamente inverosimili, ma nel complesso mantenendo sempre attuned lo spettatore. 

È ovvio che non racconterò qui la trama del film, che va visto e assimilato a freddo, senza nessun riferimento, senza neppure visionare il trailer, direi. In questa recensione mi limiterò a dire che è il capovolgimento di prospettiva collocato più o meno a metà del girato, il vero colpo di genio del regista, che ci fa vedere improvvisamente un altro film, pur mantenendo invariato lo stilema del rapporto vittima-carnefice. Ho trovato poi questo film molto filosofico, proprio nel trattare il tema dell'Alteritá (alterità del Femminile per il Maschile, del Male per il Bene, della Verità per la Menzogna, dell'Umano per l'Inumano, etc.). Filosofico nel senso di Sartre, dell''enfer sont les autres', non importa se al di là o al di qua delle sbarre della prigione che ci imprigionano. Inoltre uno dei protagonisti, Seth, custode di un canile di una anonima metropoli statunitense, è peraltro già imprigionato all'interno di una solitudine quasi autistica, esattamente uguale all'autismo in cui è isolata Holly, l'altra protagonista, che fa la cameriera in un banalissimo drugstore della stessa città. Seth e Holly (lui un Dominic Monaghan che è in grado di rivestire perfettamente bene i panni di un soggetto inibito, ossessivo e solo; lei una Ksenia Solo fredda come un ghiacciolo, ma nel senso del "ghiaccio bollente") sono prigionieri chiusi in due fortezze diverse, che si trovano un giorno in contatto, per una pura fatalità. Ma si tratterà sempre, fino al tragico epilogo, di un contatto impossibile, di una distanza incolmabile, di uno scarto impossibile da sanare tra queste due Alterità. 

L'unico linguaggio possibile, l'unico codice comunicativo che i due membri di questa coppia possono utilizzare, è appunto quello della perversione, del feticcio che si fa oggetto inanimato, o comunque reso non umano, come unica via perché l'amore possa esprimersi. Un Amore che non è Amore, naturalmente, e d'altra parte cos'è l'Amore, sembra domandarsi Torrens mentre fissa i primi piani di Holly e Seth per accompagnarne i toccanti, acidissimi, sferzanti dialoghi, tutti imperniati, appunto, sul tema dell'amore e della sua consustanziale impossibilità. 

Oltre a Sartre, "Pet" mi ha fatto certamente pensare a Lacan, proprio a quel Lacan che afferma che "Amore è dare qualcosa che non si ha a qualcuno che non lo vuole", aforisma paradossale che chiama in causa l'Io come soggetto continuamente decentrato da sè, sempre alla ricerca di un Altro che gli faccia da specchio narcisistico, nell'inconsapevolezza che questo "specchio" si è rotto da tempo, oppure non c'è proprio mai stato. Le ultime, tragiche, inquietanti sequenze del film, ci dicono proprio questo, ci parlano infatti di una relazione umana fondata sul non riconoscimento, sul non rispecchiamento, sul grado zero dell'empatia come fondamento paradossale della relazionalità. 

“Pet” non è un film che può definirsi un capolavoro. Sono presenti nella pellicola molti scivoloni dovuti non saprei neanche dire a cosa: superficialità? Impulsività/focosità ispanica? Giovane età del regista? Peraltro Torrens a soli 32 anni mette in pista un circo emotivo non da poco, perbacco, e quindi possiamo pure perdonargli certi svarioni. Mi riferisco alle sequenze della morte cruenta di Nate, l'obeso poliziotto, che non ci sta affatto simpatico e che fin dall'inizio ci immaginiamo subito dovrà fare la fine che si merita. Tali sequenze sono obiettivamente tagliate a colpi di scure da un novantenne epilettico, più che lavorate al cesello da un giovane regista trentaduenne, e non ne capiamo davvero il motivo. Tutto sommato anche l'identificazione di Seth con il suo alienante lavoro di custode di cani destinati ad essere soppressi via iniezione letale,  poteva essere trattato con psicologia più raffinata, considerato il fatto che tutto il resto dei comparti (luci, sonoro, allestimento, etc.) sono tutti molto curati, in particolare la luce, sempre asciutta e limpida, come a voler dire “questa è la realtà, caro spettatore”. 

Ma Torrens si riscatta alla grande soprattutto nella traduzione complessiva della sceneggiatura molto intrigante di Jeremy Slater, e nei dialoghi, che sembrano scritti da uno psicoanalista lacaniano (come accennavo appunto più sopra). Dialoghi corrosivi, altalenanti, puro linguaggio della perversione, linguaggio dissanguato, dissociato completamente dall'affetto, e sfociante nella magistrale sequenza del dito, tanto inverosimile quanto potente se guardata da un versante puramente simbolico. Non so se Torrens avesse in mente sottotesti psicologici particolari, ma la visione di questo film mi ha fatto pensare alla perversione, al conflitto, all'ambivalenza inconscia presenti in molte coppie "normali", anzi, per dirla con lo psicoanalista inglese Christopher Bollas, "normotipiche", coppie il cui legame è fondato sul rancore, non tanto sull'amore, e nelle quali il rapporto si fonda sulla sopraffazione. “Pet” ha alcuni grossolani difetti stilistici (soprattutto nella seconda parte del film), che tuttavia è egregiamente capace di farci dimenticare attraverso la focalizzazione molto mirata ed efficace sull'interazione di una coppia intossicata da emozioni impensabili e naturalmente catastrofiche. Un film che chiude in bellezza il 2016 degli eventi cinematografici del genere Perturbante a noi caro.   

Regia: Carles Torrens Soggetto e Sceneggiatura: Jeremy Slater   Cast: Dominic Monaghan, Ksenia Solo, Jenette McCurdy, Da'Vone McDonald, Nathan Parsons, Janet Song.   Nazione: Spagna, USA  Produzione: Magic Lantern, Revolver Picture Company Durata: 1h, 34 min.