Un thriller psicologico che ci racconta di un giovane uomo, custode di un canile cittadino, che una sera, dopo il lavoro, incontra su un autobus una sua vecchia compagna di liceo e se ne innamora. Questo "amore" diventa un'ossessione che lo porterà ad imprigionare la donna in una gabbia, ma non sarà tanto facile per lui sopravvivere all'incubo da lui stesso generato...
"Pet",
di Carles Torrens, risente molto benignamente della tradizione
cinematografica horror ispanica, tanto che al sottoscritto ha fatto
venire in mente "The Others" (2001), di Alessandro
Amenábar, film di tutt'altro tessuto, naturalmente, ma che sul piano
delle architetture drammaturgiche possiede molte cose in comune con
"Pet". Sto parlando soprattutto del capovolgimento radicale
di prospettiva, che in questo film arriva però già a metà
pellicola, mentre in quello di Amenábar spiazzava tutti solo negli
ultimi minuti. "Pet", a differenza di "The Others"
non attinge però a nulla di sovrannaturale. È un film che parla
infatti di una perversione di coppia, di un classico fenomeno
sado-masochistico, ma lavorandolo secondo modalità di scrittura
originalissime, a volte acrobatiche, a volte esplicitamente gore
oriented, molte volte completamente inverosimili, ma nel
complesso mantenendo sempre attuned lo
spettatore.
È ovvio che non racconterò qui la trama del film, che
va visto e assimilato a freddo, senza nessun riferimento, senza
neppure visionare il trailer, direi. In questa recensione mi limiterò
a dire che è il capovolgimento di prospettiva collocato più o meno
a metà del girato, il vero colpo di genio del regista, che ci fa
vedere improvvisamente un altro film, pur mantenendo invariato lo
stilema del rapporto vittima-carnefice. Ho trovato poi questo film
molto filosofico, proprio nel trattare il tema dell'Alteritá
(alterità del Femminile per il Maschile, del Male per il Bene, della
Verità per la Menzogna, dell'Umano per l'Inumano, etc.). Filosofico
nel senso di Sartre, dell''enfer sont les autres', non importa se
al di là o al di qua delle sbarre della prigione che ci imprigionano.
Inoltre uno dei protagonisti, Seth, custode di un canile di una
anonima metropoli statunitense, è peraltro già imprigionato
all'interno di una solitudine quasi autistica, esattamente uguale
all'autismo in cui è isolata Holly, l'altra protagonista, che fa la
cameriera in un banalissimo drugstore della stessa città. Seth e
Holly (lui un Dominic Monaghan che è in grado di rivestire perfettamente bene i panni di un soggetto inibito, ossessivo e solo; lei una Ksenia Solo fredda come un ghiacciolo, ma nel senso del "ghiaccio bollente") sono prigionieri chiusi in due fortezze diverse, che si trovano
un giorno in contatto, per una pura fatalità. Ma si tratterà
sempre, fino al tragico epilogo, di un contatto impossibile, di una
distanza incolmabile, di uno scarto impossibile da sanare tra queste
due Alterità.
L'unico linguaggio possibile, l'unico codice
comunicativo che i due membri di questa coppia possono utilizzare, è
appunto quello della perversione, del feticcio che si fa oggetto
inanimato, o comunque reso non umano, come unica via perché l'amore
possa esprimersi. Un Amore che non è Amore, naturalmente, e d'altra
parte cos'è l'Amore, sembra domandarsi Torrens mentre fissa i primi
piani di Holly e Seth per accompagnarne i toccanti, acidissimi,
sferzanti dialoghi, tutti imperniati, appunto, sul tema dell'amore e
della sua consustanziale impossibilità.
Oltre a Sartre, "Pet"
mi ha fatto certamente pensare a Lacan, proprio a quel Lacan che
afferma che "Amore è dare qualcosa che non si ha a qualcuno che
non lo vuole", aforisma paradossale che chiama in causa l'Io
come soggetto continuamente decentrato da sè, sempre alla ricerca di
un Altro che gli faccia da specchio narcisistico,
nell'inconsapevolezza che questo "specchio" si è rotto da
tempo, oppure non c'è proprio mai stato. Le ultime, tragiche,
inquietanti sequenze del film, ci dicono proprio questo, ci parlano
infatti di una relazione umana fondata sul non riconoscimento, sul
non rispecchiamento, sul grado zero dell'empatia come fondamento
paradossale della relazionalità.
“Pet” non è un film che può
definirsi un capolavoro. Sono presenti nella pellicola molti
scivoloni dovuti non saprei neanche dire a cosa: superficialità?
Impulsività/focosità ispanica? Giovane età del regista? Peraltro Torrens a soli 32 anni mette in pista un circo emotivo non da poco,
perbacco, e quindi possiamo pure perdonargli certi svarioni. Mi riferisco
alle sequenze della morte cruenta di Nate, l'obeso poliziotto, che
non ci sta affatto simpatico e che fin dall'inizio ci immaginiamo
subito dovrà fare la fine che si merita. Tali sequenze sono
obiettivamente tagliate a colpi di scure da un novantenne epilettico,
più che lavorate al cesello da un giovane regista trentaduenne, e non ne capiamo davvero
il motivo. Tutto sommato anche l'identificazione di Seth con il suo
alienante lavoro di custode di cani destinati ad essere soppressi via iniezione letale, poteva essere trattato con psicologia più
raffinata, considerato il fatto che tutto il resto dei comparti (luci, sonoro,
allestimento, etc.) sono tutti molto curati, in particolare la luce,
sempre asciutta e limpida, come a voler dire “questa è la realtà,
caro spettatore”.
Ma Torrens si riscatta alla grande soprattutto
nella traduzione complessiva della sceneggiatura molto intrigante di Jeremy
Slater, e nei dialoghi, che sembrano scritti da uno psicoanalista
lacaniano (come accennavo appunto più sopra). Dialoghi corrosivi,
altalenanti, puro linguaggio della perversione, linguaggio
dissanguato, dissociato completamente dall'affetto, e sfociante nella
magistrale sequenza del dito, tanto inverosimile quanto potente se
guardata da un versante puramente simbolico. Non so se Torrens avesse
in mente sottotesti psicologici particolari, ma la visione di questo
film mi ha fatto pensare alla perversione, al conflitto,
all'ambivalenza inconscia presenti in molte coppie "normali", anzi, per dirla con lo psicoanalista inglese Christopher Bollas, "normotipiche", coppie il cui
legame è fondato sul rancore, non tanto sull'amore, e nelle quali il
rapporto si fonda sulla sopraffazione. “Pet” ha alcuni grossolani
difetti stilistici (soprattutto nella seconda parte del film), che
tuttavia è egregiamente capace di farci dimenticare attraverso la
focalizzazione molto mirata ed efficace sull'interazione di una
coppia intossicata da emozioni impensabili e naturalmente
catastrofiche. Un film che chiude in bellezza il 2016 degli eventi cinematografici del genere Perturbante a noi caro.
Regia: Carles Torrens Soggetto e Sceneggiatura: Jeremy Slater Cast: Dominic Monaghan, Ksenia Solo, Jenette McCurdy, Da'Vone McDonald, Nathan Parsons, Janet Song. Nazione: Spagna, USA Produzione: Magic Lantern, Revolver Picture Company Durata: 1h, 34 min.
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