Mentre indaga su una serie di efferati omicidi avvenuti all'interno di una villetta della provincia americana, lo Sceriffo Sheldon e il suo staff sono molto perplessi dal ritrovamento, nel seminterrato della stessa casa, dal corpo di una giovane donna che non ha nessun rapporto con la famiglia massacrata. Sheldon porta il cadavere della bella sconosciuta, soprannominata per l'occasione con il nome di Jane Doe, dall'anziano ed esperto medico Tommy Tilden, che insieme al figlio Austin Tilden, anch'egli medico, si mette al lavoro durante la notte, per poter dare qualche risposta a Sheldon. Austin dovrebbe in realtà uscire per andare al cinema con la fidanzata Emma, ma decide di rimanere col padre per dargli una mano. Nel corso di una notte tempestosa che col passare dei minuti si abbatte sulla città, durante l'autopsia effettuata sul cadavere della giovane donna, padre e figlio si imbatteranno in inquietanti e pericolose scoperte...
" The Autopsy of Jane Doe" è un film vecchia maniera, che si fa guidare da quell'antico spirito perturbante nato dalle radici della cultura popolare statunitense. Un Perturbante che nasce dal rapporto dell'uomo con il mistero della Natura, quella Natura ignota e ostile che i primi coloni stanziati nel New England intorno al 1700 si trovarono a dover affrontare in tutte le sue forme angoscianti. Senza voler produrre, come si dice, "spoiler" circa l'intreccio drammaturgico di questo film molto apprezzabile, possiamo senz'altro dire che Jane Doe porta egregiamente avanti il filone horror iniziato da "The Blair Witch Project" nell'ormai lontano 1999, e poi continuato altrettanto egregiamente da "The Witch", di Robert Eggers (2015).
Evidenziate preliminarmente le radici antropologiche ispirative perturbanti di "The Autopsy of Jane Doe", occorre sottolineare che il regista André Ørvedal, tratta tale materiale in modo nuovo e sulla base di una sceneggiatura (scritta da Ian Goldberg e Richard Naing) a tratti un pò tagliata a colpi di scure, ma che in molti altri punti regala inquietudini raffinate e ben orchestrate. Sul piano della scrittura filmica, ad esempio, il viraggio verso il sovrannaturale, che avviene nella seconda parte del film, è ben costruito sul piano delle tempistiche narrative, ma poi si incarta nel chiuso di un bagno (mi riferisco alla sequenza dell'improvviso attacco della "creatura" al vecchio coroner che si sta lavando le mani nel lavabo, mentre il figlio Austin è nell'altra stanza), bagno dal quale il film poi non esce più, metaforicamente, fino alle ultime sequenze, purtroppo. Ma nonostante questi aspetti determinati da una scrittura che desidera andare "in fondo alla storia", catturata dalla tentazione dello "spiegone" storico a tutti i costi, il film riesce comunque a costruire atmosfere cupe e a generare curiosità nello spettatore aprendosi ad un uso del gore molto raffinato e mai urlato. Sono inoltre presenti omaggi (inconsapevoli? Non credo proprio) al genere horror cinematografico più classico, vedi la sequenza della morte di Emma, circondata dalle luci diafane del seminterrato, che ricorda un certo Fulci, ma anche un certo Raimi, pur depurati da stilemi derivativi e appesantimenti cui facilmente si potrebbe incorrere, trattandosi di una materia così facilmente degradabile.
Credo però che il pregio maggiore di questo lungometraggio consista nel trattare il ritrito tema della possessione attraverso modalità originali, utilizzando certo una notevole dose di mistificazione e di sberleffo rivolto allo spettatore, che è portato a considerare il film, ad una prima occhiata, come un thriller, per poi vedere tutto un altro film, molto lontano da un thriller, ma che comunque mantiene sempre un elevato tenore perturbante. A tale riguardo le luci di Roman Osin aumentano il grado di inquietudine già presente in una scenografia molto ben allestita: la vecchia casa dei Tilden non nasconde infatti il suo passato, il suo vissuto familiare caratterizzato da questa strana "inseparabilità" di padre e figlio, senza una madre, forse continuamente rivista, "riconosciuta" nei cadaveri sui quali lavorano i due, giorno dopo giorno, quindi molto più presente di quanto ci si possa immaginare. Forse è proprio lei, Jane Doe, quella madre, che non vediamo mai, neppure in qualche ingiallita fotografia d'altri tempi, ma che ritorna nel corpo martoriato di Jane, vecchia e insieme nuova strega, come una madre, appunto. Una madre, in fondo, è - anche- sempre un pò una strega.
La riflessione sulla corporeità è un altro elemento che fa segnare a questo film un punto decisivo nella gara eterna con altri film dello stesso genere, a noi preferito. Una corporeità mostrata nella sua nudità organica, senza nessun intento esibitivo o in stile torture-porn. Le torture sono evocate, fatte immaginare, e forse proprio per questo sono ancor più cruente, se pensate su una giovane e ignara donna come Jane. La corporeità, i suoi fluidi, il sangue, il cuore, il cervello, sono qui inoltre mostrati attraverso modalità molto lontane da uno stile francese tipo "A' l'intérieur" (2007) o "Martyrs" (2008), esempi nei quali interno ed esterno del corpo collassano diventando una metafora dell'invasione del confine dell'Io (altro tema peraltro "topognomonico" di un Perturbante classicamente inteso) da parte di un "male" che arriva da un esterno potente, violento quanto ignoto. Qui invece il Male è all'interno di un corpo studiato, analizzato da un'ottica scientifica, fredda, anatomopatologica (fino alla fine il vecchio Tommy dirà dei cadaveri redivivi: "Ma questi sono solo corpi!"). Un corpo perfettamente conservato all'esterno e che mostra il male che alberga al suo interno proprio attraverso la testimonianza medico-legale, attraverso la evidence based medicine. Un vero capovolgimento di prospettiva, potremmo dire, che si spiega ovviamente solo con un sovrannaturale che sovverte il tempo storico della morte, mantenendo in vita la vita ma solo come involucro che conservi il tramandarsi dell'odio, della vendetta, della memoria del sopruso.
"The Autopsy of Jane Doe", ci parla quindi di tutti i soprusi. Ci parla delle morti anonime, delle prostitute uccise sui bordi delle tangenziali per vendette tra clan mafiosi, dei bambini annegati sui barconi al largo di Lampedusa, degli adolescenti delle banlieu o delle favelas massacrati dalle droghe e da una violenza insensata. Tutti loro, come la bella, giovane "strega" interpretata da una perfettamente cadaverica Olwen Catherine Kelly, sono delle Jane Doe, nome anonimo, impersonale, come impersonale è il Male che richiama in vita una loro impossibile domanda di risarcimento.
"The Autopsy of Jane Doe": da vedere.
Regia:André Ørvedal Soggetto e Sceneggiatura: Ian Goldberg, Richard Naing Fotografia: Roman Osin Montaggio: Patrick Larsgaard, Peter Gvodzas Cast: Emile Hirsch, Brian Cox, Ophelia Lovibond, Michael McElhatton, Olwen Catherine Kelly, Jane Perry, Parker Sawyers Nazione: USA Produzione: 42, IM Global, Impostor Pictures Durata: 1h e 39 min.
" The Autopsy of Jane Doe" è un film vecchia maniera, che si fa guidare da quell'antico spirito perturbante nato dalle radici della cultura popolare statunitense. Un Perturbante che nasce dal rapporto dell'uomo con il mistero della Natura, quella Natura ignota e ostile che i primi coloni stanziati nel New England intorno al 1700 si trovarono a dover affrontare in tutte le sue forme angoscianti. Senza voler produrre, come si dice, "spoiler" circa l'intreccio drammaturgico di questo film molto apprezzabile, possiamo senz'altro dire che Jane Doe porta egregiamente avanti il filone horror iniziato da "The Blair Witch Project" nell'ormai lontano 1999, e poi continuato altrettanto egregiamente da "The Witch", di Robert Eggers (2015).
Evidenziate preliminarmente le radici antropologiche ispirative perturbanti di "The Autopsy of Jane Doe", occorre sottolineare che il regista André Ørvedal, tratta tale materiale in modo nuovo e sulla base di una sceneggiatura (scritta da Ian Goldberg e Richard Naing) a tratti un pò tagliata a colpi di scure, ma che in molti altri punti regala inquietudini raffinate e ben orchestrate. Sul piano della scrittura filmica, ad esempio, il viraggio verso il sovrannaturale, che avviene nella seconda parte del film, è ben costruito sul piano delle tempistiche narrative, ma poi si incarta nel chiuso di un bagno (mi riferisco alla sequenza dell'improvviso attacco della "creatura" al vecchio coroner che si sta lavando le mani nel lavabo, mentre il figlio Austin è nell'altra stanza), bagno dal quale il film poi non esce più, metaforicamente, fino alle ultime sequenze, purtroppo. Ma nonostante questi aspetti determinati da una scrittura che desidera andare "in fondo alla storia", catturata dalla tentazione dello "spiegone" storico a tutti i costi, il film riesce comunque a costruire atmosfere cupe e a generare curiosità nello spettatore aprendosi ad un uso del gore molto raffinato e mai urlato. Sono inoltre presenti omaggi (inconsapevoli? Non credo proprio) al genere horror cinematografico più classico, vedi la sequenza della morte di Emma, circondata dalle luci diafane del seminterrato, che ricorda un certo Fulci, ma anche un certo Raimi, pur depurati da stilemi derivativi e appesantimenti cui facilmente si potrebbe incorrere, trattandosi di una materia così facilmente degradabile.
Credo però che il pregio maggiore di questo lungometraggio consista nel trattare il ritrito tema della possessione attraverso modalità originali, utilizzando certo una notevole dose di mistificazione e di sberleffo rivolto allo spettatore, che è portato a considerare il film, ad una prima occhiata, come un thriller, per poi vedere tutto un altro film, molto lontano da un thriller, ma che comunque mantiene sempre un elevato tenore perturbante. A tale riguardo le luci di Roman Osin aumentano il grado di inquietudine già presente in una scenografia molto ben allestita: la vecchia casa dei Tilden non nasconde infatti il suo passato, il suo vissuto familiare caratterizzato da questa strana "inseparabilità" di padre e figlio, senza una madre, forse continuamente rivista, "riconosciuta" nei cadaveri sui quali lavorano i due, giorno dopo giorno, quindi molto più presente di quanto ci si possa immaginare. Forse è proprio lei, Jane Doe, quella madre, che non vediamo mai, neppure in qualche ingiallita fotografia d'altri tempi, ma che ritorna nel corpo martoriato di Jane, vecchia e insieme nuova strega, come una madre, appunto. Una madre, in fondo, è - anche- sempre un pò una strega.
La riflessione sulla corporeità è un altro elemento che fa segnare a questo film un punto decisivo nella gara eterna con altri film dello stesso genere, a noi preferito. Una corporeità mostrata nella sua nudità organica, senza nessun intento esibitivo o in stile torture-porn. Le torture sono evocate, fatte immaginare, e forse proprio per questo sono ancor più cruente, se pensate su una giovane e ignara donna come Jane. La corporeità, i suoi fluidi, il sangue, il cuore, il cervello, sono qui inoltre mostrati attraverso modalità molto lontane da uno stile francese tipo "A' l'intérieur" (2007) o "Martyrs" (2008), esempi nei quali interno ed esterno del corpo collassano diventando una metafora dell'invasione del confine dell'Io (altro tema peraltro "topognomonico" di un Perturbante classicamente inteso) da parte di un "male" che arriva da un esterno potente, violento quanto ignoto. Qui invece il Male è all'interno di un corpo studiato, analizzato da un'ottica scientifica, fredda, anatomopatologica (fino alla fine il vecchio Tommy dirà dei cadaveri redivivi: "Ma questi sono solo corpi!"). Un corpo perfettamente conservato all'esterno e che mostra il male che alberga al suo interno proprio attraverso la testimonianza medico-legale, attraverso la evidence based medicine. Un vero capovolgimento di prospettiva, potremmo dire, che si spiega ovviamente solo con un sovrannaturale che sovverte il tempo storico della morte, mantenendo in vita la vita ma solo come involucro che conservi il tramandarsi dell'odio, della vendetta, della memoria del sopruso.
"The Autopsy of Jane Doe", ci parla quindi di tutti i soprusi. Ci parla delle morti anonime, delle prostitute uccise sui bordi delle tangenziali per vendette tra clan mafiosi, dei bambini annegati sui barconi al largo di Lampedusa, degli adolescenti delle banlieu o delle favelas massacrati dalle droghe e da una violenza insensata. Tutti loro, come la bella, giovane "strega" interpretata da una perfettamente cadaverica Olwen Catherine Kelly, sono delle Jane Doe, nome anonimo, impersonale, come impersonale è il Male che richiama in vita una loro impossibile domanda di risarcimento.
"The Autopsy of Jane Doe": da vedere.
Regia:André Ørvedal Soggetto e Sceneggiatura: Ian Goldberg, Richard Naing Fotografia: Roman Osin Montaggio: Patrick Larsgaard, Peter Gvodzas Cast: Emile Hirsch, Brian Cox, Ophelia Lovibond, Michael McElhatton, Olwen Catherine Kelly, Jane Perry, Parker Sawyers Nazione: USA Produzione: 42, IM Global, Impostor Pictures Durata: 1h e 39 min.
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