Tratto dal bestseller di Gillian Flynn, il thriller vede protagonista Nick Dunne (Ben Affleck) un uomo che decide di tornare nella sua città natale, in Missouri, per aprire un bar. Poco dopo, nel giorno del quinto anniversario del loro matrimonio, sua moglie Amy scompare misteriosamente e Nick diventa il sospettato numero uno della sua sparizione
Di solito quando
scrivo recensioni dopo aver visto un film, mi si organizzano
spontaneamente delle idee dapprima galleggianti nella mente, poi
sempre più aggregate
tra loro a formare la struttura dello scritto, che butto giù
direttamente sul template. Quasi
mai prendo appunti durante la visione per non disturbare l'esperienza
che vado facendo, e mai scrivo schemi preparatori alla recensione.
La
visione di "Gone girl" di David Fincher questa volta mi ha spinto
inspiegabilmente a scrivere una sorta di sinossi, come quando si
scrive un libro (un libro l'ho davvero scritto e un'altro è
in uscita l'anno prossimo,
scritto con alcuni colleghi, questo per dire che sto imparando a
capire cos'è una
"sinossi"). Credo che tale fenomeno mai occorsomi derivi
dal fatto che Fincher dispiega una tale quantitá
di materiale da "processare",
da obbligare a fermarsi un attimo per raccogliere bene le idee nero su bianco in
modo sufficientemente strutturato da poter essere espresso con dovuta
proprietá.
Ecco la sinossi, una specie di indice cioè,
di quello che dirò sul
film:
1) L'orologiaio di Denver: note tecniche generali sul film.
2) Sceneggiatura. Specularitá
e asimmetrie: la matrice di
"Seven".
3) Declinazioni della folie a deux.
4) Per una
rappresentazione plastica del transfert negativo: qualche notazione di ordine psicoanalitico.
5) Gli
"Oggetti alienanti" come motore centrale del
film.
6) Matrimonio-famiglia: un incontro impossibile?
7) "Gone girl":
ovvero sulla morte della curiositá
in amore.
*
* *
1) L'orologiaio
di Denver
Fincher
è
come
un orologiaio svizzero d'altri tempi, con l'unica differenza che è
nato
a Denver, Colorado. "Gone girl" è
un
meccanismo visivo-narrativo senza l'ombra di una sbavatura. Ogni
inquadratura, a partire da quelle dei titoli di testa è
pensata,
studiata, trasuda poesia ma sempre misurata, una poesia zen, un haiku
giapponese, per intenderci. Chi sarebbe capace di rendere poetico un
cavalletto segnaletico stradale semplicemente cogliendolo nella parte
di destra dell'inquadratura di un ambiente suburbano statunitense? E
per un tempo giusto, spaccato al millimetro, non un secondo di più,
non un secondo di meno? Lui ci riesce, con la complice fotografia
del fido Jeff Cronenweth.
La fotografia, appunto. Fincher
vuole alitarci addosso l'atmosfera soffocante di una relazione
matrimoniale autodistruttiva e quindi, da orologiaio maniacale fino
al manierismo quale è,
presta un'attenzione altrettanto maniacale alle oscillazioni continue
tra luci, ombre e penombre, illuminando il tutto di una luce
leggermente sgranata, concava, avvolgente ma non per alleggerire e/o
confortare la vista, al contrario per far entrare il più
rapidamente
possibile del puro vetriolo emotivo nei nostri coni e bastoncelli. I
legni della casa di Nick e Amy sono scuri, ne sentiamo la pesantezza,
che è
metafora
di una relazione avvitata su se stessa, ormai come un nodo scorsoio,
tanto per fare un esempio di come la fotografia parli qui di molte
più
cose
di quante ne illumina.
Il film funziona come un orologio
perfettamente oliato ovviamente anche a causa di un montaggio (di un Kirk Baxter da Oscar) che scandisce gli avvenimenti successivi alla misteriosa scomparsa
di Amy in modo fluido e insieme incalzante, giustapponendo un colpo
di scena dopo l'altro, sempre calato sulla nuca dell'ignaro
spettatore con la precisione di un karateka. Il sottoscritto è
rimasto
ad esempio letteralmente basito dalla tempistica narrativa dell'improvvisa apparizione di
Andie, personaggio centrale della storia (di cui non dirò
oltre
per non svelare nulla dell'intreccio), proprio in quel punto preciso
del plot, proprio in quel momento. Un orologio perfettamente
sincronizzato, anche con le musiche, infiltrative, metalliche,
estenuanti, in sintonia karmika con l'orologiaio di Denver, e messe a punto da Trent Reznor.
.2)
Sceneggiatura. Specularità e asimmetrie:la matrice di "Seven"
Ulteriore
associazione generata in me dal film è
la sua
perfetta specularitá
con
"Seven". Senza rivelare angoli segreti della storia tratta
dal romanzo di Gillian Flynn, possiamo infatti dire che anche nel
film del 1995 abbiamo un matrimonio, quello tra il detective Mills e
sua moglie, e anche lì
la
coppia è
attraversata (a
partire dall'esterno verso il suo intimo interno) da emozioni
selvagge e devastanti che la distruggono. In "Gone girl"
abbiamo lo stesso attraversamento di emozioni potenti e distruttive,
ma il movimento è
uguale
e contrario, cioè
procede
dall'intimo interno di una coppia e si sposta verso l'esterno,
coinvolgendo poi anche la realtá
amplificata
dei mass media, oltre che le famiglie dei due sposi.
È
possibile
che Fincher sia stato colpito da questa caratteristica morfologica
del romanzo della Flynn e vi abbia ritrovato un rispecchiamento, cioè
un
Doppio narcisistico, un "sosia" da studiare con cura? Può
essere
e può
anche
non essere, ma rimane a mio avviso il fatto che la matrice
(narcisistico-strutturale) di "Gone Girl" sembra essere
proprio "Seven": stesso andamento indiziario, stesso
avvitamento convergente verso il tragico finale, stesso sviluppo dialogico
con coinvolgimento di detective, declinati questa volta però
al
femminile (altro aspetto speculare non secondario). Anche in "Fight
Club", certo, risuona il tema del Doppio dissociato e
proiettato, ma lo sviluppo è
più lento,
discorsivo, mentre in "Gone Girl", tanto quanto in Seven,
l'andamento è
rapido,
sussultorio e ingravescente, fino al finale ad incastro perfetto,
annodato da mani più
che
esperte e per di più inestricabilmente irrisolvibile.
3) Declinazioni
della folie a deux
Flynn
e Fincher raccontano una storia che potrebbe essere definita come la
rappresentazione di una possibile declinazione di folie a deux
inconscia, generata cioè da inconsapevolezze reciproche da parte di
entrambi i membri della coppia. Nick è un ragazzone provincialotto,
proveniente dal Missouri, facilmente seducibile da parte di una
bella, ricca intellettuale newyorkese, molto disinvolta, disinibita,
iper-postmoderna, post-emancipata, che parla senza problemi della
propria vagina al tavolo con amici durante la festa in onore della
mamma scrittrice.
Sì, perché Amy Abbott ha ispirato le gesta di
molti libri per bambini, scritti dai suoi due genitori, la famosa
saga di "Amazing Amy". D'altr'onde Amy é figlia unica, con
una madre che tuttavia sembra aver amato di più il suo alterego
cartaceo che non sua figlia. La madre di Amy é a sua volta
un'intellettuale newyorkese, che non può permettersi a nessun costo
di fare "semplicemente" la madre. Amy entra dunque, piano
piano, nel personaggio di "Amazing Amy", ritagliato dai
genitori per costruire la bambina dei loro libri molto venduti.
Amy deve indossare quel vestito, pena la perdita dell'amore della
mamma e del papá, cioè la deprivazione affettiva assoluta, che per
un bambino equivale alla morte.
Amy e Nick si incontrano, si amano,
poi perdono il lavoro -la recessione economica li incalza- sono
costretti a trasferirsi in Missouri, nella casa della defunta madre
di Nick. Qui Amy subisce una prima ferita narcisistica non da poco:
deve abbandonare il suo status intellettuale, traslocando le
difficili, tormentate identificazioni con i genitori, in questo
ragazzotto di campagna, così prevedibile, così american
middle class. Nick
non é ovviamente in grado di contenere tali difficilissime
identificazioni, tutto quel dolore inespresso, tutto quel non essere
mai stata amata come figlia in quanto tale ma come sosia di un
personaggio di libri per l'infanzia. Nick non è consapevole, non si
"rende conto" di tutto questo. Ma anche Amy non "si
rende conto" che non ha sposato un deserto, ma un uomo con una
sua storia "semplice", e soprattutto diversa dalla sua.
Intanto non é un figlio unico, ma ha una sorella gemella: ti par
poco, Amy?
Niente da fare: l'inconscio dilaga, prende via via il
sopravvento, e nessuno dei due ha consapevolezza della rete di
frustrazioni traumatizzanti e di coazioni deprivanti che l'inconscio
sta tessendo a loro insaputa. La comparsa di Andie trasforma la
ferita narcisistica in squarcio insanabile, in delirio puro, in folie
a deux che implacabilmente segue le sue strade dereistiche. La strada
principale è segnata dal masochismo vendicativo, che infiltra
entrambi, allo stesso modo, sebbene in quantitá davvero differenti.
Non si tratta di folie a deux in senso stretto, naturalmente, ma di
una sua variante sado-masochistica. Non c'è infatti reale uccisione
dell'oggetto (o del soggetto=suicidio), ma intrappolamento psicotico
senza via di uscita, quasi una realizzazione assoluta del famoso
aforisma di Sartre ,"l'enfer
sont les autres". Il tutto è amplificato dalla reazione parassitaria dei mass media nazionali, che si buttano sulla vicenda come delle pulci su un cane.
4)
Per una rappresentazione plastica del transfert negativo: alcune notazioni di ordine psicoanalitico.
La
storia di Amy e Nick appare così,
se la vediamo da un vertice di osservazione psicoanalitico,
come una rappresentazione plastica, virata su un piano psicotico, di
un transfert negativo. Si tratta di situazioni in cui l'inconscio della
coppia (anche analitica) lavora con finezza distruttiva alla distruzione del
legame stesso, pur mantenendolo in vita. In alcuni casi tale situazione si trasforma in folie a deux,
finché, sperabilmente non accade qualcosa che genera un seme di
trasformazione possibile. Nick e Amy sono in questa situazione. Una
situazione di vero e proprio ingranamento psicotico, di indifferenziazione narcistica: non si capisce
mai, nel film, dove, come e quando tutto ciò che accade davanti ai
nostri occhi sia cominciato. Però è cominciato, e soprattutto
prosegue avvolgendo la coppia e noi che la osserviamo in
un'ammorbante sauna emotiva dal sapore acido e sulfureo. Proprio
quello che accade in un "transfert negativo". Perchè Amy si è trasferita nel
Missouri? Perchè Nick non ha capito che tipo di donna avesse
sposato? Perché Nick ha deciso di dipendere economicamente da Amy?
Tutte domande inutili: la trappola inconscia del legame ha già
posizionato le sue bombe ad orologeria. L'orologiaio di Denver non
può fare altro che mostrarcene il diabolico funzionamento nonchè
l'effetto
psicologicamente devastante.
5)
Gli "Oggetti alienanti" come motore centrale del film.
Come
ci ricorda Lenny Nero nella sua come al solito stimolante recensione, il film di Fincher è
stato curiosamente tacciato di misoginia. Concordo perfettamente con lui
sul fatto che non sia per nulla questo il motore centrale del film.
Ben altri sono i piani di lettura. Ben altre le origini
dell'ispirazione di Fincher. Almeno secondo il mio modesto parere. Una
di queste origini (probabilmente non tanto consapevole in Fincher, ma chi può dirlo?),
credo coincida con il concetto di "identificazione alienante",
concetto psicoanalitico che deriva da Ferenczi, per poi essere
lavorato finemente in epoca contemporanea da Bollas (1987), Käes
(2009), Kanciper (2002), e in Italia da Borgogno (1999), Molinari
(2007) e altri. Si tratta dell'idea secondo cui esistono individui in
cui gli oggetti d'amore primari, invece di costituirsi come modelli
positivi di identificazione, diventano parassiti interni che fin
dalla primissima infanzia si installano nella mente del bambino
invadendola di richieste e pretese di adesione ai propri ideali narcisistici,
generando un processo di alienazione da se stessi, che
successivamente si cronicizza in una personalitá
che si
perde nella dipendenza dall'altro per non sentire il vuoto della
mancanza d'amore originaria. Fincher a mio avviso vuole sottolineare proprio
questo: l'impossibilitá
da
parte di Amy di accettare anche solo un'ipotesi di separazione da
Nick, perché
letteralmente
invasa e colonizzata dagli oggetti alienanti costituiti dai suoi
genitori e dal personaggio-feticcio di "Amazing Amy". È
da
quel punto che origina tutto il film: da quel maledetto libro scritto
dai genitori di Amy sulla sua pelle, da bambina. Ecco il vero motore
del film.
6) Matrimonio-famiglia: un incontro impossibile? La
riflessione di Fincher (e della Flynn) si rivolge, al fondo
dell'ispirazione artistica che la muove, alle modalitá,
spesso, spessissimo venate di patologia alienante allo stato puro,
della trasmissione generazionale dei valori familiari, valori che
possono invadere l'intimità
dell'amore
di coppia, trasformandolo in una Reazione Terapeutica Negativa, in un
transfert maligno, imponendo cioè
il
dominio di un inconscio trans generazionale sullo scorrere vitale e
trasformativo del tempo.
È
possibile
cioè
un
incontro felice tra matrimonio e famiglia, in senso lato? sembra
domandarsi Fincher. E' possibile, cioè amare senza perdersi nella relazione con l'altro?
7) "Gone girl": ovvero sulla morte della curiositá in amore.
Alcune considerazioni finali su questo film che, credo, in sintesi vuole descrivere cosa succede quando istanze mortifere provenienti dalla storia di entrambi i membri di una coppia, tendono verso l'obiettivo di uccidere per soffocamento uno degli aspetti vitali fondamentali del legame di coppia, e cioè la CURIOSITA' CREATIVA RECIPROCA. Tale curiosità è infatti uno dei pochi ed efficaci antidoti all'insediarsi di stereotipi coattivi che si sedimentano nelle pieghe del tempo a formare sacche mute di rancore in azione.
Potrei proseguire per molte cartelle parlando di cast, interpretazione, caratterizzazione dei personaggi. Molto altro ancora ci sarebbe da scrivere, ma mi fermo qui, molto contento di giungere proprio sulla soglia del 2015, anno che si apre con questa sana, profonda boccata d'ossigeno rinvigorente le speranze circa la salute e la fecondità del Cinema contemporaneo.
Regia:David Fincher Soggetto e Sceneggiatura: Gillian Flynn Fotografia: Jeff
Cronenweth Montaggio: Kirk Baxter Musiche: Trent Reznor Cast: Ben Affleck, Rosamund, Pike, Neil Patrick Harris, Tyler Perry, Carrie Coon, Kim Dickens, Patrick Fugit, David Clennon, Lisa Banes, Missi Pyle, Emily Ratajkowski Nazione: USA Produzione: Twentieth Century Fox, Recency Enterprises, TSG Entertainment Durata: 149 min.