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mercoledì 10 novembre 2010

La Horde, di Yannick Dahan, Benjamin Rocher (2009)

In una Parigi notturna ma illuminata a giorno da fuochi di sommosse e devastazione,  una squadra di poliziotti irrompe con modalità tarantiniane all’interno di un grattacielo fatiscente della banlieu. I nostri vogliono vendicare l’uccisione di un loro collega da parte di una banda di criminali ivi asserragliati, e tutto sembra far supporre che stiamo guardando un noir molto hard-boiled. Ma non è affatto così, perché ci accorgiamo ben presto che siamo in un imprecisato futuro millenaristico, nel quale i morti si transustanziano velocemente in zombie romeriani assetati di sangue. A neanche 20 minuti di pellicola i due esordienti registi francesi Yannick Dahan e Benjamin Rocher scaraventano inopinatamente a terra e sulle nostre fosche pupille, litri di emoglobina, decine e decine di pallottole, ossa frantumate, mentre Parigi brucia e gli zombie stanno lentamente ma inesorabilmente accerchiando il grattacielo. Poliziotti e criminali superstiti sono così costretti ad una paradossale ma inevitabile alleanza, in un inizio film adrenalinico quant’altri mai. Con questo “La Horde”, decisamente l’horror francese supera l’ormai imbolsito e tristo George A. Romero, nonché ravviva il filone zombie-movie, e lo fa con accortezza, grazia e atteggiamento assolutamente anti-mimetico. Solo questo basterebbe a rendere “La Horde” opera apprezzabilissima e da vedere. Ma ritengo sia l’equazione corpo=violenza, nonché la sua esplorazione declinata sul piano del gruppo umano/inumano a far risaltare questo film nel firmamento cinematografico horror contemporaneo. L’attenzione dei francesi al tema del corpo e dei suoi multiformi, ignoti, inconsci linguaggi è peraltro, e da tempo, un tema centrale del genere horror francofono (quasi inutile citare “Martyrs”, “A l’interieur”, “Frontiers”). I francesi, molto più di altri, molto meglio di altri, stanno da anni esplorando quest’area “natural-culturale”, e credo sia interessante accostare questa esplorazione artistica con quella della psicoanalisi francese, anch'essa molto attenta a questo tema: lo psiconalista Didier Anzieu ha scritto ad esempio pagine molto acute sul tema dell’ “Io-pelle”, e altri, come Marty, de M’Uzan e David, hanno scandagliato con finezza il dolore psichico mediato dall’area psico-somatica (provate poi a leggere qualsiasi articolo di Andrè Green in tema di “pulsione”, e capirete meglio quello che intendo dire). “La Horde” porta avanti questo discorso sul corpo come contenitore di odio, di violenza, di dolore e di morte, in modo duro, appunto “alla francese”, appoggiandosi su un reparto effettistico e su una cura del make-up mirabile e inquietante. Lo stesso ritmo serrato, ormonale, elegge automaticamente questo film a rappresentazione della pulsione pura: qui i calci sono calci, i pugni sono pugni, e le coltellate entrano nella carne fino in fondo. “La Horde” è un film "corporeo", che vuole cioè andare dritto alla Cosa, senza mai raggiungerla ovviamente, ma la direzione regressiva è quella. Lo può fare, naturalmente, solo attraverso trasformazioni di significanti visivi e narrativi. Ma lo fa con una determinazione che cattura e intrattiene, che innova e fa riflettere, senza cadere in facili moralismi romanticheggianti, e mostrando la violenza della pulsione attraverso la violenza dell’interpretazione cinematografica.  Le sequenze degli attacchi da parte degli zombie sono ben condotte, a questo riguardo, nella loro intensità selvaggia, sostenuta da un montaggio rapido ma mai frenetico, che accompagna l’azione facendocela vivere come in presa diretta. E’ in particolare il momento di svolta narrativa costituito dall’incontro con il vecchio reduce della Guerra d’Indocina (molto originale la citazione storica della battaglia di  Dien Bien Phu sulle labbra del vecchio, impersonato da un Yves Pignot  sardonico al punto giusto) a fare da spartiacque tra la prima e la seconda parte del film. A questo punto il ritmo pare rallentare, ma la tensione rimane elevata attraverso  sequenze di conflitto tra i protagonisti, tutti ottimamente valorizzati dai due registi. Una menzione particolare va a Claude Perron (Aurore), molto intensa e mai isterica, come capita spesso ai personaggi femminili di certi filmacci horror statunitensi. “La Horde” è un film molto ben girato, capace di gettare nuove luci europee sullo strausurato filone zombesco, che tuttavia non sente (saggiamente) la necessità di rincorrere ermeneutiche sociali specifiche, pur indicando sentieri e sottotesti pluristratificati, a chi guarda. E’ un film che non fa nessuna morale, ma semplicemente abbozza qua e là stimoli di riflessione che lo spettatore è libero di elaborarsi da solo, nel segreto della sua mente e della propria personale weltanschauung. Dopo il deludente, seppur ben confezionato “Mutants” di David Morlet (2009), “La Horde” si propone come una nuova, bella prova artistica dei cugini francesi, da vedere quindi necessariamente. Regia: Yannick Dahan, Benjamin Rocher Sceneggiatura: Stéphane Moïssakis, Arnaud Bordas, Yannick Dahan, Benjamin Rocher Fotografia: Julien Meurice Montaggio: Dimitri Amar Musica: Christopher Lennertz Cast: Eriq Ebouaney, Jean-Pierre Martins, Aurélien Recoing, Claude Perron, Alain Figlarz, Doudou Masta, Antoine Oppenheim Nazione: Francia Produzione: Capture the Flag Films, Le Pacte, Coficup, Canal +, CinéCinéma Anno: 2009 Durata: 90

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