E' la storia di una famiglia del Midwest negli anni cinquanta, vista attraverso lo sguardo rimemorativo del figlio maggiore, Jack, nel suo viaggio personale dall'innocenza dell' infanzia alle disillusioni dell' età adulta in cui cerca di tirare le somme di un rapporto conflittuale con il padre (Brad Pitt). Jack - che da adulto è interpretato da Sean Penn - si sente come un'anima perduta nel mondo moderno che vaga nel tentativo di trovare delle risposte alle origini e al significato della vita, tanto da mettere in discussione anche la sua fede.
* * *
"Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato". (Eugenio Montale)
"The Tree of Life" non è un film. E' un'opera d'arte di elevatissimo valore etico ed estetico. E' forse paragonabile a una sinfonia di musica contemporanea, oppure a un'opera visivo-pittorica, a un'installazione permanente che diventa inno alla creazione intesa anche, ma non solo, come origine della Vita. Visto in questa prospettiva "The Tree of Life" non è certamente pensabile solo come un "film". Ne deriva a mò di corollario che quest'opera non può essere richiudibile nel ristretto ambito di una cosiddetta "recensione". Porterò quindi in questa sede delle semplici riflessioni e suggestioni sorte in me dopo dall'esperienza della visione di questo "oggetto artistico", anche rispetto a ciò che non mi ha convinto, oltre che a ciò che mi ha convinto. Innanzitutto diciamo subito che si tratta di un oggetto altamente enigmatico, cioè di un qualcosa che immediatamente tocca le corde dell'inconscio di chi guarda, perchè gronda dell'inconscio dell'artista, ne porta completamente il segno. "The Tree of Life" è intriso dell'inconscio di Malick, come le immagini di cascate e acque che a loro volta grondano ovunque sullo schermo. Acque, piogge, maree, stagni, fiumi, laghi, segnalano che siamo più che altro di fronte ad una ininterrotta associazione libera, nel corso di un andamento narrativo tutt'altro che lineare del montaggio. Questo chiamiamolo-film appare infatti come un'epifania associativa libera, al limite del rappresentabile, che scaturisce dal cosiddetto "lavoro dell'Inconscio", così come lo descrive (assai bene) lo psicoanalista inglese Christopher Bollas nel suo interessantissimo libro "Cracking-up" (Raffaello Cortina Editore). "The Tree of Life" sovverte infatti ogni aspettativa di uno spettatore "medio", sovvertendo la tecnica cinematografica classica, in primis eliminando qualsiasi (QUALSIASI) intento legato all'intratenimento. Malick sembra quasi voler allontanare lo spettatore qualunque, affaticandogli la mente, stancandogli la vista, ad esempio piazzando al centro dell'opera un quarto d'ora abbondante di immagini naturalistiche oscure, dense, primitive , che non possiedono, in sé, un senso immediato - dopo aver introdotto la famiglia di Jack (Sean Penn) alle prese con il lutto di un figlio diciannovenne presumibilmente morto in guerra, vediamo infatti vulcani che eruttano, correnti magmatiche che si scontrano, alghe marine, pesci, onde altissime infrangersi su scogliere indistinte, meiosi e mitosi cellulari in sequenze macrofotografiche, stormi di uccelli in volo, nuvole, alberi, boschi, foglie trafitte da raggi di sole radenti, prati fumiganti di nebbie aurorali, canyons dai colori smaglianti, campi di girasoli in piena luce solare, deserti petrosi - per poi tornare al "romanzo familiare" dell'infanzia di Jack, in un'infinità di flash back catturati da una macchina da presa manovrata in modo fluido, liquido, ondivago, giroscopico. Le immagini naturalistiche ininterrotte sembrano il "mare dell'Inconscio", la "Thàlassa", come la descrive lo psicoanalista ungherese, allievo di Freud, Sandor Ferenczi. Il montaggio è infatti, in realtà, uno "smontaggio" associativo che vuole avere l'effetto di generare crepe e frammentazioni percettive profonde, attraverso cui si mostri appunto l'Essere, l'Inconscio. Tale meta è ovviamente impossibile da realizzare appieno, e Malick lo sa, poichè l'Uomo nasce proprio come scarto da quell'Inconscio, al quale non può tornare, pena il suo annullamento nell'indifferenziato. Malick sa che l'Uomo è limite, "finitudine e colpa" (Ricoeur), "esserci-per-la morte" (Heidegger). Ed ecco che Malick, a fronte di queste consapevolezze, dopo aver smontato la nostra percezione, chiama in causa la narrazione più lineare delle vicende della famigliola del Midwest, famiglia come forma umana in cui cerchiamo di contenere l'enigma supremo della Vita, le sue potenti correnti carsiche inconsce che albergano comunque all'interno di ognuno di noi. Il nostro compito terreno è far fronte a questo mistero, a questo enigma che ci abita e ci ammalia. Vengono dunque in mente, certamente, anche suggestioni lacaniane, oltre che Kubrick, Freud, Jung. Detto questo, che descrive, come mi sembra di aver fatto, un'opera potente, stravinskiana, addirittura wagneriana, "The Tree of Life" non mi ha convinto del tutto. Sono la ridondanza di alcuni segmenti stilistici, nonchè la ripetitività di certe atmosfere familiari, ad appesantire a mio avviso inutilmente un'opera che poteva decisamente guardare di più a un registro "orientale", "leggero", "zen", per "parlare" di senso e non-senso della Vita, dell'Amore, dell'Odio, della Natura. Il rimando alla Natura darwiniana che incombe su tutto, presentato in modo così invasivo, schiaccia l'idea di una riflessione su tutti questi importantissimi temi, e la schiaccia proprio nel momento in cui Malick la sta portando avanti, come aveva fatto molto più egregiamente e in modo, appunto sottilmente "zen" in "La sottile linea rossa" (1998). Anche gli attori, soprattutto Sean Penn e Jessica Chastain, Mrs. O'Brien, risultano travolti dalle maree e dalle imponenti cascate che Malick pone così spesso in primo piano. "Tree of Life": opera egregia, tragica, eroica, che soffre tuttavia di un inutile eccesso di titanismo, anche un pò troppo "occidentale" a mio modesto avviso, che sembra aver preso la mano dell'artista.
REGIA: Terrence Malick SCENEGGIATURA: Terrence Malick CAST: Sean Penn, Brad Pitt, Joanna Going, Fiona Shaw, Tom Townsend, Jessica Chastain, Jackson Hurst, Crystal Mantecon, Lisa Marie Newmyer, Pell James, Tamara Jolaine, Jennifer Sipes, Will Wallace FOTOGRAFIA: Emmanuel Lubezki MONTAGGIO: Hank Corwin, Jay Rabinowitz, Daniel Rezende, Billy Weber MUSICHE: Alexandre Desplat PRODUZIONE: Plan B Entertainment, River Road Entertainment PAESE: USA 2011 GENERE: Drammatico DURATA: 139 Min FORMATO: Colore 1.85 :1
Lo hanno montato in sei. Dico io. In sei. E infatti il montaggio è l' aspetto più affascinante del film e si nota la presenza di più cervelli (coordinati dal regista) che conferiscono al tutto una frammentarietà che non sempre è un difetto, specie in un film del genere.
RispondiEliminaE comunque sono assolutamente d'accordo con te. Aggiungo anche che Il film si appesantisce perchè, nonostante la scarsità di dialoghi, finisce per essere verboso nella sua stuttura a tesi. Una tesi che Malick ti sbatte in faccia senza nessun riguardo. Detto questo, è un' opera d'arte che, al cinema, mi ha del tutto sopraffatto.
Psiche, io l'ho trovato un vero e proprio scivolone del grande Terrence.
RispondiEliminaIndiscutibilmente magnifico esteticamente, secondo me si perde nella sua ricerca troppo insistita della Grazia.
Io, che sono decisamente più legato alla Natura, l'ho trovato troppo pretenzioso, e di Kubrick ce n'è uno solo.
@ Lucia (ilgiornodeglizombie): purtroppo oggi ho la febbre a 39 per via di una otite che devo aver beccato proprio andando a vedere Malick, a Milano. Voglio dire che i miei neuroni non connettono molto, comunque colgo sintonia tra me e te circa questo film, "verboso", appunto, sebbene siano stati all'opera quattro montatori molto raffinati. Mi è spiaciuto vedere che uno come Malick si sia fatto prendere la mano così fortemente dal suo immaginario. Boh. Comunque il film è a tratti molto toccante :)
RispondiElimina@ MrJamesFord: non arriverei a dire che è uno "scivolone" del regista, tuttavia capisco la tua reazione. Personalmente dopo circa un'ora ho considerato l'idea di uscire dalla sala. Poi ha prevalso il pensiero critico, per fortuna. Ma al nostro Terrence non interessa il pubblico. Non è nemmeno andato a Cannes a ritirare il premio. A lui interessa fare ricerca creativa e basta: usa il cinema come sonda. Nient'altro, on my opinion :)
Ho capito che è un genere molto particolare. aspetterò un pò per gustarmelo con calma. E prima voglio rivedere La sottile linea rossa.
RispondiEliminaCome posso ambire alla grazia - Leggo, non ho visto il film - Se troppo verboso?
RispondiEliminaSe lo schematismo si ripete, cado in "Loop".
Ed in "Loop" Non m' estrometto dalla natura, tutt' altro;
Assumo le redini di creatore e creato e - Non me vogliate - Accampare simile pretese in rappresentazione cinematografica è blasfemo, seppur magistrale.
Ciò nondimeno, mi rendo conto di non dare torto a Malick.
Chi può, grondi vita dai propri strumenti.
Come ininterrotte cascate.
A presto, Angelo.
Cristian
@ Eddy: tutto sommato "The Tree of Life" è anche un film molto perturbante, appunto perchè profondamente enigmatico. Va visto a mio avviso per capire il percorso estetico di Malick, il quale fin qui ha prodotto capolavori. In quest'ultima opera però eccede, ridonda, esagera in visionarietà.
RispondiElimina@ Cristian: concordo, infatti questo è un film che stimola molta ambivalenza, secondo me :)