Jamie, 16 anni, vive con la madre Elizabeth e due fratelli più giovani, Alex e Nicola, in un complesso di case popolari alla periferia di Adelaide, Australia. Come tutti i ragazzi della sua età, Jamie anela a una fuga dall'universo di violenza, povertà e disperazione in cui vive, e a un certo punto la salvezza si personifica nella figura di John, un uomo molto carismatico e paterno che arriva inaspettatamente in suo aiuto. John si installa presso la famiglia di Jamie, generando un clima di famiglia affettuosa e stabile, tutte cose che Jamie e i suoi fratelli avevano sempre desiderato. John tuttavia si trasforma tuttavia, gradualmente, da protettore a maestro che trasmette non conoscenza e saggezza, ma idee piene di razzismo e dogmatismo, che arriveranno a influenzare Jamie, portandolo a compiere atti pieni di sadismo e intolleranza.
Da anni vado sostenendo che una delle principali, nefaste caratteristiche dell'epoca cosiddetta "postmoderna" che viviamo, è l'assenza totale di rappresentazioni sociali e soprattutto artistiche dell'odio. Ciò non di meno, un certo tipo di Cinema Perturbante ha dato suoi fondamentali contributi nel supplire a questa carenza rappresentativa, cercando cioè di rappresentare un irrappresentabile tuttavia presente, vivo e malignamente infiltrativo all'interno della società che ci circonda. Avevo a suo tempo parlato a tale proposito di esempi cinematografici mirabili come l'inglese "Eden Lake" (2008), di James Watkins, che ritengo un'opera fondamentale per capire come un sentimento come l'odio possa essere trasmesso attraverso successive generazioni, e trovi poi nell'adolescenza il veicolo cardine per esprimere il suo potenziale auto ed etero distruttivo. Passo ora a segnalare un altro, recentissimo film, questa volta australiano, che si pone su una linea similare, ma di tenore ancor più elevato, sia sul piano estetico-filmico, che su quello della denuncia e della riflessione sociale sull'odio e sulla violenza perpetrata da un "diverso" (qualsiasi adolescente economicamente e affettivamente deprivato è un "diverso", oggigiorno) su altri "diversi", che appartengono tuttavia alla stessa società di diseredati. Kurzel sembra ambientare il plot in un contesto sociale che conosce benissimo, che sembra aver frequentato e "abitato" lui stesso per molto tempo, visto che il suo occhio appare quasi introspettivo e autobiografico, proprio nel suo modo di girare. La sua è infatti una macchina da presa che sta dentro le cose che riprende, che fa parte del gruppo sociale che inquadra, che "sta seduta a tavola" con la famiglia di Jaime, ne segue i dialoghi, la profondità dei quali è a tratti bergmaniana, come un "Scene da un matrimonio" (1973), ma che descrive il degrado e la manipolazione dei sentimenti, operati sulla pelle, appunto, di un adolescente. Il film è molto violento, ma nel senso di una violenza appunto manipolatoria sul versante psicologico: infatti l'obiettivo di John non è altro che quello di instillare il seme del dogmatismo nella mente non ancora adulta di Jaime. La sequenza della macellazione dei daini, le cui ossa e teste mozzate vengono poi gettate in secchi usati, con l'aiuto di Jaime, apre il lento ma inesorabile climax verso la pura violenza senza scarti di residua umanità, nella quale il ragazzo resta intrappolato, privo di ogni lume critico-etico alternativo. Altre sequenze memorabili, operate al ralenty, e soffuse da una colonna sonora indicatissima, sono quelle del ballo presso il bar-centro sociale in cui è tutta la piccola comunità del villaggio a diventare protagonista. Certo, perchè un'ulteriore pregio di Kurzel è di riflettere sul gruppo e sui gruppi che compongono una comunità, nonchè su quanto questi gruppi ristretti e "periferici" possano diventare l'ideale brodo di coltura di misfatti psicologici enormi. Nel film vediamo il gruppo dei ragazzi, quello degli adulti, quello dei "diversi", ma in sommo grado coinvolti e confusi da un'ambiguità di fondo che travolge tutti, senza eccezioni. Simbolicamente assai pregnante a tale riguardo la sequenza (sempre al ralenty) in cui ragazzini preadolescenti e un adulto giocano insieme ad un tristo videogioco fuori moda, sempre all'interno del salone-bar di cui sopra. E' presente un'atmosfera di atemporalità informe e insensata che accomuna e confonde le generazioni in questo film, un grigiore anomico e anonimo sul quale il regista non accende mai una seppur fioca luce di speranza. Le vite dei personaggi cominciano così a prendere un unico senso, che è quello dell'idealizzazione negativa del gruppo dei gay, della loro stigmatizzazione razzista come "gruppo esterno" da eliminare. Durante questo fondamentale viraggio, ma centellinato con cura certosina, della sceneggiatura, il regista sempre volerci dire che l'unico "senso" per i protagonisti di questa storia, che sembra scritta direttamente da un Cormac McCarthy più pessimista che mai, sia il senso di appartenenza in quanto violenza contro l'altro che non appartiene al proprio gruppo (si veda a tale proposito la densità di odio misto a freddezza inenarrabile, presente nella terribile sequenza dell'uccisione del cane a colpi di pistola). "Snowtown" è un film duro e di difficile digestione, ma che cerca di rappresentare, senza ricorrere a facili moralismi, il processo di degradazione del vivere insieme di una comunità di periferia all'interno dell'orizzonte postmoderno contemporaneo. Le modalità espressive di questa "rappresentazione", fulminano lo spettatore attraverso sequenze molto drammatiche ed efficaci, tanto quanto mediante atmosfere raggelanti rese attraverso la fotografia di paesaggi e cieli sconfinati, quanto vuoti di umanità. E Kurzel si concede tutto il tempo che vuole, in modo iper-neo-realistico, concedetemi questo neologismo forse un pò bizzarro, per descrivere il campo emotivo degenerato che ha deciso di mostrarci: forse per questo il film soffre di lentezze a tratti intollerabili per lo spettatore medio, ma tollerabilissime, anzi apprezzate, per il fruitore che desidera porre al centro la riflessione profonda, più che l'intrattetimento. Ma è decisamente la figura di John ad essere la più rappresentativa di una pulsione perversa, anti-etica, anti-paterna, perché integra in sé il senso di una trasformazione antropologica profonda, attraverso la quale chi dovrebbe proteggere le nuove generazioni, le utilizza invece come veicolo di morte (vengono in mente i ventenni kamikaze musulmani, oppure i soldati bambini della guerra africana tra Utu e Tutsie). "Snowtnown" è insomma un film denso di rimandi a quello che potremmo definire un Perturbante sociopolitico di cui è raro che un film si occupi in modo così sentito e profondo. Da vedere assolutamente.
Regia:Justin Kurzel Soggetto e Sceneggiatura: Shaun Grant Cast: Lucas Pittaway, Bob Adriaens, Louise Harris, Frank Cwiertniak, Matthew Howard, Marcus Howard, Antony Groves, Richard Green, Aaron Viergever Nazione: Australia Produzione: Screen Australia, Australia Warp X Durata: 119 min.
Regia:Justin Kurzel Soggetto e Sceneggiatura: Shaun Grant Cast: Lucas Pittaway, Bob Adriaens, Louise Harris, Frank Cwiertniak, Matthew Howard, Marcus Howard, Antony Groves, Richard Green, Aaron Viergever Nazione: Australia Produzione: Screen Australia, Australia Warp X Durata: 119 min.
Ero indeciso se guardarlo o no. Non sono riuscto a capire in giro di cosa parlasse.
RispondiEliminaOra ho capito. Grazie. Impeccabile, come al solito.
Segnato!
RispondiEliminaPerturbante sociopolitico. Già questo basta a rendere interessante la pellicola di cui parli. Dovrebbe essere quindi molto stimolante e per questo segno anche io :)
RispondiEliminaSpesso, sembra che alcuni proverbi risultino immortali e da leggersi in chiave continuativa, futuribili e di fatto plasmati a nuova dimenticanza, beffardi, sempre uguali, sempre diversi, a rimarcare a meta cerebri potenzialmente eletti quel che - Permettimi - La saggezza popolare ha estrinsecato ma che noi altri preferiamo secretare forse perchè costretti a simulato contrasto con le generazioni che furono.
RispondiEliminaAd ogni padre, un figlio, ad ogni figlio, un padre, catena dopo catena.
Elargire tempo liberato e bearsi del "Nuovo" E' tipico dell' adolescente di qualsiasi epoca, a rendere ben poco saggi ed a variare è, io credo, la qualità dell' esplosivo che non siamo in grado di maneggiare.
"Si Stava Meglio Quando Si Stava Peggio".
Pensiero tratto dall' irrappresentabile cui accenni in apertura.
La scorsa concatenazione digitata sottolinea l' errore in quanto forgiata ad anelli sequenziali; Che esista un' uscita laterale?
Ciao, Angelo.
Cristian
che bella sorpresa trovarlo qui! lo stavo tenendo d'occhio. Considerando la sua parte psicologica penso che non potrebbe trovare posto migliore del tuo per essere recensito. Grazie! :)
RispondiElimina@ Eddy: anch'io ci ho messo un pò prima di guardarlo, anche perchè è un film "difficile". Poi sono stato del tutto soddisfatto.
RispondiElimina@ Simone: bene :)
@ Alessandra: sì, il neologismo cui fai riferimento, mi sembra bene esprimere uno dei sensi profondi di questo film.
@ Cristian: bellissimo commento. E' comunque probabile che non si stava meglio quando si stava peggio. E' che spesso ci dimentichiamo quanto peggio stavamo prima. E' il futuro, invece, che bisogna saper coltivare, cioè, appunto le nuove generazioni. E questo film fa riflettere proprio su questo, secondo me.
@ waYne: in effetti è difficile per me togliermi di dosso la casacca del mio mestiere. Me lo dice sempre anche mia moglie.:)
Devo davvero ringraziarti per aver segnalato alla mia attenzione questo film. Credo sia una delle visioni più interessanti e disturbanti dei miei ultimi anni (e dire che sono un vero divoratore di perturbante). Dopo una seconda visione, alcune sequenze ancora mi perseguitano e non vogliono abbandonare la mia mente.
RispondiEliminaIn una casa avvengono violenze fisiche e (ancor più) psicologiche inenarrabili. Si esce di casa, sotto il portico, e si osserva una bambina innocente andare in bici sotto una lieve pioggia, nella quiete pomeridiana.
E'l'insostenibilità della violenza che strazia corpo e mente, lasciando solo macerie, ed un nulla minaccioso.
Alcune inquadrature sono bellissime, nella loro essenzialità e crudezza: un portacenere pieno di mozziconi, riempito d'acqua sotto la pioggia. Squarci di una suburbia anonima, senza via d'uscita. Potrebbe essere ovunque, magari proprio vicino casa.
Un viaggio a capofitto nell'inferno, quello vero, quello quotidiano, senza demoni ultraterreni (tanto malvagi e terrificanti, quanto rassicuranti).
La violenza di questo film è tanto distruttiva quanto pervasiva, come John. Repelle ed attrae, come John. Più ci è familiare, più sconvolge la sua depravazione, come John. Tra l'altro un grandissimo, immenso, perfetto Daniel Henshall nella parte di John Bunting (da tenere d'occhio in futuro). Tutto il film è riassumibile nella formazione di un individuo alla disumanità: sono molte le sequenze cosparse da un continuo gioco di sguardi, che saltano dal "genitore" al "figlio". La formazione avviene attraverso l'esempio del padre putativo. Come dire: più delle parole, più della "legge morale", importa il comportamento, l'esempio dell'agire. La sequenza dell'uccisione del cane è emblematica: la motivazione del gesto non è tanto "uccidere il cane", quanto (di)mostrare al discepolo quanta poca cura si ha per un "essere vivente - altro da sè", in modo che il discepolo possa in seguito interiorizzare e poi infine emulare.
Dopo tante storie scioccanti di serial killer tanto strambi quanto "trendy", questo film mostra l'orrore "normale", "quotidiano" e quindi più disturbante che mai (siamo i piena zona del perturbante). Il regista tenta di capire da dentro il gruppo come si può raggiungere un livello di non-umanità tale da rendere possibili così efferati delitti compiuti da mano umana.
Tenta di mostrare le dinamiche di "contagio" della violenza.
E riesce in pieno.
Last, but not least, una storia vera nei suoi minimi particolari, anche se si fatica a crederci.
Essenziale e imprescindibile.
Jena
@ Jena: Essenziale e imprescindibile come il tuo lungo, preciso e acutissimo commento, che condivido riga per riga. Sono sempre più convinto che dovremmo scrivere qualcosa insieme, e credo che lo faremo. Un caro saluto.
RispondiEliminaMi chiedevo, dato il tuo dichiarato interesse per il tema dell'educazione, del gruppo e relative aberrazioni, hai mai visto "Il nastro bianco" di Haneke? Se no, te lo consiglio. Lo ritengo un film davvero imprescindibile, con riferimento ai temi suddetti. Una dissezione chirurgica e glaciale del concetto di "male" nella società.
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