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martedì 20 agosto 2013

Alle radici del male, di Roberto Costantini, 2012


Anno: 2012    Editore: Marsilio, Collana Farfalle, i Gialli   Pagine: 702  ISBN: 978-88-317-1116-6  Euro: 19,50

Tripoli, anni '60. Quella di Mike Balistreri è un'adolescenza tumultuosa come il ghibli che spazza il deserto. Sullo sfondo della Libia postcoloniale, gli anni giovanili di Mike sono segnati da due atroci morti irrisolte, da due impossibili amori, dal coinvolgimento in un complotto contro Gheddafi, e da un patto di sangue che inciderà a fondo sia la pelle che l'anima a lui e ai suoi tre migliori amici. Roma, settembre 1982. Il giovane commissario Balistreri di notte si stordisce con il sesso, l'alcol e il poker e di giorno indaga svogliatamente sulla morte di Anita, una studentessa sudamericana  assassinata al suo arrivo nella Capitale. Per un debito di gratitudine, è anche costretto a vegliare sulla scapestrata Claudia Teodori, che sembra lanciata verso una luminosa carriera di starlette. Ma le morti di oggi e quelle di ieri sono legate da un filo invisibile, seguendo il quale Michele Balisteri sarà costretto a calarsi nelle zone più buie del suo passato, quei giorni di "sabbia e sangue" con cui non ha mai chiuso i conti, in un cammino lungo il quale l'amore, l'amicizia e gli ideali si scontreranno con la ricerca di verità dolorose, nell'impossibilità di distinguere chi tradisce da chi è tradito. Alla fine sarà il disperato eroismo  di una ragazza a condurlo per mano fino alle radici del Male. 

Proseguiamo con le recensioni letterarie estive, affrontando questo mastodontico "Alle radici del male", 702 pagine fittissime e dense, di quel Roberto Costantini che ci aveva fatto conoscere il commissario Michele Balistreri nel primo della sua trilogia, e cioè in "Tu sei il Male"  (2011). In quel libro avevamo seguito il contortissimo caso Sordi e conosciuto il nostro commissario Balistreri, personaggio piuttosto antipatico, dal passato di picchiatore fascista, amante delle belle e facili donne, del poker con cui gioca con il fratello Alberto e l'amico di una vita, Angelo Dioguardi. Quel libro era ambientato negli anni '80 e '90, e la capacità davvero magistrale di Costantini nel saper rendere atmosfere e ambienti romani di quel periodo risultava sorprendente. Nel secondo capitolo della sua storia (di vita potremmo dire), siamo proiettati negli anni '60, durante l'adolescenza di Michele, da tutti chiamato Mike. Ci troviamo in Libia, nella Tripoli postfascista, e la famiglia Balistreri vive nella lussuosa villa dei nonni, con la madre Italia, il padre facoltoso ingegnere Salvatore, e il fratello Alberto. Costantini dipinge un affresco vivo, passionale, sanguigno delle vicende adolescenziali di Michele, della sua iniziazione sessuale molto traumatica e intensa, pescando in fondali molto freudiani, molto edipici, tratteggiando il conflitto col padre Salvatore (nome ossimorico quant'altri mai) con toni shakeasperiani. La scrittura è sempre fluida, a tratti fluviale, a momenti torrentizia con rapide e cascate naturali che sorprendono sovente la tua navigazione di lettore insonnolito dalle atmosfere iniziali di un torrido deserto circostante che esala vapori sabbiosi e trasuda voli di mosche fastidiose. Si tratta di una scrittura che non ci risparmia scene raccappriccianti, al limite dell'horror puro: già a pagina 21 si apre infatti il terribile quadretto di una donna rapita da un killer misterioso, appesa per il collo, che a pagina 67 farà una fine agghiacciante, insieme alla figlioletta, neonata. I personaggi appaiono piano piano e sono delineati con cura. Li vediamo fin dai banchi di scuola, e lentamente crescere, Mike per primo, poi i suoi amici-fratelli di sangue: Nico, Farid, Karim, Ahmed, Selim, poi i suoi amori, Laura in particolare, ma soprattutto Marlene Hunt, donna fatale, summa teologico-letteraria della madre seduttrice di adolescenti, che chiede a un diciottenne Mike di spalmarle la crema abbronzante sulla schiena... Ma è tutta l''ambientazione africana del libro a diventare la vera protagonista della lunga prima parte del volume, che oltre a farci conoscere le origini di Balistreri, prepara l'evoluzione della seconda parte, ambientata invece a Roma, tra il 1982 e il 1983, stessa epoca in cui abbiamo incontrato per la prima volta Michele in "Tu sei il male". Terminato il malloppone, la sensazione è quella di aver letto consecutivamente due libri diversi: il primo, un romanzo di ricostruzione storica dell'Italia e della Libia post-coloniali (i governi democristiani, il caso Mattei, gli intrecci Stato-Vaticano, il '68 italiano, i primi abbozzi di compromesso storico DC-PCI, e via dicendo), in cui il tono è romanticheggiante, quasi tardo ottocentesco/novecentesco, con tanto di caccia al leone, feste sull'isola di proprietà, madri tisiche e alcolizzate, arditismo per le strade del Cairo; il secondo, un noir d'attualità, tutto ambientato nel mondo dello spettacolo televisivo, molto vicino alle vicende berlusconiane di Ruby e del bunga-bunga (una fotografia di questi ultimi disgustosi vent'anni,  sebbene spostati indietro di trenta, un atto d'accusa nei confronti della decadenza culturale iniettata nelle nostre vene patrie dal Cavaliere, a partire dagli anni '80 peraltro...). Ciò che lega i due romanzi in uno, sono le vicende gruppo-familiari di Michele Balistreri, ancora una volta lo shakespeariano rapporto col padre, mai risolto, mai elaborato, mai digerito, ma forse impossibile da digerire. Tale rapporto è una vera e propria fissazione di Costantini, un'ossessione che è però al tempo stesso l'architrave su cui poggia tutto l'edificio narrativo della sua opera. In fin dei conti, se vogliamo aprirci ad una lettura psicoanalitica di questo romanzo, possiamo dire che tutta la storia nasce da una frattura nel patto narcisistico originario tra padre e figlio, cioè da una essenziale (ed esiziale) mancanza di riconoscimento affettivo-identitario reciproco tra padre e figlio. Tale frattura narcisistica primaria determina e muove tutta la catastrofe successiva, che è però, simultaneamente, catastrofe e apertura di senso, narrazione, vita. Immagino che in questa ottica, questo libro potrebbe molto piacere a Massimo Recalcati, psicoanalista lacaniano, che in tema di rapporti col Padre ha già scritto molte (già troppe?) cose. Con Salvatore Balistreri (il padre) siamo infatti di fronte ad una Figura Simbolica di notevole spessore che sembra rappresentare per Costantini, prima che per il commissario Balistreri, le vere "radici del Male". E' questo padre infatti la vera causa della catastrofe: un padre narcisistico, completamente dedito ai suoi affari, alla sua impresa. Un padre-imprenditore che parassita la Terra-Madre che lo ospita, la Libia (sua moglie si chiama, guarda caso, Italia), incurante di qualsiasi valore etico, fino al punto di intrecciare rapporti con la Mafia. Costantini sembra dunque scrivere un sottotesto filigranato entro il quale ci vuole suggerire che le sorti attuali del nostro Paese vengano da una storia lontana: siamo cioè stati un paese fascista, e quel fascismo ha generato un presente arido come un deserto privo di etica, nel quale solo il narcisismo parassitario dell'alta finanza può proliferare, pianta grama su un gramo terreno. Ma, aldilà di questa lettura socio-politico-psicoanalitica, Costantini sa anche generare un intreccio thriller molto sapientemente approfondito, denso di tali e tanti colpi di scena che alla fine delle 702 pagine quasi ci stordiscono. E' quest'ultimo forse l'unico difetto di un libro ponderoso e complesso, che si fa gustare da tutte le nostre papille da una parte, ma che richiede grande attenzione e dedizione, dall'altra. Sto dicendo che la scrittura dell'Autore è molto fiammeggiante, coinvolgente, appassionata, ma anche un pò pantagruelica, e alla fine di tutta questa lunga storia molto appassionante comincia a urgerci anche la voglia del silenzio e del vuoto di un lago svedese in autunno inoltrato, di una poesia di Tranströmer, il "poeta del silenzio", per esempio. E con una poesia di Tranströmer mi sento così di terminare questa recensione, consigliando in ogni caso "Alle radici del male", in attesa del terzo capitolo della pachidermica trilogia di Costantini.

Motivo medievale
Sotto le nostre espressioni stupefatte
C’è sempre il cranio, il vuoto impenetrabile. Mentre
Il sole lento ruota nel cielo.
…………………………………….La partita a scacchi prosegue.
Un rumore di forbici da parrucchiere nei cespugli.
Il sole ruota lento nel cielo.
La partita a scacchi si interrompe sul pari.
…………………………………….Nel silenzio di un arcobaleno.
Tomas Tranströmer (da Songs of Spring. Quaderno di traduzioni. Marcos y Marcos, 1999)

     

9 commenti:

  1. All'altezza del primo romanzo, come dici tu le pagine sono tante ma in compenso ti affezioni maggiormente ai personaggi :)

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  2. @ Nico: direi al di sopra del primo. Ma forse mi sbaglio: è che mi ha preso moltissimo la prima parte, quella africana, cioè proprio mi è piaciuta tanto (forse troppo) e si sa, "est modus in rebus. Sunt certi denique fines quos ultra citraque nequit consistere rectum".

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  3. Angelo:

    M' è difficile credere che nell' arco di un' esistenza la partita a scacchi si concluda in parità, ed è forse per questo che - associazione bizzarra, dirai - Varese è a tutt' oggi capitale del gioco d' azzardo.
    E' anche vero, ma non per contro, che l' universo pareggia sempre i conti.
    Se leggessi il mio commento, troverei di certo incongruenze, apparenti, incongruenze.
    Di rimando all' azzardo, si delinea un' entropia - L' universo mette tutto in pari - Che se vede da un lato evasori "Bombardare" Cifre al gioco, hanno perso ogni aspetto proprio dell' umano, rimuovendo dal proprio essere Dostoevskij, sostituito all' opulenza del ricco - Attenzione - Nato già Dio e quindi non soggetto al senso di colpa; Chi povero in canna, gioca perché - Suppongo - E' più vivibile una vita fatta di costose emozioni che quel ronzio di mosche proprio ad un processo di "Normalità".
    Tra Novembre e Dicembre mi traferirò ad Honolulu, forse torno, forse no.
    Avrei piacere d' incontrarti, magari evitando quel Sole che per qualche mese ha reso infausti fin troppi meriggi.
    A presto.

    Cristian

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  4. Mi si perdonino gli errori formali alla formulazione del costrutto, è pura indolenza.

    Di nuovo.

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  5. In ultimo:

    L' entropia di cui parlo - Mi fossi espresso male - E' inerente all' economia.

    Levo le ancore, non voglio tappezzare il blog di precisazioni.

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  6. @ Cristian: ma la tua è buona tappezzeria, caro Cristian, ornamento casalingo che non mi urta più di quel tanto e anzi trovo simpatico in certi contesti, pur preferendo le pareti dipinte con colori tenui. Rispetto ad Honolulu, credo sia un città molto interessante, e il clima è sicuramente meglio che a Varese. Poi laggiù i computer esistono e quindi ci possiamo sentire comunque :)

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  7. Ho questi due volumi in attesa, ma ho sempre più curiosità! Grazie per l'ottima recensione

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  8. Angelo:

    Sarà, ma con tutta la buona volontà non intravedo in Shakespeare alcun tratto tenue, piuttosto, riporta la mia visione ad un uomo che, privo della vista, dipinge con mani intinte in scarlatta vernice un bianco velo, tagli sovrapposti ed antitetici alle poetiche, leggere e non troppo sgargianti pennellate di cui sopra.
    Un amore ultraterreno ed ambivalente, parallelo a dolce poesia.
    Penso difatti ad una tua frase che mi piacque molto: "La follia è sorella sfortunata della poesia".

    A presto : )

    Cristian

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  9. @ Eddy: Grazie a te della visita. Secondo ti piaceranno, direi soprattutto il secondo. Fammi sapere :)

    @ Cristian: non ricordo la frase che citi, ma la condivido. Amo molto Alda Merini, per esempio :)

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