Un padre molto affettuoso trova in un vecchio baule un costume da clown inutilizzato da tempo, e decide di travestirsi lui stesso, in occasione della festa per il sesto compleanno del figlio. Al termine della festicciola l'uomo scopre con terrore di non riuscire più a togliersi di dosso il costume, che è praticamente diventata una sorta di seconda pelle collocata adesivamente sulla sua. Ma quel che è peggio consiste nel fatto che la sua personalità sta cambiando inesorabilmente, fino al punto da fargli compiere azioni terribili...
"Clown" è un film dalla scrittura piuttosto semplice, che può apparire quasi ingenua per certi versi. Mette sul tavolo ingredienti molto comuni, poco ricercati: rimanda subito a "It" di Stephen King, alla mitopoiesi perturbante del clown cattivo, allo stevensoniano Dr. Jekill che contiene in sè la parte scissa ma attivissima (e cattivissima) di Mr. Hide (Mister "Nascosto"). Tutti elementi di primo acchito molto banali, quasi noiosi, superflui, superati. Tuttavia Watts sa mescolare e dosare con una certa perizia estetica questi elementi, producendo un complessivo effetto straniante e insieme cinematograficamente nostalgico.
L'ambientazione quotidiana, che descrive l'esistenza di una famigliola middle-class quale potrebbe essere anche la nostra, soprattutto se abbiamo figli (e solo i genitori sanno quanto possano essere estenuanti le festicciole di compleanno dei propri figli piccoli...), è il vero enzima catalizzatore di inquietudine di tutto il film. Infatti questo "mulino bianco" familiare è rotto in mille pezzi da una causalità banalissima, da un dettaglio (il ritrovamento casuale del baule contenente il costume), che però genera pura entropia, disastro, cambiamento - gradualmente - catastrofico. Il povero Kent è un padre qualunque, la quintessenza dell'impersonalità anonima, tutta spesa tra famiglia e lavoro: perché mai un demone dovrebbe infiltrarsi under the skin per rovinargli radicalmente l'esistenza? E invece è proprio così, accade, e Jon Watts sembrerebbe portarci giustappunto, a passi felpati, proprio nel territorio dell'imprevedibilità, di quella casualità che ci fa mettere poi inavvertitamente il piede sul burrone, facendoci precipitare di sotto, nostro malgrado.
Tutto il resto in questo film lo riterrei relativo. Make up, fotografia, sonoro, locations, sono tutti aspetti coreografici. Ho visto "mostri" molto più inquietanti del pagliaccio demoniaco disegnato dallo script di questa specifica pellicola. Il cuore dell'opera sembra invece consistere nella descrizione degli effetti di una serendipità perturbante. Kent ha cioè trovato il famoso ago nel pagliaio. Ma non solo l'ago, ma anche chi ce l'ha messo, e tutta la sua cattiveria, tutto il male che si cela sotto la punta dell'iceberg che quell'ago rappresenta, tutto l'impeto distruttivo che alberga "sotto la pelle".
Aldilà di questi elementi drammaturgici essenziali, semplici fino all'estremo, risultano a mio avviso interessanti anche le scelte registiche in quanto tali. Ad esempio l'inquadramento delle uccisioni dei bambini da parte del clown trasformatosi in demone, appaiono molto pensate e ben costruite. La sequenza della sala giochi per bambini è poi molto suggestiva, perché con pochi agili tocchi di montaggio sa trasmettere tensione a partire da un luogo che usualmente ha invece grande attrattiva per un bambino (un luogo cioè che di solito allontana il bambino da quelle che sono le sue più tipiche paure). E' come se Watts sapesse rappresentare una Gardaland che improvvisamente si trasforma in un covo di terroristi dell'Isis, all'insaputa dei turisti ivi riuniti per divertirsi. Anche la sequenza dello scivolo con le palline colorate (altro must di ogni bambino) mi è parsa inedita, originale, venata da un'ispirazione non facilmente reperibile in altri prodotti di genere. E non vorremmo certamente trovarci nei panni del bimbo che cammina carponi nei cunicoli dello scivolo alla ricerca del suo amico Dave...
In sintesi "Clown" è un film decisamente "minore", artigianale, ma che non manca di rimandi suggestivi, per esempio al mitico ed ineguagliabile "The funhouse-Il tunnel dell'orrore" di Tobe Hooper (1981). E quand'anche solo questo aspetto me lo ha reso piuttosto apprezzabile.
Da vedere.
L'ambientazione quotidiana, che descrive l'esistenza di una famigliola middle-class quale potrebbe essere anche la nostra, soprattutto se abbiamo figli (e solo i genitori sanno quanto possano essere estenuanti le festicciole di compleanno dei propri figli piccoli...), è il vero enzima catalizzatore di inquietudine di tutto il film. Infatti questo "mulino bianco" familiare è rotto in mille pezzi da una causalità banalissima, da un dettaglio (il ritrovamento casuale del baule contenente il costume), che però genera pura entropia, disastro, cambiamento - gradualmente - catastrofico. Il povero Kent è un padre qualunque, la quintessenza dell'impersonalità anonima, tutta spesa tra famiglia e lavoro: perché mai un demone dovrebbe infiltrarsi under the skin per rovinargli radicalmente l'esistenza? E invece è proprio così, accade, e Jon Watts sembrerebbe portarci giustappunto, a passi felpati, proprio nel territorio dell'imprevedibilità, di quella casualità che ci fa mettere poi inavvertitamente il piede sul burrone, facendoci precipitare di sotto, nostro malgrado.
Tutto il resto in questo film lo riterrei relativo. Make up, fotografia, sonoro, locations, sono tutti aspetti coreografici. Ho visto "mostri" molto più inquietanti del pagliaccio demoniaco disegnato dallo script di questa specifica pellicola. Il cuore dell'opera sembra invece consistere nella descrizione degli effetti di una serendipità perturbante. Kent ha cioè trovato il famoso ago nel pagliaio. Ma non solo l'ago, ma anche chi ce l'ha messo, e tutta la sua cattiveria, tutto il male che si cela sotto la punta dell'iceberg che quell'ago rappresenta, tutto l'impeto distruttivo che alberga "sotto la pelle".
Aldilà di questi elementi drammaturgici essenziali, semplici fino all'estremo, risultano a mio avviso interessanti anche le scelte registiche in quanto tali. Ad esempio l'inquadramento delle uccisioni dei bambini da parte del clown trasformatosi in demone, appaiono molto pensate e ben costruite. La sequenza della sala giochi per bambini è poi molto suggestiva, perché con pochi agili tocchi di montaggio sa trasmettere tensione a partire da un luogo che usualmente ha invece grande attrattiva per un bambino (un luogo cioè che di solito allontana il bambino da quelle che sono le sue più tipiche paure). E' come se Watts sapesse rappresentare una Gardaland che improvvisamente si trasforma in un covo di terroristi dell'Isis, all'insaputa dei turisti ivi riuniti per divertirsi. Anche la sequenza dello scivolo con le palline colorate (altro must di ogni bambino) mi è parsa inedita, originale, venata da un'ispirazione non facilmente reperibile in altri prodotti di genere. E non vorremmo certamente trovarci nei panni del bimbo che cammina carponi nei cunicoli dello scivolo alla ricerca del suo amico Dave...
In sintesi "Clown" è un film decisamente "minore", artigianale, ma che non manca di rimandi suggestivi, per esempio al mitico ed ineguagliabile "The funhouse-Il tunnel dell'orrore" di Tobe Hooper (1981). E quand'anche solo questo aspetto me lo ha reso piuttosto apprezzabile.
Da vedere.
Regia: Jon Watts Soggetto e sceneggiatura: Jon Watts, Christopher D. Ford Fotografia: Matthew Santo Montaggio: Robert Ryang Musiche: Matthew Veligdan Cast: Eli Roth, Peter Stormare, Laura Allen, Elizabeth Whitmere, Christian Distefano, Andy Powers, Sarah Scheffer Nazione: USA, Canada Produzione: Cross Creek Pictures, PS 260, Vertebra Films Durata: 100 min.
oggi abbiamo pubblicato in stereo...e direi che la pensiamo anche in stereo...
RispondiEliminaOh, bradipo: che avessimo sintonie estetiche l'avevo in verità sempre pensato. Adesso vengo a leggere, in stereofonia, naturalmente:)
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