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giovedì 26 luglio 2012

Buona Estate

                                          (Le Gorges du Tarn)

Il blog chiude per circa 20 giorni. Mi attende la Francia, dalla Provenza ai Pirenei: molte letture (di cui vi dirò al ritorno), molte escursioni naturalistiche (le Gorges du Tarn nel Parco Nazionale delle Cevennes), e artistiche (Nimes) qualche pranzo come si deve, forse anche qualche film, tra cui l'ultimo Batman di Nolan. Anche di questo parleremo prossimamente. Per adesso quindi auguro a tutti una buona e soprattutto riposante Estate. 

domenica 22 luglio 2012

The Theatre Bizarre, di D. Buck, B. Giovinazzo et al. (2011)

Film a episodi, diretto da un nutrito gruppo di giovani registi statunitensi, "The Theatre Bizarre"  è una sorta di antologia dell'horror contemporaneo, ispirato al teatro del "Grand Guignol" francese. In una squallida strada cittadina, una giovane donna è ossessionata da quello che sembra essere un teatro abbandonato da tempo. Una notte vede la porta d'ingresso socchiusa e decide così di intrufolarsi all'interno. Ad attenderla all'interno del teatro c'è una strana marionetta-uomo che la introduce alla visione di sei racconti horror molto bizzarri: una coppia in viaggio in una parte remota del versante francese dei Pirenei, incontra una strega piena di lussuria; un amante paranoico incontra la sua amante a Berlino, spingendola verso il limite della morte; i sogni freudiani di un marito, sfocano la realtà nel delirio; gli orrori della realtà vengono interpretati dalla mente di un bambino; una donna dipendente dai sogni altrui, decide di assumere la sua dose attraverso il liquido oculare delle sue vittime; una perversione centrata sui dolci, si fa gradualmente acida e mortifera. La visione dei sei pezzi genera una lenta, irreversibile trasformazione nella giovane donna, unica spettatrice all'interno del teatro. 

"The Theatre Bizarre" è un modernissimo "Creepshow" narrato attraverso gli stili diversi di sette giovani registi dalle origini e dalle esperienze differenti. Il filo tematico che lega i sei episodi in cui è suddiviso il film, è il teatro del "grand guignol" francese, cui si ispira tutta l'opera. Il Teatro parigino, situato nel Nono Arrondissement, dalla sua apertura, nel 1867, fino alla sua chiusura, nel 1963, si specializzò in spettacoli decisamente macabri e violenti. E' necessario, prima di esprimere un parere d'insieme sul film, dire però due parole su ciascuna storia, soprattutto per dare il giusto peso a ciascun autore. "The Mother of Toads", di Richard Stanley, è una versione neogoticheggiante della fiaba di Biancaneve, rivisitata in stile horror, dove il "principe azzurro" è sedotto immediatamente dalla strega, che lo coinvolge in un coito selvaggio senza bisogno di ricorrere a nessuna mela adamitica. Il protagonista del pezzo è tuttavia l'ambiente naturale, denso di muschi e pullulante di viscidi rospi verdognoli, molto intenso ed evocativo, ma tuttavia non sufficiente a dare smalto all'episodio, che rimane il più debole e superfluo della serie. "I love you", di Buddy Giovinazzo, è invece un psicho-horror molto secco ed efficace, soprattutto nelle parti dialogate, nonchè nel climax sanguinolento finale. Un episodio che avrebbe avuto bisogno di un tempo di sviluppo più fluido, ma che tuttavia risulta ottimamente pensato e costruito, in particolare nella resa espressiva dell'ideazione paranoidea del protagonista. "Wet Dreams", di Tom Savini, è una riflessione sulle angosce di castrazione maschili, tutte declinate dentro il rapporto di coppia, nel quale il rapporto triadico-edipico è pervertito dalla presenza extra-analitica dell'analista, cuoco pazzo che cuoce a fuoco lento il suo paziente, con l'aiuto della moglie-carnefice e realizzatrice diurna degli incubi notturni del marito. Molto efficace la prima inquietante sequenza della vagina-mostro. "The Accident", di Douglas Buck, è un corto molto poeticamente evocativo, perfettamente fotografato e ambientato, e direi, nella sua elementare semplicità, il pezzo migliore della pellicola. "Vision Stains", di Karim Hussain, ci parla della trucidissima condotta tossicomanica di una donna, assetata, potremmo dire, di visioni pre-mortem delle sue vittime, di cui parassita il passato e i ricordi. Lo script e lo sviluppo di questo frammento narrativo è davvero interessante e si presta a innumerevoli vertici interpretativi, anche dal punto di vista psicoanalitico, poiché fa venire alla mente del clinico molti concetti e pensieri sul funzionamento della coppia analitica in seduta (per esempio l'idea kleiniana di 'identificazione proiettiva'). "Sweets", diretto da David Gregory, ci parla di bulimia in senso stretto, ma soprattutto metaforico, cioè culturale, alternando una fotografia ipomaniacale e lisergica, a inquadrature grigie e opache di interni in cui una coppia completamente disfunzionale "ricorda" il suo passato di folli piaceri alimentari. Il quadro d'insieme del film è mutevole, produce un effetto di diffrazione visiva e tematica notevole, pur rimanendo comunque centrato sul tema del "teatro", poiché ogni episodio potrebbe in realtà essere rappresentato appunto a teatro (a parte, forse, il primo, in cui le locations esterne la fanno da padrone). Ciò che tuttavia mi sembra il limite di questa pellicola (recensita molto favorevolmente sul suolo statunitense) è di rimanere nell'ambito del puro esperimento d'avanguardia. Esperimento che tale rimane, un' esperienza che cioè non produce ancora effetti o aperture particolarmente significative nella ricerca artistica attinente al genere cinematografico perturbante. Siamo cioè di fronte a un importante sforzo creativo estrinsecato da tutti i registi all'opera, qualcuno dei quali, come ad esempio David Gregory, guarda a modelli illustri come il Greenaway di "Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante" (1989), sforzo che tuttavia genera prodotti che non fanno certo gridare al miracolo. In sintesi "The Theatre Bizarre" è un'opera frammentaria, limitata dalla stretta tempistica dalla struttura "a episodi", ambiziosa a tratti, a momenti interessante e godibile, ma che non si salva dalla critica di essere un'operazione fredda e intelletualoide che cerca di rincorrere e integrare molte intuizioni del genere horror contemporaneo (soprattutto europeo). Tale integrazione non avviene affatto, ahimè, con buona pace dei recensori statunitensi. Film da vedere solo per ragioni filologiche nonché per cercare di capire quali siano oggi i principali filoni di ricerca dell'avanguardia cinematografica perturbante. Semi-consigliato. 
Regia: Douglas Buck, Buddy Giovinazzo, David Gregory, Karim Hussain, Tom Savini, Jeremy Kasten, Richard Stanley Soggetto e sceneggiatura: John Esposito, Buddy Giovinazzi, David Gregory, Karim Hussain Fotografia: Eduardo Fierro, John Honoré, Karim Hussain, Michael Kotschi Montaggio: Robert Bohrer, Douglas Buck, Maxx Gillman, Pauline Pallier Musiche: Simon Boswell, Susan DiBona, Pierre Marchand, Mark Raskin Cast: Udo Kier, Virginia Newcomb, Amanda Marquardt, Amelia M. Gotham, Catriona MacColl,Shane Woodward, Victoria Maurette, Tom avini, Lena Kleine, Debbie Rochon Nazione: USA, Canada, Francia Produzione: Severin Films, Metaluna Productions, Nightscape Entertainment Durata: 114 
min. 

lunedì 16 luglio 2012

Battuta di caccia, di Jussi Adler-Olsen (2012)


Anno: 2008   Editore:  Marsilio, Collana "Farfalle", 2012   Traduzione: Maria Valeria D'Avino   Pagine:  495, brossura   ISBN: 978-88-317-1227-9   Euro: 18,50

Va così in questo periodo, da queste parti: poche recensioni cinematografiche e molta letteratura. Ho in verità in lista diversi film, tra cui "The Theatre Bizarre" (2011), di Buck, Giovinazzo e altri registi, ma il tempo è quello che è, cioè non mi permette l'agio di visionare con la dovuta cura ciò che mi riprometto. Nella lettura, invece, sono più veloce, e quindi ho più materiale narrativo fresco di cui riferire. Passo dunque a darvi informazioni e pareri circa la mia prima lettura davvero "estiva", che sarebbe appunto "Battuta di caccia", di un Adler-Olsen già ben temprato dalle fatiche del precedente "La donna in gabbia", edito ancora da Marsilio. Il libro è ben strutturato, e ha il pregio di catturare l'attenzione del lettore in volute spiraliformi progressive della trama, la cui caratteristica più inaspettata e intressante consiste nel togliere di mezzo, fin da subito, la solita stantìa figura del serial killer o dell'omicida in quanto tale, spalmando la "cattiveria" su un gruppo, e non su un solo, singolo individuo. Idea, in sè, non originalissima, mi rendo conto, ma che, unita al ritmo sostenuto della narrazione, imprime sul tessuto del racconto un'aura enigmatica particolare. La modalità di scrittura di Adler-Olsen è fresca, a tratti spumeggiante nell'utilizzo dell'ironia e della metafora grottesca, che muove al riso, pur dipingendo l'affresco cupo di un gruppo di sadici "cacciatori" con un passato adolescenziale in stile "Arancia Meccanica" (film peraltro molto amato dal gruppo dei violenti cui dà la caccia la Sezione Q della Polizia Criminale di Copenhagen, costituita dal detective Carl Morck e dal suo assistente Assad). E' in effetti difficile trovare un libro che sappia temperare comicità volontariamente utilizzata come registro stilistico, e atmosfere thriller di un certo tenore: Adler-Olsen riesce egregiamente a costruire una texture poliziesca di questo tipo, lavorando sull'inconscio del lettore a vari livelli, con una coerenza e una lucidità sorprendenti. Ad esempio, tutta la sequenza narrativa entro cui Carl, che non sopporta, fobicamente, di prendere un aereo, si dirige a Madrid per interrogare una delle vittime del gruppo delinquenziale, è sostanzialmente comica ("Aveva dormito come un sasso per quasi tutto il volo di ritorno, e all'arrivo le hostess non erano quasi riuscite a svegliarlo. In realtà avevano dovuto prenderlo di peso per farlo scendere dall'aereo, dopodichè il personale dell'areoporto se l'era portato via in uno dei suoi veicoli elettrici e l'aveva scaricato in infermeria", pag. 413); ma questa sequenza è preceduta  da un interrogatorio terribilmente traumatico per l'interrogato, che non ci saremmo mai aspettati. I due livelli (comico e perturbante) si intrecciano amabilmente, senza generare iperboli estetiche in nessun punto dell'orizzonte narrativo che scorgiamo. Più che un "intreccio" di generi narrativi, potremmo tranquillamente parlare di "matrimonio riuscito" tra un pigmeo e una norvegese, immagine forse difficile da pensare, ma che allo scrittore danese riesce benissimo. Già, e solo, per questo motivo, dovremmo dargli una medaglia, ma Adler-Olsen non si accontenta certo di farci ridere: imbastisce invece un plot drammaticissimo, facendolo ruotare (tra un passato adolescenziale di un gruppo di collegiali straricchi e annoiati, tipo "Funny Games", e un presente finanziario-politico che è figlio di quel passato violento) tutto attorno ad una figura femminile, Kimmie, che ci resterà impressa per molto tempo. Kimmie, adolescente borderline, cresciuta all'interno di un gruppo di amici sociopatici, diventata grande, e, tradita da genitori indifferenti al suo dolore, naturalmente desidera vendicarsi dei suoi compagni di una volta, responsabili di averle fatto perdere  il bambino di cui era incinta, frutto di uno stupro perpetrato dal suo stesso gruppo, ma a cui lei , follemente teneva. Per realizzare il suo sogno di vendetta, Kimmie diventa una finta clochard, si perde nella folla per non farsi riconoscere, e pianifica il suo progetto di morte, inconsapevole di avere il fiato di Carl Morck sul collo. Quella di Kimmie è una figura dolente, vittima del male da lei stessa perpetrato, completamente alla deriva, ma rimane l'unico personaggio che muove un briciolo di tenerezza. Gli altri componenti del gruppo di sociopatici, cioè Ditlev, Ulrick, Torsten, Kristian (che morirà dissanguato per mano della stessa Kimmie), risultano soltanto insopportabili, nel loro tronfio e arrogante narcisismo patologico di ricconi annoiati e aggressivi. Confesso che la scelta del tema (risaputo e strausato, soprattutto cinematograficamente) della "battuta di caccia", è l'unico elemento della storia che mi ha reso un tantino perplesso: forse l'autore danese poteva semplicemente concentrarsi sul gruppo in sè, nonchè sulle vicende dei pestaggi effettuati nel loro passato adolescenziale, tuttavia il libro convince lo stesso, tiene incollati alle pagine, e rende molto simpatica la figura del detective Morck, alle prese, tra l'altro, con la nuova segretaria Rose, una catastrofe di donna che non fa che irritarlo a più non posso. La figura di Assad, l'assistente siriano di Carl è altrettanto accattivante e saggiamente centrata in senso multietnico. "Battuta di caccia" è quindi un libro senz'altro da leggere, senza dubbio sotto l'ombrellone, e che porterà chi non l'ha ancora letto, ad acquistare anche il precedente, "La donna in gabbia". Dunque: molto consigliato.

domenica 8 luglio 2012

Suggerimenti per le letture estive.

Le agognate ferie estive si avvicinano, e sperabilmente aumenta  il tempo per le letture che si erano desiderate e pianificate nei mesi precedenti. Mi permetto dunque di suggerire alcuni libri che mi sembra utile portarsi dietro, in spiaggia, nella baita in montagna, oppure in giro per il mondo, ovunque si vada a ritemprare lo spirito e a ricaricare le batterie dopo un anno di lavoro sodo (per chi ce l'ha ancora, un lavoro, per essere più precisi). Ecco dunque il mio elenco, non lungo, che va dal thriller, al pamphlet filosofico, al testo di linguistica (ho gusti polimorfi, come si sa, perdonatemi, dunque).






"Battuta di Caccia", di Jussi Adler-Olsen, Marsilio,  € 18,50.












"Un delitto fatto in casa", di Gianni Farinetti, Marsilio, € 12,50














"L'estranea", di Patrick McGrath, Bompiani, € 18,50












"Vertere. Un'antropologia della traduzione nella cultura antica", Einaudi, € 23.










"Il principio dialogico e altri saggi", di Martin Buber, Edizioni Paoline, € 16.













"Holderlin e la questione del padre", di Jean Laplanche, Borla Editore,   17,50.














Bè, buona lettura, e buone vacanze. E se qualcuno ha da propormi altro da leggere è naturalmente il benvenuto.