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domenica 18 ottobre 2015

Knock Knock, di Eli Roth (2015)


Evan Webber è un architetto ed ex-dj, ed è il tipo di uomo che, a 43 anni sembra aver avuto tutto dalla vita: una casa da sogno nei dintorni di Hollywood, una giovane e bella moglie che fa la scultrice, due figli che lo adorano. Mentre sua moglie e i suoi figli partono per una gita già da tempo programmata su una spiaggia dei dintorni, Evan, rimasto solo, si dedica a un nuovo progetto cui sta lavorando, e all'ascolto della musica.. Karen, la moglie, lascia al suo assistente Louis il compito di spostare una sua nuova scultura in una galleria d'arte.  La stessa sera della partenza della moglie, due giovani donne, Genesis e Bel, bussano alla sua porta grondanti di pioggia che nel frattempo sta cadendo abbondantemente, e scusandosi del disturbo gli chiedono di poter usare il suo telefono poichè hanno perso l'indirizzo di una casa vicina dove stavano recandosi per una festa. Evan le fa gentilmente entrare e si offre di chiamare un taxi per loro. Nel frattempo le ragazze si mettono comode, e cominciano a sedurre in modo subdolo Evan, che casca nella trappola, perché, si sa, la carne è debole. Il mattino seguente, dopo una notte di sesso sfrenato con entrambe le giovani, Evan trova le ragazze che gozzovigliano in cucina, quindi decide di chiamare la polizia, ma le due lo informano di essere minorenni e che quindi ad avere guai con la giustizia potrebbe in verità essere proprio lui. In qualche modo Evan riesce a riportarle in macchina a casa loro, in un quartiere degradato in cui presumibilmente vivono. Tornato a casa Evan inizia a riassettare la sua abitazione, ma dopo qualche ora le due diaboliche ragazza si introducono di nuovo in casa, lo assalgono e lo legano. 
Comincia così una lunga avventura fatta di maltrattamenti e umiliazioni, durante la quale Evan si trova a fare i conti con il lato borderline delle due adolescenti.  

Questa volta Eli Roth ci azzecca, accidenti. Dopo varie prove (praticamente tutte) che mi avevano fatto decisamente storcere il naso, a partire dai vari, debolissimi Hostel, per poi passare dalla inutile produzione di Aftershock (2012) di Nicolàs Lòpez, per giungere al discutibile e superficiale The Green Inferno (2013), ecco che Roth si inventa una sua personale visione dell'home invasion, visione molto pensata, carica di pathos, venata da un pessimismo e da una cupezza che sono fatti risaltare con particolare intensità perturbante anche dalla fotografia brillante, accesa e molto colorata di un ispiratissimo Antonio Quercia.            .   

La sceneggiatura, del terzetto costituito da Roth, Lopez e Amoedo (lo stesso signore che aveva messo mano a "The Green Inferno", ma con risultati decisamente inferiori), non è certamente perfetta: alcuni passaggi, come quello, a titolo di esempio,  dell'aggressione di Evan con la forchetta da parte di Genesis, non convince molto, a meno che non accertassimo che le forchette di casa Webber siano tutte particolarmente affilate. Tuttavia la storia scorre fluida come un torrente di emozioni fastidiosamente disturbanti che lambisce lo spettatore piano piano e con gradualità inesorabilmente continua,  fin dall'ingresso delle due adolescenti borderline all'interno della casa. Le due sono appunto un ottimo esempio di adolescenti borderline-sociopatiche. Roth è molto bravo, inoltre, a non caratterizzarle su un piano biografico e ambientale. Il regista rimane, al contrario, su un piano per così dire fenomenologico nel presentarci dei comportamenti imprevedibili, cangianti, spiazzanti, seduttivi, sadomasochistici, come a voler creare due personaggi che rappresentino la quintessenza del lato trasgressivo-distruttivo-pulsionale dell'adolescenza. E direi che ci riesce benissimo. 

Chi ha avuto a che fare con adolescenti psicotiche, sa bene quanto il modus operandi di Genesis e Bel non sia poi così lontano dalla realtà, sebbene il film generi una sorta di comprensibile iperbole narrativa circa i comportamenti delle due. Ma questo è ovvio, dal momento che stiamo guardando un film, cioè un'opera di fiction, e di questo sembra che Roth  sia qui perfettamente consapevole. Ciò che ritengo più riuscito di Knock Knock è proprio il suo saper rendere in modo molto preciso e chiaro, quello che potremmo definire il fondamentalismo psicopatologico che caratterizza un certo tipo di comportamenti adolescenziali, fondamentalismo che si evidenzia sia sul piano della sensualità seduttiva, sia su quello della distruttività e della relazionalità di tipo narcisistico sado-masochistico. Le due infatti si scopano Evan senza nessun tipo di remora valoriale di sorta (versante libidico-sensuale), per poi accusarlo di pedofilia punendolo per questo (versante distruttivo-sadico), ma entrambe le modalità di interazione sono appunto estreme, di stampo integralista. Questa forma del pensiero ha una natura intrinsecamente virante sul versante psicotico della personalità, una forma che spesso colonizza un certo tipo di personalità adolescente.  

L'elemento perturbante caratteristico del film fa leva giustappunto su questo modo di essere psicotico-borderline di certe adolescenze declinate su un piano essenzialmente clinico, ma Roth non ha naturalmente nessun intento descrittivo-psichiatrico, e invece a convincere di più è  proprio questo suo guardare essenzialmente alla "fenomenicità" rappresentativa della distruttività umana. Porre in contrasto netto, conflittuale, sul piano dello script, la freschezza adolescenziale, vitalistica, di Genesis e Bell, con la stabilità del costrutto familiare della coppia Evan-Karen, avvicina questo film a Funny Games (1997) di Haneke, pur rimanendo all'interno di un contesto di intrattenimento che non ha la pretesa di una profondità alla Haneke. Roth  è come se infatti ammettesse con onestà, in questo suo ultimo film,  che la sua cinematografia è tutta situata all'interno dello stream post-moderno, e non ha nessun intento di approfondimento o di riflessione che riguardi ciò che post-moderno non è. Un prodotto culturale post-moderno di qualsiasi natura esso sia, non vuole infatti avere nessun intento didascalico, ma semplicemente desidera raffigurare lo stato delle cose, in modo "liquido", come direbbe il filosofo Zygmut Bauman, senza spessore alcuno. Quindi possiamo dire che Roth vuole presentarsi a noi come un Haneke post-moderno, e nel suo ultimo film riesce a raggiungere questo intento con grande determinazione, cui gli va dato atto.

Dal punto di vista estetico-narrativo Roth ingaggia tre protagonisti che sanno il fatto loro. Al di là del redivivo Keanu Reeves, che non eccelle per particolari e significative performances interpretative, sono invece Lorenza Izzo (Genesis), ma soprattutto Ana de Armas (Bel)  ad essere qui utilizzate in modo formalmente solido nel rappresentare una pulsionalità giovanile che, legata saldamente alla fantasia di invulnerabilità onnipotente e senza limiti, anch'essa tipicizzante alcuni quadri adolescenziali, può dare origine a una miscela davvero esplosiva, destrutturante, perturbante in senso radicale. 

Sono presenti nel film lontani echi cinematografici che Roth sa evocare in modo sottile, sempre attinenti al filone home invasion, ma suggestivamente declinati, come abbiamo avuto modo di indicare, con una sguardo attentamente rivolto all'adolescenza . Sto parlando in particolare, oltre che del già citato Funny Games,  anche del richiamo a Them (2006) di Moreau e Palud, del quale condivide la tematica dell'invidia psicotica distruttiva verso la coppia edipica e la sua generatività, ma naturalmente sto pensando anche ad Hard Candy (2005), di David Slade. "Knock Knock" aggiunge agli spunti che ritroviamo nei film citati, anche un sottile rimando ai rapporti intergenerazionali tipici dell'era post-moderna in cui viviamo, rapporti ormai privi di qualsiasi tipo di regolamentazione valoriale, di qualsiasi asimmetria e distanza che fondino una comunicazione socialmente condivisa e generatrice di senso storico e insieme affettivo. Interessante, e centrale a questo proposito, nel film, la "bugia"  di Genesis (nome molto evocativo di un "origine" mitica quanto misteriosa ed autogenerata, cioè senza generazioni precedenti alle sue spalle) e Bel circa la loro vera età. Dopo la folle notte di sesso, le due giovani maghe Circe al cospetto di quell'Ulisse decaduto che è Evan, gli annunciano che Bel ha 15 anni, dopo avergli raccontato le loro imprese sessuali con uomini diversi e sconosciuti. Dove sta quindi veramente la "colpa" di un azione dalle valenze intrinsecamente e inconsciamente incestuali? Dov'è il potere? Chi comanda? Roth sembra voler rispondere che oggigiorno comanda il potere della seduzione in quanto tale, del godimento puro e senza filtri inibitori, consumato nel qui e ora, un potere che sovverte le consuete, rassicuranti (e ormai defunte) asimmetrie generazionali, travolgendole con una furia cieca alla quale non possiamo porre nessun limite.

"Knock Knock" è dunque un film che mi fa rivalutare positivamente la poetica di Roth, al quale, dopo la visione di questo film, consiglierei però di attestarsi  sui temi, sui personaggi e sulle interazioni che racconta in quest'ultimo film, senza spingersi pure lui in modo adoloscenziale, onnipotente, verso inutili spiagge esotiche amazzoniche. Rimanga dunque nel grigio inferno dei territori simil-simbiotici che la famiglia postmoderna di oggi dipinge sulle tele del suo vivere quotidiano, ed eviti accuratamente le tribù cannibali di qualsiasi altro omaggiante "Green Inferno".  


Regia: Eli Roth Soggetto e Sceneggiatura: Eli Roth, Nicolàs Lòpez, Guillermo Amoedo Fotografia: Antonio Quercia  Musiche: Manuel Riveiro   Cast: Keanu Reeves, Lorenza Izzo, Ana de Armas, Ignacia Allamand, Aaron Burns, Colleen Camp   Nazione: Cile, USA  Produzione: Black Bear Pictures, Camp Grey, Dragonfly Entertainment  Durata:  99 min.