Il Tempo, l'Umanità sono attraversati da un solo respiro, da una sola anima che connette il destino di ciascuno di noi, tra passato, presente, futuro e post-futuro. La Vita è un turbinio incessante di trasformazioni che fa diventare un assassino un eroe, e tutto è ispirato da una spinta al cambiamento, alla rivoluzione, alla crescita. Tutto è connesso.
"Cloud Atlas" è un film che comincia prima di vederlo e continua nella tua mente dopo che si è concluso. Genera pensieri, immagini e riflessioni che si sedimentano in te e proliferano accendendo luci e favorendo stimoli molto positivi. Si tratta di un film assai complesso e da vedere necessariamente attraverso uno sguardo non razionale, ma al contrario fruibile solo immergendosi emotivamente nella storia, con un atteggiamento sognante e con una attenzione fluttuante quale può caratterizzare, ad esempio, l'attenzione di uno psicoanalista durante una seduta analitica. La prima cosa che mi è infatti venuta in mente dopo la visione di questo film, indescrivibilmente bello e cinematograficamente potente quant'altri mai ne abbia visti finora, è che uno psicoanalista dovrebbe correre a vederlo, perché ci ritroverebbe senz'altro il tessuto di cui è fatta una seduta di psicoanalisi, cioè il cuore del suo quotidiano lavoro. Se infatti ci si accosta a "Cloud Atlas" pensando di seguire una storia lineare, un discorso cioè normalmente "cosciente" come accade in qualsiasi altro film, si rimane immediatamente inebetiti e spiazzati, perché il film è costruito appositamente in modo da destrutturare la nostra attenzione e il nostro pensiero cosciente.
Siamo infatti di fronte a sei storie ambientante in epoche differenti e in luoghi diversi e distanti tra loro (Stati Uniti, poi brigantino in navigazione,1849; Cambridge, 1936; New York,1972; Londra 2012; Seul, 2144; Pianeta sconosciuto, epoca iper-futura). Risulta francamente faticoso tenere mentalmente le fila di ciò che ci viene raccontato di volta in volta all'interno di ciascuna storia, dal momento che il montaggio a incastri lenti e successivi ci obbliga a un'attesa e a un differimento delle nostre consuete aspettative: bisogna seguire sei movimenti narrativi diversi, ma legati da rimandi che connettono una storia con l'altra mediante dettagli infinitesimali (una lettera scritta a mano, un tatuaggio raffigurante una piccola stella cometa, le note di una sinfonia), per ben 172 minuti, e arrivare fino alla fine perché si possa generare in noi un quadro d'insieme sensato e significante. Prima che ciò avvenga è la nostra mente che deve faticosamente mettere in atto un lavoro di integrazione visivo-semantica immane. Proprio questo "lavoro" costituisce tuttavia l'elemento assolutamente geniale del film, elemento che si fonda su una sceneggiatura da premio Nobel per la Fisica Quantistica, più che da Oscar per il Miglior Film. Ma mi sembra dunque il caso di prendere in esame, per punti, e separatamente le varie componenti di questo oggetto complesso, di questa esperienza emotivo-sensoriale che porta il titolo di "Cloud Atlas":
1. Sceneggiatura: come dicevo lo script sembra uscito dalle menti di tre fisici quantistici, intanto perché mette subito in discussione l'unità drammaturgica aristotelica classica dell'unità di tempo e di spazio del racconto, descrivendo invece una simultaneità di azioni che avvengono in tempi e spazi diversi, abolendo le nostre certezze percettive acquisite e le nostre consuete capacità emotivo-cognitive di significazione. Oltre a questo non banale elemento, la sceneggiatura accosta generi cinematografici diversi: genere storico (la segregazione razziale negli Stati Uniti pre-Lincoln); genere fantascientifico (la Seul, rinominata Neo-Seul del 2144, con tanto di replicanti passivi e a loro volta segregati in una città che in brevi sequenze riesce a ricordarci di sfuggita anche "Blade Runner", e certamente "Matrix"); genere spy-story (le vicende americane relative allo spionaggio industriale-nucleare ambientate nel 1972, con tanto di inseguimenti e sparatorie che rimandano al mito di James Bond); genere comico-comedy (la storia del vecchio Cavendish e dei suoi anziani amici che fuggono rocambolescamente dall'ospizio in cui sono relegati, con quella sopraffina sequenza del pub che strizza l'occhio al "Trainspotting" di Danny Boyle); genere drammatico-sociologico (la storia del compositore omosessuale Robert Frobisher, ambientata a Cambridge, nel 1936); genere post-apocalittico (la storia che lega poi tutte le storie, ma lo capiamo solo alla fine, quando Tom Hanks nelle vesti del vecchio Zachry, racconta ai nipotini la storia -o tutte le storie?- che stiamo vedendo). La sceneggiatura è perfettamente organizzata, musicalmente orchestrata, perché riesce ad amalgamare armoniosamente questa grande mole narrativa che si dispiega lungo filoni così diversi, eccentrici, eclettici. La scrittura filmica dei Wachowski e di Tykwer sembra appunto più una partitura musicale che una "scrittura" in senso letterario, oppure una coreografia nella quale ogni sequenza è un ballerino sul palcoscenico che "danza" la sua parte in perfetta evoluzione individuale nel contesto dell'evoluzione generale dell'opera. L'aspetto forse più incredibile di questo lavoro sullo script risiede nel fatto che le varie sequenze storiche ci vengono mostrate secondo un ritmo niente affatto regolare, ma secondo uno schema liberissimo che vede alcune sequenze molto più insistite e raccontate di altre. Nonostante ciò, l'intera architettura narrativa si mantiene saldamente in piedi e con un effetto di ascensione da cattedrale gotica.
2. Regia: movimenti di macchina fluidi, sicuri, non dispersivi, evidenzianti ciò che i registi desiderano sottolineare di più dello script; primi piani intensi di tutti gli attori protagonisti (sopratutto quelli di Doona Bae-Sonmi, Tom Hanks-Zachry, Jim Broadbent-Cavendish). Sequenze d'azione nell'ambientazione fantascientifica magistrali, ben condotte, ben gestite nelle tempistica e nell'effetto di intrattenimento. Inquadrature raffinatissime, luminose ed evocative (vedasi la stanza di Neo-Seul in cui si rifugiano i ribelli Sonmi-451 e Hae-Joo Chang con quei fiori di ciliegio virtuali che volano lentamente scivolando sulle pareti). Uso delle voci fuori campo molto appropriato, anche e soprattutto quando propone riflessioni al limite del filosofico ("ogni crimine e ogni gentilezza concorrono a determinare il nostro futuro"), senza però mai risultare stucchevoli. Gestione di un cast vastissimo con mano sempre salda, attenta a ciascuna differente caratterizzazione. Il gioco di squadra con il resto della crew è poi evidentemente la colonna portante di questo film, che oltre ai tre registi-sceneggiatori, si regge sulle solidissime spalle di un Alexander Berner, al quale dovrebbe essere dato un premio per un montaggio che, da solo, rappresenta un'opera d'arte. Se vogliamo sintetizzare (ma è molto difficile), Lana ed Andy Wachowski, insieme Tom Tykwer, vanno molto aldilà della trilogia di "Matrix" (1999 e 2003), creano cioè, non solo un nuovo modo di fare cinema, ma anche un nuovo tipo di sguardo o di modalità percettiva nello spettatore, pur rimanendo all'interno di un "racconto", di una "fiaba", come sottolinea la sequenza finale in cui il nonno Zachry si accomiata dai bambini-spettatori che lo ascoltano.
3. Cast: tutti gli attori sono ispiratissimi, molto intensi e sempre adeguati al personaggio che incarnano, pur nelle loro differentissime declinazioni. Possiamo dire che nessuno di loro è però un "eroe", un "salvatore del mondo". Anzi, in alcuni casi la loro caratterizzazione (che fa il paio con il trucco) tende ad un'autoironia che stempera il pathos del racconto rendendolo lieve e godibile (il vecchio Cavendish è un esempio mirabile in tal senso). Menzione particolare a Doona Bae, una replicante ribelle dalle fattezze asiatiche, memorabile nel rappresentare, nella sua semplicità quasi banale, il messaggio di "verità rivoluzionaria" di cui si fa portatrice. Ottima la scelta di casting in tal senso, che rende "semplice", molto umano, il desiderio di riscatto, di cambiamento rispetto all'"oppressore", a qualsivoglia epoca o etnia esso appartenga. Grandioso anche Tom Hanks, irriconoscibile nei vari personaggi che impersona (Zachry, il Dr. Henry Goose, Isaac Sachs, Dermot Hoggins, il Direttore dell'Hotel). Sì, perché un' ulteriore profondità prospettica che il film ci consente, è costituita dal fatto che ciascun attore e copresente in tutte le sei storie, impersonando personaggi diversi (sì, perché, anche da questa prospettiva "tutto è connesso".
Il "mondo", la Vita, la "Storia" si sviluppano e crescono secondo imperscrutabili linee di tendenza che sono tuttavia legate tra di loro dalle decisioni soggettive dei singoli. Tutti noi dipendiamo dagli altri. Tutto è quindi "relativo", ma non "anarchico". Esiste una "logica", un "principio organizzatore" degli affetti e delle relazioni umane, ma non è un principio così lineare come noi saremmo portati a vederlo. I nostri limiti, le nostre convenzioni, le nostre difese, spesso ci impediscono di andare oltre, di vedere quei legami precedenti ed ulteriori che creano il senso della vita. Liberarsi da questi limiti che impediscono la crescita spirituale dell'individuo, così come dell'intera umanità, per fondare una nuova coscienza umana che coltivi un'investimento positivo verso il futuro e quindi una speranza, è il messaggio centrale del film. Ma liberarsi da limiti e convenzioni per spingersi verso il futuro, tenendo a bada le spinte distruttive ed egoistiche è molto difficile, è una lotta. Per abbattere bastioni, pregiudizi mentali e miopie occorre però, ci segnalano i Wachowski, che noi costruiamo prima uno spazio rappresentativo, un progetto, un'idea di futuro, un contenitore rappresentativo, figurativo, nel quale poter collocare i nostri desideri, le nostre speranze. "Cloud Atlas": film terapeutico, spiritualmente nutritivo che fonda una nuova mitopoiesi cinematografica, che non esieterei a definire "omerica". Correte tutti a vederlo (o forse l'avete già visto senza saperlo, perché "everything is connected"?).
Regia: Andy Wachowski, Lana Wachowski, Tom Tykwer Soggetto e Sceneggiatura: Andy Wachowski, Lana Wachowski, Tom Tykwer (da un romanzo di David Mitchell) Fotografia: Frank Griebe, John Toll Montaggio: Alexander Berner Musiche: Reinhold Heil, Johnny Klimek, Tom Tykwer Cast: Tom Hanks, Hugo Weaving, Ben Whishaw, Halle Berry, Jim Sturgess, Susan Sarandon, Hugh Grant, Jim Broadbent, Keith David, James D'Arcy, Zhu Zhu, Gotz Otto, Xun Zhou, Doona Bae, Alistair Petrie Nazione: Germania, USA, Hong Kong, Singapore Produzione: Cloud Atlas Productions, X-Filme Creative Pool, Anarchos Pictures, Ascension Pictures, Five Drops, Media Asia Group Durata: 172 min.
"Cloud Atlas" è un film che comincia prima di vederlo e continua nella tua mente dopo che si è concluso. Genera pensieri, immagini e riflessioni che si sedimentano in te e proliferano accendendo luci e favorendo stimoli molto positivi. Si tratta di un film assai complesso e da vedere necessariamente attraverso uno sguardo non razionale, ma al contrario fruibile solo immergendosi emotivamente nella storia, con un atteggiamento sognante e con una attenzione fluttuante quale può caratterizzare, ad esempio, l'attenzione di uno psicoanalista durante una seduta analitica. La prima cosa che mi è infatti venuta in mente dopo la visione di questo film, indescrivibilmente bello e cinematograficamente potente quant'altri mai ne abbia visti finora, è che uno psicoanalista dovrebbe correre a vederlo, perché ci ritroverebbe senz'altro il tessuto di cui è fatta una seduta di psicoanalisi, cioè il cuore del suo quotidiano lavoro. Se infatti ci si accosta a "Cloud Atlas" pensando di seguire una storia lineare, un discorso cioè normalmente "cosciente" come accade in qualsiasi altro film, si rimane immediatamente inebetiti e spiazzati, perché il film è costruito appositamente in modo da destrutturare la nostra attenzione e il nostro pensiero cosciente.
Siamo infatti di fronte a sei storie ambientante in epoche differenti e in luoghi diversi e distanti tra loro (Stati Uniti, poi brigantino in navigazione,1849; Cambridge, 1936; New York,1972; Londra 2012; Seul, 2144; Pianeta sconosciuto, epoca iper-futura). Risulta francamente faticoso tenere mentalmente le fila di ciò che ci viene raccontato di volta in volta all'interno di ciascuna storia, dal momento che il montaggio a incastri lenti e successivi ci obbliga a un'attesa e a un differimento delle nostre consuete aspettative: bisogna seguire sei movimenti narrativi diversi, ma legati da rimandi che connettono una storia con l'altra mediante dettagli infinitesimali (una lettera scritta a mano, un tatuaggio raffigurante una piccola stella cometa, le note di una sinfonia), per ben 172 minuti, e arrivare fino alla fine perché si possa generare in noi un quadro d'insieme sensato e significante. Prima che ciò avvenga è la nostra mente che deve faticosamente mettere in atto un lavoro di integrazione visivo-semantica immane. Proprio questo "lavoro" costituisce tuttavia l'elemento assolutamente geniale del film, elemento che si fonda su una sceneggiatura da premio Nobel per la Fisica Quantistica, più che da Oscar per il Miglior Film. Ma mi sembra dunque il caso di prendere in esame, per punti, e separatamente le varie componenti di questo oggetto complesso, di questa esperienza emotivo-sensoriale che porta il titolo di "Cloud Atlas":
1. Sceneggiatura: come dicevo lo script sembra uscito dalle menti di tre fisici quantistici, intanto perché mette subito in discussione l'unità drammaturgica aristotelica classica dell'unità di tempo e di spazio del racconto, descrivendo invece una simultaneità di azioni che avvengono in tempi e spazi diversi, abolendo le nostre certezze percettive acquisite e le nostre consuete capacità emotivo-cognitive di significazione. Oltre a questo non banale elemento, la sceneggiatura accosta generi cinematografici diversi: genere storico (la segregazione razziale negli Stati Uniti pre-Lincoln); genere fantascientifico (la Seul, rinominata Neo-Seul del 2144, con tanto di replicanti passivi e a loro volta segregati in una città che in brevi sequenze riesce a ricordarci di sfuggita anche "Blade Runner", e certamente "Matrix"); genere spy-story (le vicende americane relative allo spionaggio industriale-nucleare ambientate nel 1972, con tanto di inseguimenti e sparatorie che rimandano al mito di James Bond); genere comico-comedy (la storia del vecchio Cavendish e dei suoi anziani amici che fuggono rocambolescamente dall'ospizio in cui sono relegati, con quella sopraffina sequenza del pub che strizza l'occhio al "Trainspotting" di Danny Boyle); genere drammatico-sociologico (la storia del compositore omosessuale Robert Frobisher, ambientata a Cambridge, nel 1936); genere post-apocalittico (la storia che lega poi tutte le storie, ma lo capiamo solo alla fine, quando Tom Hanks nelle vesti del vecchio Zachry, racconta ai nipotini la storia -o tutte le storie?- che stiamo vedendo). La sceneggiatura è perfettamente organizzata, musicalmente orchestrata, perché riesce ad amalgamare armoniosamente questa grande mole narrativa che si dispiega lungo filoni così diversi, eccentrici, eclettici. La scrittura filmica dei Wachowski e di Tykwer sembra appunto più una partitura musicale che una "scrittura" in senso letterario, oppure una coreografia nella quale ogni sequenza è un ballerino sul palcoscenico che "danza" la sua parte in perfetta evoluzione individuale nel contesto dell'evoluzione generale dell'opera. L'aspetto forse più incredibile di questo lavoro sullo script risiede nel fatto che le varie sequenze storiche ci vengono mostrate secondo un ritmo niente affatto regolare, ma secondo uno schema liberissimo che vede alcune sequenze molto più insistite e raccontate di altre. Nonostante ciò, l'intera architettura narrativa si mantiene saldamente in piedi e con un effetto di ascensione da cattedrale gotica.
2. Regia: movimenti di macchina fluidi, sicuri, non dispersivi, evidenzianti ciò che i registi desiderano sottolineare di più dello script; primi piani intensi di tutti gli attori protagonisti (sopratutto quelli di Doona Bae-Sonmi, Tom Hanks-Zachry, Jim Broadbent-Cavendish). Sequenze d'azione nell'ambientazione fantascientifica magistrali, ben condotte, ben gestite nelle tempistica e nell'effetto di intrattenimento. Inquadrature raffinatissime, luminose ed evocative (vedasi la stanza di Neo-Seul in cui si rifugiano i ribelli Sonmi-451 e Hae-Joo Chang con quei fiori di ciliegio virtuali che volano lentamente scivolando sulle pareti). Uso delle voci fuori campo molto appropriato, anche e soprattutto quando propone riflessioni al limite del filosofico ("ogni crimine e ogni gentilezza concorrono a determinare il nostro futuro"), senza però mai risultare stucchevoli. Gestione di un cast vastissimo con mano sempre salda, attenta a ciascuna differente caratterizzazione. Il gioco di squadra con il resto della crew è poi evidentemente la colonna portante di questo film, che oltre ai tre registi-sceneggiatori, si regge sulle solidissime spalle di un Alexander Berner, al quale dovrebbe essere dato un premio per un montaggio che, da solo, rappresenta un'opera d'arte. Se vogliamo sintetizzare (ma è molto difficile), Lana ed Andy Wachowski, insieme Tom Tykwer, vanno molto aldilà della trilogia di "Matrix" (1999 e 2003), creano cioè, non solo un nuovo modo di fare cinema, ma anche un nuovo tipo di sguardo o di modalità percettiva nello spettatore, pur rimanendo all'interno di un "racconto", di una "fiaba", come sottolinea la sequenza finale in cui il nonno Zachry si accomiata dai bambini-spettatori che lo ascoltano.
Il "mondo", la Vita, la "Storia" si sviluppano e crescono secondo imperscrutabili linee di tendenza che sono tuttavia legate tra di loro dalle decisioni soggettive dei singoli. Tutti noi dipendiamo dagli altri. Tutto è quindi "relativo", ma non "anarchico". Esiste una "logica", un "principio organizzatore" degli affetti e delle relazioni umane, ma non è un principio così lineare come noi saremmo portati a vederlo. I nostri limiti, le nostre convenzioni, le nostre difese, spesso ci impediscono di andare oltre, di vedere quei legami precedenti ed ulteriori che creano il senso della vita. Liberarsi da questi limiti che impediscono la crescita spirituale dell'individuo, così come dell'intera umanità, per fondare una nuova coscienza umana che coltivi un'investimento positivo verso il futuro e quindi una speranza, è il messaggio centrale del film. Ma liberarsi da limiti e convenzioni per spingersi verso il futuro, tenendo a bada le spinte distruttive ed egoistiche è molto difficile, è una lotta. Per abbattere bastioni, pregiudizi mentali e miopie occorre però, ci segnalano i Wachowski, che noi costruiamo prima uno spazio rappresentativo, un progetto, un'idea di futuro, un contenitore rappresentativo, figurativo, nel quale poter collocare i nostri desideri, le nostre speranze. "Cloud Atlas": film terapeutico, spiritualmente nutritivo che fonda una nuova mitopoiesi cinematografica, che non esieterei a definire "omerica". Correte tutti a vederlo (o forse l'avete già visto senza saperlo, perché "everything is connected"?).
Regia: Andy Wachowski, Lana Wachowski, Tom Tykwer Soggetto e Sceneggiatura: Andy Wachowski, Lana Wachowski, Tom Tykwer (da un romanzo di David Mitchell) Fotografia: Frank Griebe, John Toll Montaggio: Alexander Berner Musiche: Reinhold Heil, Johnny Klimek, Tom Tykwer Cast: Tom Hanks, Hugo Weaving, Ben Whishaw, Halle Berry, Jim Sturgess, Susan Sarandon, Hugh Grant, Jim Broadbent, Keith David, James D'Arcy, Zhu Zhu, Gotz Otto, Xun Zhou, Doona Bae, Alistair Petrie Nazione: Germania, USA, Hong Kong, Singapore Produzione: Cloud Atlas Productions, X-Filme Creative Pool, Anarchos Pictures, Ascension Pictures, Five Drops, Media Asia Group Durata: 172 min.
a me sinceramente ha intrigato più la forma filmica che la sostanza , non mi ha travolto come uno tsunami ma l'ho apprezzato e promosso...
RispondiEliminaAngelo:
RispondiEliminaSorrido, da tempo non passavo da queste parti, e che trovo? "Cloud Atlas".
Tutt' altro che stupido dato che, negli scorsi giorni, leggendone una non felicissima recensione, ho pensato: "Chissà che il buon Angelo la pensi diversamente".
Cristian : )
@ Bradipo: anche a me è piaciuta più la forma della sostanza, infatti come hai visto mi sono soffermato molto sulla scrittura filmica e sulla regia. Anche il contenuto però l'ho trovato molto profondo, sebbene espresso in modo leggero e fresco, senza pesantezze.
RispondiElimina@ Cristian: bentornato! E buon Anno, anche. Credo che "Cloud Atlas" sia un film che, come dicono i latini "aut amas aut odis, non est tertium", quindi è normalissimo che vi siano recensioni molto negative o molto positive (come la mia). Ma tu l'hai visto? E cosa ne pensi?
che bello trovare qualcun altro che ha apprezzato questo film! vengo dal blog del Cannibal e questo pezzo è davvero una boccata d'aria fresca :)
RispondiEliminaquesta è la mia recensione ( molto positiva)
http://firstimpressions86.blogspot.com/2013/01/cloud-atlas.html
a presto!
@ Alessia: grazie della visita e dell'apprezzamento. Vengo subito a leggere la tua recensione. A presto :)
RispondiEliminaAngelo:
RispondiEliminaSembra un film fatto su misura per me, per cui, ora, eviterò.
Cristian
@ Cristian: il tuo non è un commento ma un aforisma filosofico. Me lo segno :)
RispondiEliminaFilm straordinario, il 2013 è appena iniziato e già è uscito un capolavoro di quelli con la C carattere 72. È tutto il giorno che ci penso, bramo il dvd per potermelo rivedere con la dovuta calma...
RispondiEliminaOttima recensione, come sempre :)
Helloo mate nice blog
RispondiElimina