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mercoledì 10 novembre 2010

Splice, di Vincenzo Natali (2009)

Viviamo in un’epoca in cui i progressi delle biotecnologie titillano sempre di più il nostro immaginario nella direzione di una possibile realizzazione demiurgica di ibridi umanoidi, di homunculi semi-divini e gadget genetici di vario tipo. Le maestranze religiose cattoliche e non, si strappano ipocritamente le vesti e i dibattiti televisivi in seconda serata pullulano di scienziati bioetici che ci raccontano la nuova versione postmoderna del peccato originale. La prima cosa che viene in mente dopo la visione di “Splice”, è quindi che Vincenzo Natali abbia deciso di buttarsi a pesce su questo tema molto trendy, nonché splendidamente politically correct, il che non è certo vietato a nessuno, a patto però di non perdere per strada la consapevolezza che si sta comunque lavorando ad un prodotto artistico. A mio avviso Natali perde invece per strada tale coscienza registica, perché sembra troppo appiattito sul “messaggio” rispetto alla forma, è questo particolare non è secondario, anzi è un grave difetto perché sottomette l’interpretazione creativa a un’idea che sa di preconfezionato, se non addirittura di dogmatico. Tale rigidità di impostazione dello screenplay riverbera poi in una sceneggiatura molto debole, che ci racconta di Elsa, la scienziata, improvvisamente “innamorata” della creatura ibrida da lei stessa creata, proprio come una mammina amorevole, tutta dedita ad allattare il suo nuovo pargolo: Elsa è un personaggio perciò stesso molto poco credibile, come pure il marito, un Adrien Brody spento e amorfo come mai lo avevamo visto. Anche il montaggio, che alterna esterni notturni con grattacieli illuminati e sirene di ambulanze in sottofondo, a interni di laboratori verdognoli e asettici, non fa che ribadire una legnosità coattiva che francamente non ci aspettavamo dal regista di Cube (1997) e Chyper (2002). Inoltre “Splice” è un film che non emoziona per nulla, e Dren, la “bambina” geneticamente ibrida, non trasmette alcun tipo di inquietudine, pensiero perturbante, ansietà, e tantomeno tenerezza. E’ una specie di Alien in gonnella, con una coda fallico-scorpionica acunimata, e al massimo fa pensare a un cane bizzoso, adottato in qualche sperduto canile di periferia. Per provare le stesse emozioni che ci propone Natali, possiamo quindi andare tranquillamente in un canile, risparmiando così il prezzo del biglietto. Dren è sicuramente anche il tentativo di proporci una nuova versione di “bambino demoniaco”, calato nella cultura tecnologica attuale, un bambino che tuttavia non genera suggestioni particolari perché appunto troppo agganciato al reale “scientifico” da cui ha origine, un reale “umano, troppo umano”, se vogliamo scomodare Nietzsche. La rapida crescita biologica di Dren, contribuisce poi a spingere questo strano, inutile personaggio verso il concreto, verso il biologico umano/animale da cui deriva, sebbene come mistake, come errore della natura, causato comunque da due “genitori” in carne e ossa. Come se non bastasse, i momenti di maggiore tensione compaiono nel momento in cui Dren comincia ad assomigliare (guarda caso) ad un’adolescente in piena turbolenza ribellistica, e proprio nelle sequenze successive a quelle in cui Dren assiste edipicamente all’amplesso tra i due genitori. La sequenza notturna della fuga sul tetto, oppure quella del ballo con Clive, hanno poi un sapore che più edipico-paterno-adolescenziale non si può, e saranno appunto queste sequenze a dare l’avvio a uno sviluppo della storia che in una “scena-madre” particolare, finisce addirittura col rasentare il comico involontario. Francamente questo tipo di simbolismo edipico-incestuale è davvero troppo “umano” perchè la bimba ibrida (e poi ragazza) sia credibile come creatura perturbante, davvero “aliena”, altra da noi, e per questo spaventosa. Per non parlare poi del fatto che Natali poteva pure risparmiarci la sequenza in cui mamma Elsa regala la sua Barbie alla bambina... Per il resto non possiamo neppure consolarci con il reparto effettistico,  o con momenti di vero, sano spavento. Le successive trasformazioni genetiche di Dren non elevano infatti il livello estetico complessivo di un’opera che rimane incartata sulla linea di una denuncia bioetica del tutto fine a se stessa e che non produce nessuno stimolo evocativo. “Splice” è dunque un film emotivamente freddo, molto poco perturbante, e per giunta recitato in modo troppo superficiale rispetto ai contenuti del soggetto. L’attrice Delphine Chanéac,  che interpreta Dren-adolescente, non arriva mai a coinvolgere lo spettatore, soprattutto perché il suo muoversi sulla scena la fa semplicemente sembrare la bambolina di un carillon, il che è peraltro in linea con l’atmosfera generale del film. Dopo il grande battage pubblicitario che ne ha preceduto l’uscita, sinceramente ci sentiamo molto delusi da un Vincenzo Natali da cui ci aspettavamo invece qualcosa di più godibile, in quanto appassionati di genere horror. Regia: Vincenzo Natali Sceneggiatura: Vincenzo Natali, Antoinette Terry Bryant, Doug Tay Cast: Adrien Brody, Sarah Polley, Delphine Chaneac, David Hewlett, Brandon McGibbon Nazione: Canada, Spagna, USA Produzione: Gaumont, Copperheart Entertainment, Dark Castle Entertainment, Senator Entertainment Anno: 2009 Durata: 104 min.

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