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mercoledì 17 novembre 2010

Sull'evanescenza dell'Essere e del Pensiero nel tempo che viviamo (3)


Ciò che voglio significare qui è che stiamo vivendo una profonda, radicale trasformazione antropologica dell’Essere Umano, alla quale non siamo ancora pienamente preparati e di cui, soprattutto, non abbiamo piena consapevolezza. La nostra vita si sta infatti sempre più trasformando in un contenitore di sterili oggetti inanimati, di “cose”. Cose da fare, cosa da consumare, cellulari sempre accesi, connessioni a internet sempre attivate, televisori che srotolano in continuazioni immagini da vedere. Ogni immagine uguale a un’altra. Non c’è più silenzio, pausa, attesa, differimento del desiderio, ricordo, memoria, pensiero, là dove il desiderio e la memoria (il Tempo) e la loro  assenza sarebbero la marca distintiva del Soggetto Umano, in quanto animale culturale. Il senso dell’Essere Umano è infatti, intrinsecamente, Senso come Limite, cioè la Morte è inscritta nel senso dell’Essere e nel Tempo (Heidegger) dell’uomo, ontologicamente. La cultura umana e le sue espressioni derivano infatti da questo sfondo permanente di un senso che si sottrae, che non si dà, ovvero che sì dà per scarto e mostra ogni momento il suo carattere di inattingibilità: non possiamo mai attingere al senso come “cosa-in-sé” , come “in-conscio”. Come scrive Silvana Borutti, “questa prospettiva dice sostanzialmente che non sappiamo il senso come una cosa, che l’essere è non ente, ni-ente, nulla; che perciò dal punto di vista esistenziale, lo stato dell’essere (dell’essere che noi siamo) è l’ angoscia che si prova di fronte al nulla, è il lutto senza oggetto”. Un lutto senza oggetto che però ci contraddistingue come Esseri Umani. Tutto quanto detto fin qui sfuma via in un’evanescenza futile, in una “chiacchera insensata” (Heidegger), nel tempo che viviamo: il Tempo del chiacchiericcio, del telegiornale infinito, delle veline, di Striscia la Notizia. Chiacchiericcio nel quale affonda come in una palude maniacale, euforica, pseudo-brillante, unicamente feticistica, il senso del limite, il significato dell’angoscia della nostra impotenza di essere uomini, radicati temporaneamente su una Terra che ci vede solo come passeggeri (segue).

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