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sabato 14 gennaio 2012

The Innkeepers, di Ti West (2011)



Lo Yankee Pedlar Hotel sta per chiudere definitivamente i battenti dopo anni di onorato servizio. Nelle ultime settimane di apertura sono rimasti a condurlo la ventenne asmatica Claire e il solitario e più maturo Luke, appassionato di case infestate da fantasmi, e che per questa ragione ha fondato un sito web apposito con filmati e foto, ma perennemente "under construction". Più si avvicinano i giorni della chiusura definitiva dell'hotel, arrivano nuovi strani clienti, in particolare l'ex-attrice Leanne Rease-Jones, e un attempato signore che a tutti i costi vuole risiedere nella stanza 353. Misteriosi e cupi avvenimenti cominciano ad accadere. 


"The Innkeepers", ultima opera di Ti West, è un oggetto evocativo-perturbante raffinato, suntuoso, a tratti autoreferenzialmente freddo in modo addirittura disturbante per un certo tipo di pubblico, magari abituato alle solite sceneggiate splatteriformi che Hollywood sforna da mane a sera. A partire dai titoli di testa, con quelle lettere che si decompongono e scivolano via sulla dissolvenza dei nomi in scorrimento, cullati dalla elegantissima, incisiva colonna sonora di Jeff Grace, il film si staglia subito, davanti ai nostri occhi, come un monumento di bellezza non usuale. Ti West si prende tutto il tempo e tutto lo spazio per dire e fare cinematograficamente ciò che desidera: lunghissimi, quasi bergmaniani dialoghi tra i due principali protagonisti; movimenti di macchina lenti, felpati, lontani sideralmente da qualsiasi  frenesia adrenalinica di sorta; effetti speciali dosati in quantità omeopatica, cum grano salis; interazione tra i vari personaggi quasi teatrale, e ingresso di nuovi personaggi all'interno di una sceneggiatura pacata, fluidissima, un velluto narrativo che si srotola piano piano, anzi pianissimo. Questo è almeno ciò che cogliamo nella prima lunga ora di pellicola, nella quale, potremmo dire, banalizzando, che nel film "non succede niente". Ma Ti West non vuole "far succedere", vuole raccontare, e perchè ci sia racconto, occorre si crei il vuoto dell'ascolto. Non si può raccontare, sembra dirci il regista di Wilmington, in un "tutto pieno", in un rumereggiare di  effetti pseudo-perturbanti che servono solo come fuoco d'artificio che poi si spegne e scompare dalle nostre retine. Il raccontare implica un ritrarsi del "pieno", implica appunto un vuoto di tipo zen, nel quale tutto si deve fare silenzioso, perchè poi si senta, si intuisca la presenza, la vera voce del fantasma. Perchè di fantasmi stiamo appunto raccontando, in particolare di quello della defunta Madeline O'Malley, suicida per amore, e il cui cadavere è stato successivamente nascosto in cantina, almeno cent'anni prima dei fatti narrati nel film. Ti West è un regista molto giovane, ha 32 anni, ma in questo film evidenzia un talento, una sapienza visiva, una profondità di riflessione sul genere perturbante, che peraltro aveva già abbondantemente estrinsecato in "The House of the Devil", del 2009, da lasciare increduli. Ma è proprio l'uso del "vuoto", quasi come concetto filosofico sotteso a tutta l'architettura di "Innkeepers", che mi ha fatto maggiormente pensare. Agli occhi di uno psicoanalista come il sottoscritto, questo film appare per esempio come molto "psicoanalitico", proprio per l'uso che fa dell'"assenza", dello "scarto", dell'evocazione, a partire da un genere che, antiteticamente, oggigiorno, sembrerebbe volgere lo sguardo verso il sensazionalistico, il concreto, il corporeo, cioè verso il collasso del simbolico, per stupire, ammaliare, sedurre. In "Innkeepers" è invece presente il pensiero, il segno, il rimando-ad-altro, cioè è un film che sembra di per sè un'interpretazione psicoanalitica, più che un contenuto da interpretare. Non è un sogno, sul quale si può dir qualcosa, è invece l'interpretazione del sogno stesso, in questo suo incedere narrativo-filmico che rimanda ad altro, senza mai mostrarlo appieno, e permanendo sempre in una sospensione di senso che apre all'ignoto del senso che verrà. Per questo sto parlando di film "psicoanalitico", perchè in fondo la tecnica psicoanalitica è proprio questo suo "levare" e non "aggiungere", perchè l'ignoto possa avere la possibilità di mostrarsi. Ti West infatti "toglie", crea spazi, allunga i campi, i tempi, svuota l'immagine da emozioni superflue, iperboliche. Pensiamo ad esempio alla scelta della pallida biondina Sara Paxton: geniale scelta che va nel senso sin qui definito. Una protagonista femminile lontanissima dagli stereotipi hollywoodiani del corpo femminile narcisistico, seduttivo, bulimico, tutto curve e rimandi erotici. La Paxton sembra una volontaria della croce rossa che passava di lì per caso, quando West faceva il casting.  E Pat Healy ha quell'aria da vicino di casa qualsiasi, oppure da vecchio cugino di famiglia tranquillone e nullafacente, ma felice del suo stato di inazione permanente. Entrambi interagiscono in modo sublime, accentuando il contrasto tra il loro liquido presente, e il denso passato condensato nel volto scuro e vuoto di Madeline O'Malley, le cui rare comparse, specificamente nella seconda parte del film, possiedono  l'impronta del "fantasma", ma nel senso psicologico del termine, cioè nel senso del "fantasma perturbante inconscio", il "passato" che si fa "presente" (se creiamo prima uno spazio di ascolto e di visione perchè esso si appalesi). A Ti West, cioè, interessa l'anima delle cose, non il deserto inanimato dell'intrattenimento superficiale e fine a se stesso. Dà grande prova di questo suo interesse esplorativo dell'inconscio filmico umano, e spero vivamente che questa sua ricerca estetica proceda e determini nuove mappe orientative in futuro. Un futuro che, per noi e per lui, gli auguro lungo, lunghissimo. Noi lo seguiremo sempre con entusiasmo e soprattutto con quella curiosità viva e aperta che possiamo vedere negli occhi dei bambini, quando giocano, avvolti in una dimensione in cui si irradia una vera conoscenza emotiva del mondo che li circonda. Ti West sa ritrovare questa dimensione di verità emotivo-estetico-simbolica nell'arte cinematografica cui si dedica. E di questo, grandemente, gli siamo grati.  
Regia: Ti West Soggetto e Sceneggiatura: Ti West Fotografia: Eliot Rockett  Montaggio: Ti West Musiche: Jeff Grace Cast: Sara Paxton, Pat Healy, Kelly McGillis, George Riddle, Lena Dunham Nazione: USA Produzione: Dark Sky Films, Glass Eye Pix (distribuzione: Magnet) Durata: 100 min. 

16 commenti:

  1. ho adorato the house of the devil e non vedo l'ora di mettere la mani su questo.
    ma sono arrivati i sottotitoli in italiano o in inglese?? io non li ho ancora trovati... :(

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  2. wow, non mi aspettavo un Ti West così introsplettivo, che esplora così a fondo l'inconscio umano. Poi mi fai aumentare a dismisura la voglia di vederlo quando mi dici che la figura femminile è lontanissima dagli stereotipi hollywoodiani.
    Anche io per ora non ho trovato nessuna traccia dei sub, lo hai visto in inglese?

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  3. @ Marco, @ waYne: io l'ho visto in lingua originale, senza alcun sottotitolo, ma l'ho trovato abbastanza comprensibile, rispetto alle mie conoscenze dell'inglese, s'intende.

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  4. Passo per un saluto e per dirti che non leggo ancora la tua recensione, perché devo vedere il film. Tornerò da queste parti non appena avrò messo le mani su dei sottotitoli un minimo decenti ;)
    Dalla rapidissima scorsa che ho dato a quello che hai scritto, mi sembra però che tu abbia gradito! E la cosa mi fa felice

    Lucia de Ilgiornodeglizombi (non mi fa più commentare con l' open ID)

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    1. A giudicare dalla sinossi e dai primi commenti che si leggevano online nei mesi scorsi, temevo che Ti West si fosse allontanato dalle atmosfere evocate con The House of the Devil, leggo invece che è tornato alla grande e non vedo l'ora di gustarmi il film non appena compaiono i sub, ché in inglese ho troppa paura di perdermi qualche sfumatura... :)

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  5. Un film di nicchia degno di tale recensione? Ottimo.
    The house of the devil fu una piacevole sorpresa. Quindi ha fatto il bis. Ma bravo tiuest!

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  6. non amando troppo lo splatter mi sa che codesto film sia adatto a me!ottima recensione,ciao

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  7. @ Lucia: grazie della visita e del saluto. Devi vederlo questo film, mia cara :)

    @ Simone:Ti West, non solo non si è allontanato dalle atmosfere di "The House of the Devil", ma le ha anzi qui amplificate e rese ancor più armoniose e gustabili. Da vedere.

    @ Eddy: bè, di nicchia...è un vero film, diciamo. Un film con la F maiuscola. Questo è ciò che penso.

    @ Viga: grazie. Ne consiglio la visione, a un intenditore come te, che come me non ama particolarmente lo splatter, giacchè la vita è già fin troppo splatterosa di suo :)

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  8. Post Scriptum: ma come li posta i commenti sto Blogspot? Cosa gli ha preso? La sindrome di Splinder?

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  9. Buongiorno,
    sono Luca Bartoli, copywriter in DDB, agenzia pubblicitaria.

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  10. Dottor Bartoli, la ringrazio innanzitutto dell'attenzione. Le scriverò.

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  11. Angelo:

    Leggendo una tua vecchia ed invincibile osservazione sul blog di Dream, passavo per questo loco allo scopo di renderti atto.
    Guardo oltre, complimentadomi per il suindicato invito.
    Era anche ora che qualcuno si accorgesse della bontà delle tue fatiche.

    Cristian

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  12. @ Cristian: come sempre gentile. Uh il blog di Dream. Ma esiste ancora? Mi ripassi l'indirizzo? Thanks :)

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  13. visto e... sono ancora nell'entusiasmo più totale!
    grande film, grande ti west e grande recensione (che adesso mi sono potuto gustare senza paura horror di spoiler)

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  14. Visto tempo fa e rivisto da poco. Bella recensione. Il tema del perturbante mi affascina sempre -il che è inevitabile- e, come hai giustamente annotato tu, in questo film la categoria del perturbante è notevolmente impressa. Così come quella dell'assenza-traccia, il differire della differenza direi quasi alla Derrida (a proposito di "vuoto" come concetto filosofico). Una traccia che identifica o qualifica proprio nella sua assenza. La traccia (mascherata) di una origine. E anche quindi una sorta di famigliarità rimossa e dislocata. A suo modo e in questo senso ho trovato brillantemente allegorico il finale (no spoiler), non so quanto consapevole, perlomeno... consciamente. :) (emoticon di sorta)

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