Ho visionato “After.Life” della giovane regista polacca Agnieszka Wojtovicz-Vosloo tamburellando nervosamente i polpastrelli della mano destra sul bracciolo della poltrona, per tutto il tempo della visione. Non è un buon segno, questo, quando guardo un film cosiddetto “horror”, poiché tale reazione neuro-vegetativa automatica non fa che segnalarmi che mi sto annoiando. Nel film si narra di una giovane donna, creduta da tutti morta in un violento incidente stradale, che in realtà si trova sospesa tra la vita e la morte, in un limbo fantasmatico cui può avere accesso un austero funzionario delle pompe funebri (Liam Neeson) che possiede, non si sa perché, lo “shining” di “parlare” con le anime perdute e più riottose al trapasso. Vediamo quindi Anna (Christina Ricci) ancora lucida, che dovrà lottare strenuamente per non essere sepolta viva. Si tratta di una “morta” che si comporta come una donna viva ma come se fosse sequestrata da un sadico serial-killer che si accanisce su di lei con tanto di bisturi e arnesi similari per “prepararla” al suo ingresso nella bara così come al mondo dell’aldilà. La storia è raccontata in modo dilungato e noioso, con la complicità di un montaggio alternato estremamente discontinuo, che tenta di far convergere la lotta per la vita di Anna e il senso di colpa del fidanzato Paul (Justin Long, un attore che meno credibile in questa sua parte non si poteva davvero scovare). L’atmosfera generale del film è poi rappresentata dalla legnosità assoluta del volto di un Liam Neeson spentissimo e monocorde, che si rivolge all’anima-nomade di Anna come potrebbe fare un qualsiasi assicuratore di provincia, venuto a riscuotere la polizza. Non sappiamo bene cosa abbia spinto questa semi-sconosciuta regista di Varsavia alla sua prima prova in lungometraggio, a confezionarci questo crisantemo finto, di plastica e strass. Forse appunto il suo interesse per il bricolage floreale gothic-style risalente a quando faceva le scuole medie. Null’altro sembra infatti ispirarla, soprattutto se pensiamo al fatto che la sceneggiatura è tutta sua, e quindi se ne assume, ahilei, la responsabilità in toto. Un film più vuoto e superficiale nel trattare il fondamentale tema horror del confine tra vita e morte, non si era mai visto, un film la cui supponenza è irritante, visto che non si pone lontanamente neppure l’obiettivo di rielaborare qualche mito, oppure solo qualche stereotipo del genere “ghost-story”, oppure anche del genere "serial killer". “After.Life” vuole volare come Icaro al di sopra di tutto, supponendo altezzosamente di dire qualcosa di nuovo, che in verità non dice mai: vola come Icaro, e poi si perde nel cielo come un palloncino da fiera. Non parliamo del ruolo di Jack (Chandler Canterbury), il bambino, studente di Anna, che a un certo punto dello script scopre confusamente di possedere lo stesso “shining” di Neeson. Il dialogo tra i due, nel quale Neeson parla a Jack del potere di Gesù di parlare a Lazzaro, fa pensare che la cultura cattolico-polacca della Wojtovicz-Vosloo, qui si faccia sentire, ma il riferimento cristologico-wojtyliano non fa che ammorbare ulteriormente un’acqua già grigia e stagnante di per se stessa. Il corpo di Christina Ricci non ha alcun effetto sia pur distraente se non seduttivo, per cui ci si possa almeno consolare con quello. Il finale è sulla stessa linea di scontata banalità cui il film ci aveva fin lì abituato. “After.Life”: da evitare con cura. Regia: Agnieszka Wojtovicz-Vosloo Sceneggiatura: Agnieszka Wojtovicz-Vosloo Fotografia: John Mathieson Montaggio: Niven Howie Musica: Paul Haslinger Cast: Liam Neeson, Christina Ricci, Justin Long, Josh Charles, Chandler Canterbury, Celia Weston, Shuler Hensley Nazione: USA Produzione: Llju Productions, Harbor Light Entertainment, Plum Pictures Anno: 2009 Durata: 104.
Sì, magari, prima di fare tanto il sapientone impara almeno ad usare la punteggiatura quando scrivi, va...
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