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lunedì 17 dicembre 2012

Cherry Tree Lane, di Paul Andrew Williams (2010)



Una coppia inglese viene terrorizzata da una gang di adolescenti delinquenti, che irrompe nella casa in cui abita, durante la cena. I ragazzi cercano il figlio della coppia, Sebastian, cui stanno dando la caccia...

"Cherry Tree Lane" è un film molto duro e indigesto, interessante sotto vari profili, ma criticabile  da altri vertici che cercherò qui di descrivere insieme ai suoi pregi. Intanto il regista Paul Andrew Williams è quel signore che ha scritto "The Children" (2008), nonché girato "London to Brighton" (2006) e "The Cottage" (2008), cioè un interessante writer e filmaker del filone perturbante cinematografico britannico. Il cinema horror inglese, si sa, raramente delude, innanzitutto perché è coerente nel mostrare delle verità molto scomode ma reali, insite nel tessuto sociale di quella cultura (basti qui citare "Eden Lake", di James Watkins, 2008).  In "Cherry Tree Lane" Williams affronta il tema spinoso delle nuove gang giovanili anglosassoni, nelle quali primitività e tecnologia, spirito da "branco animale" e abitudine casalinga da canale satellitare, coesistono in un mélange grottesco quanto violentemente a-morale e sociopatico. La linea poetica di Williams è questa e la pellicola vi rimane inchiodata dalla prima sequenza all'ultima, attraverso un "tempo reale" del racconto che ci obbliga a seguire le traumatiche vicende di Christine e Michael come in presa diretta. E' la caratterizzazione del gruppo delinquenziale dei ragazzi assalitori tuttavia a rappresentare l'elemento maggiormente riuscito del film, e su tale aspetto occorre soffermarsi con attenzione, poichè è un prezioso contributo, a mio avviso, non solo in ambito artistico-cinematografico, ma anche sul piano della psicologia/psicopatologia dei gruppi giovanili. Potremmo infatti essere dalle parti di un' "Arancia Meccanica" (1971) dei tempi odierni, oppure nei paraggi di un "Funny Games" (1997) tutto british version, ma quello che soprattutto interessa a Williams è farci cogliere la dinamica gruppale, la filigrana dell'"assunto di base" emotivo del gruppo degli adolescenti all'opera. Un gruppo "fondamentalista", chiuso nel proprio piccolo, violento mondo, nel quale ciò che conta narcisisticamente è l'oscillazione continua tra tradimento del gruppo stesso e vendetta nei confronti di questo tradimento vissuto come sopruso intollerabile. La realtà non esiste, esiste solo questo tessuto emotivo primitivo, fatto di intolleranza della frustrazione da parte dell'assetto emotivo del gruppo, della sua mentalità dominante. Tale mentalità ("assunto di base", come la definirebbe lo psicoanalista e gruppoanalista inglese Bion) è incarnata dal leader dei ragazzi, Rian (Jumayn Hunter), personaggio la cui malevolenza intrinseca supera quella di qualsiasi horror villain volessimo prendere in considerazione, e la supera proprio perché Rian riceve un investimento emotivo da parte del gruppo. Rian rappresenta il leader populista per eccellenza, il trascinatore di folle, il potere per il potere, cioè l'assenza di pensiero a favore dell'impulso puro, narcisistico, autoaffermativo. Rian è dunque il simbolo dell'onnipotenza, della fantasia di autogenerazione, dell'assenza del limite, e tali caratteristiche sono un motore la cui benzina è il gruppo stesso e le dinamiche assecondanti dei followers. Se cioè i ragazzi e le ragazze del gruppo non pendessero dalle sue labbra e dai suoi coltelli ben affilati, allora la potenza del leader si sgonfierebbe come un palloncino bucato. Invece i componenti della gang cedono alla promessa delirante di Rian, che li seduce all'idea che anche loro possono fare tutto ciò che vogliono, a patto di accettare l'assunto di base del gruppo, di identificarsi con esso, perdendo però la loro individualità. Sebastian, il figlio della coppia sequestrata, rappresenta infatti la soggettività dell'individuo che tradisce il gruppo e la sua mentalità patologica. Sebastian è una "spia", come dirà Asad (Ashley Chin), uno dei ragazzi, a Christine, la madre, un traditore del patto scellerato che lega il gruppo. Quindi l'identità nella sua autonomia ed auto-espressività rispetto al clan, va distrutta. La gang capeggiata da Rian va a caccia di Sebastian perché lui mette in scena la differenza dal gruppo, il "nemico esterno", e va così eliminato. Williams appronta un casting e dei dialoghi perfettamente espressivi delle dinamiche che sto qui cercando di descrivere: uno slang giovanile, una mimica, un modo di camminare, un atteggiamento ipercontrollante e insieme infantile, allestiti con grande cura realistica. Il regista è cioè capace, quasi fosse un antropologo studioso di gang suburbane inglesi, di farci sentire di quale atmosfera emotiva si nutre il gruppo. Non si tratta poi di un insieme di giovani sbandati e tossici, bensì di "amici" del figlio, appartenenti cioè alla middle-class inglese come Christine e Michael, viziati e ipernutriti dalle mode televisive e tecnologiche del momento (agghiacciante la sequenza in cui Asad chiede a Michael, imbavagliato sul pavimento, qual'è il tasto della guida del telecomando dei canali satellitari, semplicemente perché in tv c'è un canale che a lui manca: ricevuta la risposta da Michael, Asad telefona tranquillamente alla madre chiedendole di sintonizzargli quel canale, come se nulla fosse). Il film di Williams porta dunque con sé una profonda riflessione sui guasti sociali provocati dall'assenza assoluta di prevenzione e comprensione del disagio giovanile, in terra anglosassone. Gli aspetti criticabili, di cui accennavo all'inizio, riguardano una regia forse un pò fredda e troppo real-time oriented, che si traduce in sequenze (soprattutto iniziali) un pò lente e in scambi dialogici un pò troppo diluiti, troppo congelati da una fotografia (di Carlos Catalàn) eccessivamente acida e accesa. L'asciutta sceneggiatura riesce comunque a dare il suo meglio nel finale, drammaticissimo, che lascia l'amaro in bocca ma innesta pensieri e prospettive di riflessione sul terreno psichico di chi guarda. "Cherry Tree Lane": una nuova buona performance del cinema perturbante inglese. Da vedere. 
Regia: Paul Andrew Williams Soggetto e Sceneggiatura: Paul Andrew Williams   Fotografia: Carlos Catalàn   Montaggio: Tom Hemmings   Cast: Rachael Blake, Tom Butcher, Jennie Jaques, Jumayn Hunter, Tom Kane, Sonny Muslim   Nazione: UK   Produzione: Limelight, Steel Mill Puctures    Durata:  77 min.

  

4 commenti:

  1. Grande film. Davvero terrificante e socialmente chiarificante. Un pochettino noioso nella parte centrale ma ben costruito il finale.
    Se ti è piaciuto questo non ti devi fa scappare "F". Altro piccolo capovaloro ancora più oscuro e sadico.

    (http://www.imdb.com/title/tt1486670/)

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  2. @ Eddy: grazie della segnalazione. Non conoscevo "F", e me lo vado a vedere :)

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  3. Sembra gagliardo! All'inizio pensavo ci trovassimo dalle parti di Ils (o Them, che dir si voglia), ma da quanto ho capito è più calzante il confronto con Funny Games... è uscito in Italia? Cerco di recuperarlo! ;)

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  4. @ Death: sì, è più vicino a "Funny Games" che a "Ils", ma comunque possiede una sua originalità imparagonabile. In Italia non credo (nelle sale, figurarsi), in DVD lo trovi su Amazon di sicuro.

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