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lunedì 9 novembre 2015

The Visit, di M. Night Shyamalan (2015)


Una giovane mamma manda i due figli, Becca, 15 anni e Tyler, circa 11, a trovare i nonni in campagna, mentre lei si gode una vacanza di una settimana in crociera col fidanzato. Becca e Tyler non avevano mai conosciuto i nonni prima di allora, poiché anche la mamma non li vede da circa 15 anni, ma non vuole rivelare a Becca i motivi di questa lontananza. Saranno i nonni stessi, se vorranno, a raccontare ai ragazzi la storia del travagliato rapporto tra loro e la mamma. Arrivati dai nonni, man mano che i giorni passano, Becca e Tyler si rendono conto tuttavia che i due anziani hanno comportamenti molto strani, soprattutto la nonna. La mamma e i due ragazzi si accorgeranno ben presto che nella loro famiglia d'origine c'è qualche problema...

La fresca onda di positive ispirazioni che ha investito il cinema perturbante in questo 2015 così fecondo di meraviglie inaspettate, sembra aver investito anche M.Night Shyamalan, che gira un film anche piuttosto lontano dai suoi stilemi tipici, ma assai intenso, pieno di cose nuove, e soprattutto molto perturbante. E ne siamo contenti, per lui e per noi.

Diciamo subito che, soprattutto dopo l'orrenda, insipida prova di E venne il giorno (2008), avevo messo Shyamalan (e altri insieme a lui), nello sgabuzzino delle scope, non aspettandomi da più di tanto da questo regista dai così felici esordi, quindi mi sono accostato a quest'ultima sua prova con un tantino di pregiudizievole sguardo. Il fatto che poi Shyamalan avesse deciso di utilizzare qui la stra-abusata tecnica del mockumentary, mi faceva financo tremare le vene ai polsi. Il film era però citato qua e là da diversi amici blogger di cui mi fido molto, e allora ho provato a guardarlo, scoprendo che sembrerebbe proprio che Shyamalan sia stato investito dalla brezza benefica che ha rinverdito i prati del Perturbante cinematografico di quest'anno. 

Intanto tutto parte da una "intervista" mocku, fatta da questa ragazzina, Becca, alla mamma, su "segreti" di famiglia molto semplici, molto usualmente vissuti da centinaia di giovani donne separate, che hanno conosciuto un giovanotto all'età di 19, come la mamma di Becca, e poi se ne sono andati con una commessa di Starbucks, abbandonando la fidanzata precedente al suo destino, e con due figli. Facilissimo immaginarsi il conflitto familiare esploso tra la 19enne e i genitori, così come il suo desiderio ribellistico di lasciarli nel loro brodo per 15 anni. Ma arriva l'adolescenza della figlia, Becca, e si sa, l'adolescenza è avida di tuffi nelle origini, di riorganizzazioni affettive, di ristrutturazioni storico-identitarie. L'adolescenza è un indomito, difficile, tormentoso percorso attraversato dall'assillante domanda "chi sono io?", e Becca, armata della sua videocamera, vuole a tutti i costi conoscerli questi nonni, e quindi intraprende questo viaggio su un treno della Amtrack che la porta tra le nevi della Pennsylvania col suo amato fratellino Tyler, amante dei rapper, e molto, molto simpatico. Il percorso storico-identitario dell'adolecenza però non è una passeggiata tra le margherite di un campo soleggiato. Al contrario è un incontro con angosce perturbanti, con inquietudini che diventano a volte mostruose, come le "creature cattive", invisibili, che la nonna di Becca a un certo punto le racconta di avere dentro di sè. E' per questo che ride sgangheratamente, sulla sedia dondolo, per tenerle a bada. E' per questo che si aggira per la casa, nuda, di notte, vomitando. 

L'idilliaco incontro tra nipoti e nonni si trasforma infatti, ben presto, in un incubo fatto di sequenze mostrate da Shyamalan con la sua consueta delicatezza indiana. A tratti colpisce lo spettatore con pugni nello stomaco, non molto forti o dolorosi, ma sempre e comunque disturbanti, perché, diciamolo, lo stomaco è comunque un organo delicato. Quindi ad esempio la scoperta di cosa c'è sul tavolo del capanno, da parte di Tyler, non è particolarmente eccezionale, ma evoca comunque un fastidio non da poco, che si concretizzerà ulteriormente in una delle ultime sequenze, precisamente quella in cui il nonno e Tyler sono in cucina: questa sequenza è secondo me un vero colpo da maestro da parte di Shyamalan, perché coglie completamente impreparati nel suo far collassare i rapporti generazionali in modo così rude, senza filtri, allontanando tali rapporti dai consueti stereotipi cui siamo abituati da un certo Cinema. 

Allo stesso modo il "gioco al nascondino" nel basement della vecchia casa, genera decisamente spavento, in particolare per come si conclude, con quell'inquadratura della nonna che ritorna a casa salendo le scale con la gonna strappata. Com'è possibile pensare che una nonna mostri il sedere a un nipote? Shyamalan agisce invece appositamente su questo tipo di spaesamento basato sul confronto generazionale, capovolgendo le asimmetrie, e giocando su leggeri tocchi di cinepresa, ben collocati, armonici, toccanti (si veda ad esempio il cadavere della ragazza appesa all'albero, nel prefinale, mostrata due secondi due e non di più, ma sufficiente a stordire ancora una volta lo spettatore in modo rapidamente traumatico). 

Sia i nonni (Deanna Dunagan e Peter McRobbie), sia i ragazzi (i giovanissimi e bravissimi Olivia DeJonge e Ed Oxenbould) sono poi una scelta di casting molto accurata e indicata. In particolare McRobbie si avvicina alla figura di un villain che farei entrare di corso nella galleria storica dei villain più inquietanti del cinema horror contemporaneo. A tratti è capace di richiamare addirittura la figura di Freddie Kruger, ma in modo molto, molto sottile, evocativo, modalità che è un altro pregio di Shyamalan. 

La fotografia di Maryse Alberti e il montaggio di Luke Ciarrocchi aggiungono stile e compostezza allo stile del regista, sempre molto attento alla composizione dell'inquadratura, agli accostamenti cromatici, ai passaggi e alle dissolvenze da una sequenza all'altra. Ho trovato anche utile la dicitura che segnala il passare dei giorni, con quel rosso accesso e molto carico, in uno stampatello squadrato, come a voler dire "non c'è scampo". 

Ma, al di là degli aspetti puramente tecnici, quella di Shyamalan è una riflessione, a mio avviso molto acuta ed attuale, sulla non-linearità (affettiva, temporale, relazionale) del costruirsi del nucleo familiare, un tempo ritenuto dalla sociologia come principale "mattone costitutivo" della società. La "famiglia" che vediamo in "The Visit" è un oggetto misterioso, sfocato, frutto di rifrazioni e falsificazioni che si accavallano e la deformano in modo perturbante. Shyamalan manovra registicamente tali rifrazioni in modo efficace, utilizzando il mocku senza neppure farcene sentire l'invadenza, come spesso succede in opere di tale genere, e per giunta facendo vibrare le corde dell'inquietudine su registri davvero sinistri. Un plauso quindi a questo regista, che conosciamo da tempo, che avevamo messo (per colpa solo sua) nello sgabuzzino, e che qui ha ritrovato la giusta ispirazione. "The Visit": molto consigliato. . 

Regia: M. Night Shyamalan    Soggetto e sceneggiatura: M. Night Shyamalan   Fotografia: Maryse Alberti  Montaggio: Luke Ciarrocchi  Musiche: Susan Jacobs  Cast: Olivia DeJonge, Ed Oxenbould, Deanna Dunagan, Peter McRobbie,Jathryn Hahn, Celia Keenan-Bolger, Samuel Stricklen, Patch Darragh, Jorge Cordova, Steve Annan, Benjamin Kanes    Nazione: USA  Produzione: Blinding Edges Pictures, Blumhouse Productions Durata: 94 min.  


4 commenti:

  1. Per me è una grande occasione sprecata. Ho trovato l'uso del mockumentary veramente fuori tempo massimo e del tutto inutile per la potenza che poteva esprimere (molto meglio) se il film fosse stato girato in maniera tradizionale: ne avrebbero guadagnato i silenzi e l'atmosfera.
    Poi, boh, i due bambini straordinari e alcuni momenti davvero creepy, ma nel complesso mi è sembrato un lanciare il sasso e tirare indietro la mano, poteva essere molte cose inquietanti in virtù di un bel finale e invece sono solo piccole (e alla fine inutili) parentesi di terrore (innocuo ahimè). :(

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  2. @Simone: invece io ho inteso l'uso del mocku da parte di Shyamalan solo come un pretesto, un'occasione qualsiasi (come quando montale scriveva le poesie che gli venivano in mente sui biglietti del tram). Credo che si veda lontano un miglio che al regista qui non interessi un fico il mocku in quanto tale. A me sono piaciute le interpretazioni, soprattutto quella del nonno-McRobbie, personaggio inquietante anche se sta zittissimo, e dei due nipoti (e non mi pare poco per uno che viene dal tremendissimo "E venne il giorno"). Poi ho trovato molto intrigante questa sua chiave di lettura perturbante della relazione nonni-nipoti. Grazie assai per la tua opinione in controtendenza alla mia :)

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