E’ innegabile che “The Last Exorcism” trasmetta una sensazione generale di cupezza ed inesorabilità della deriva distruttiva del male, tanto più se a esserne veicolo e insieme vittima è una ragazzina di 16 anni, Nell Sweetzer (Ashley Bell), più una paziente autistico-isterica a prima vista, “regina” negativa di una storia in cui psichiatria e superstizione religiosa sembrano voler a tutti i costi andare a braccetto, nonostante la loro lontananza siderale. Questo ambiguo “intreccio” tra sacro e profano è tuttavia un pregio del film, che per almeno mezz’ora tende a spiazzare lo spettatore, ponendolo sulla linea del dubbio tra il pensare a Nell come una malata psichiatrica, piuttosto che come una “vera” posseduta, nello stile di Reagan di William Friedkin. Lo spettatore si aspetta infatti di vedere una novella Reagan, e il suo baricentro visivo è spiazzato proprio da questo espediente che Daniel Stamm saggiamente utilizza, anche per differenziare (e bene) il personaggio da suoi più nobili predecessori. Interessante è anche la centratura del personaggio dell’esorcista, il giovane e aitante reverendo Cotton Marcus (Patrick Fabian), la cui grande esperienza sembra subito dissolversi sul polveroso e provinciale terreno della sperduta fattoria degli Sweetzer, in Louisiana. Un luogo davvero “autistico”, rappresentazione vivente dell’isolamento dalla civiltà, luogo-covo di superstizioni e dicerie che solo il ventre arcaico della provincia rurale sa rappresentare. Tutto questo è allestito con precisione ed evoca un senso di grande solitudine agonica che Nell è capace di rendere molto intensamente. E’ invece la tecnica “documentaristica” che lascia alquanto perplessi, come se Stamm fosse stato, lui sì per davvero, posseduto dal sacro fuoco di un iperrealismo alla “Paranormal Activity”, dimentico della totale inutilità estetica di una operazione del genere. Direi che lo stilema “docu-fiction” toglie smalto a questo film, che è peraltro registicamente condotto con una certa cura e poeticità perturbante, nel suo complesso, estetica inoltre accompagnata da delicate, puntuali e non disturbanti inserzioni sonore collocate nei giusti snodi narrativi. Ma questa moda, questo “meme” dannoso della “cinepresa amatoriale”, sembra purtroppo aver contagiato molte menti d’oltreoceano. Per tornare al film, le concitate scene finali generano una certa inquietudine, chiudendo tuttavia la partita in modo sfilacciato, rispetto alla lenta e ponderata ritmica cui ci aveva sin lì abituati il regista. Il risultato è perciò quello di un finale pirotecnico ma irrisolto, che strizza l’occhio (inconsapevolmente?) alle ultime sequenze di “The Blair Witch Project” senza produrne la stessa potenza evocativa. Regia: Daniel Stamm Sceneggiatura: Huck Botko, Andrew Gurland Fotografia: Zoltan Honti Musica: Nathan Barr Interpreti: Patrick Fabian, Ashley Bell, Jamie Alyson Caudle, Iris Bahr, Louis Herthum, Tony Bentley, Shanna Forrestall Nazione: USA Produzione: Strike Entertainment, Studio Canal, Arcade Pictures, Louisiana Media Productions Anno: 2010.
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