Che Christopher Nolan fosse un grande regista, forse, addirittura, il più apprezzabile costruttore di epopee visionarie cinematografiche contemporanee ( con buona pace di Tim Burton et similia), lo avevamo gia' intuito in "The Dark Knight" (2008). Possiamo tranquillamente affermare che "Inception" sia la sua opera più riuscita, la sua "Summa Theologica", nella quale tuttavia l'Inconscio prende il posto di Dio, e le Sacre Scritture sono il tessuto narrativo del Sogno. In questo senso "Inception" e', tout-court, un film sulla conoscenza, anzi, sulla Conoscenza con la C maiuscola, cioè su ciò che all'uomo si presenta come Verita' o come Finzione. Un film molto "filosofico" quindi, potremmo dire, ma che si mantiene sempre - e proprio qui risiede la vera maestria di Nolan - all'interno di un confine narrativo di genere. Il "genere" in questione e' quello del film d'azione fantascientifico, e la trama e' in se' piuttosto scontata ( ma d'altra parte il buon Lacan non diceva sempre che "ogni storia e' iniziata prima di noi"? ): siamo alle prese con Dom Cobb (un Leonardo di Caprio intensissimo, forse ancora più intenso, inquieto e insieme tetragono di quanto non lo fosse in "Shutter Island" ) , esperto in spionaggio industriale e in grado di rubare pensieri dall'inconscio di una persona mentre questa sta sognando. Le capacità di Cobb lo hanno fatto diventare uno dei principali protagonisti del panorama controspionistico mondiale, ma lo hanno anche trasformato nel nemico numero uno da eliminare. Cobb è quindi un eterno fuggitivo (soprattutto da se stesso), costretto ad abbandonare ciò che più ama, in primis i suoi due figli piccoli. La sua attuale missione e' però la più rischiosa: questa volta non si tratta più di rubare segreti al sognatore, bensì di installare nel suo inconscio un'idea estranea. Il magnate Giapponese Saito permetterà infatti a Cobb di ritornare negli Stati Uniti e di riabbracciare i suoi due figli , a patto che la spia riesca a intrufolarsi nella mente del rivale di Saito, Robert Fisher, e portarlo così, suo malgrado, a modificare l'assetto ereditario del padre. Il problema di questo film e' la fruizione, nel senso che e' un’opera molto difficile da seguire. E' richiesto allo spettatore un alto livello di vigilanza, nonché di intelligenza, il che lo eleva di per se' al di sopra della solita pappa preriscaldata hollywoodiana, tendente a creare un pubblico ad hoc al semplice scopo di fare soldi a discapito del cervello di chi guarda. Qui siamo in tutt'altra dimensione estetico-cinematografica, in tutti i sensi, e proprio per questo il " problema" della fruizione del film, diventa il suo miglior vantaggio, il suo tratto più geniale: allo spettatore e' richiesto esplicitamente di partecipare al gioco narrativo-evocativo che gli si para davanti, cioè "Inception" da' per assodata l’interazione con un pubblico dalla mente viva, ricettiva, elastica. A chi guarda e' richiesto di pensare, di capire, e anche di divertirsi, ci mancherebbe. Questo e' ciò che accade infatti guardando questo film, che risulta quasi incomprensibile nell'intreccio in diversi tratti di minutaggio, per poi lentamente dipanare i suoi fili controversi, prima di tutto nella nostra mente, recalcitrante dapprima, poi sempre più collaborante. Aiutano nel lavoro che dobbiamo fare (pur sapendo egregiamente intrattenere), una funambolica regia che utilizza setting ed effetti speciali considerevoli, una fotografia che da' pieno risalto alle cangianti e spettacolari location (passiamo dai grattacieli statunitensi, al labirinto di viuzze di Mombasa, a vette innevate che presto crollano in slavine da disaster movie), e una colonna sonora, di Hans Zimmer, davvero potente. Importantissimo, nella costruzione di tutta la storia, il ruolo dello Spazio, che si fa flessibile, come in una geometria non euclidea e del tutto onirica. Uno Spazio costellato da “segnali” da decifrare e da scansioni geometriche particolari, allontanandosi dalle quali, il rischio è quello di cadere in un “limbo” in cui non si è né morti né vivi, un inferno da evitare quindi a tutti i costi. Corpo, Spazio, Sogno, sono i tre punti cardinali su cui ruota tutto il marchingegno nolaniano, che non cede mai ad una visionarietà gratuita e spettacolosa o istrionica. L’Immagine è sempre calibrata al millimetro con il Racconto, una narrazione che non si scioglie facilmente in surrealismo inutile (scelta stilistica che sarebbe stata inoltre assai dannosa nell’ambito di un’architettura dello script così complessa e “pensata”). Non possiamo dimenticare di citare anche le notevoli performance attoriali, in particolare quelle della giovane Ellen Page, con la quale rapidamente ci identifichiamo, nel suo perdersi e ritrovarsi nel labirinto di sogni e visioni del suo e dell'altrui inconscio. Un film in sintesi pluristratificato, proteiforme e assolutamente da non perdere. Da vedere in sala più di una volta, e poi ancora in Blue Ray su grande, grandissimo schermo, sorseggiando un buon vino rosso pregiato, perché anche “Inception” ha bisogno di essere centellinato, gustato nelle sue mille sfumature e nei suoi mille retrogusti. “Inception” è cioè un film che necessita di essere letto e riletto, un po' come un libro di aforismi di Wittgenstein, denso di chiaroscuri, di imbrogli linguistici, di giochi di parole apparentemente assurdi, ma che nasconde grandi verità sul nostro modo di leggere la Realtà in cui siamo immersi. Una Realtà che, a nostra insaputa, ha molte più parentele con il Sogno, di quanto ci possiamo immaginare. Regia: Christopher Nolan Sceneggiatura:Christopher Nolan Fotografia: Wally Pfister Montaggio: Lee Smith Musica: Hans Zimmer Cast: Leonardo Di Caprio, Marion Cotillard, Ellen Page, Cillian Murphy, Michael Caine, Ken Watanabe, Joseph Gordon-Levitt, Tom Hardy, Tom Berenger, Lukas Haas, Tohoru Masamune, Claire Geare, Daniel Girondeauad, Mobin Khan Nazione: USA Produzione: Syncopy, Warner Bros. Pictures Durata: 148 min. (Questa recensione è dedicata a mio padre, dal momento che oggi è il suo compleanno).
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