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mercoledì 10 novembre 2010

Un grande gelo, di Arnaldur Indridason (2005) Tr. it. Guanda 2010



Di Arnaldur Indridason Anno: 2010 Editore: Guanda Traduzione: Silvia Cosimini Pagg. 300, brossura ISBN: 9788860889140

L’infanzia come trauma è ancora una volta il tema portante, l’architrave della narrazione e della poetica generale dello scrittore islandese. Anche qui, come in tutti gli altri suoi romanzi, l’età adulta è vista come una “convalescenza” da quella “malattia” grave che è l’infanzia, intesa come crocevia di conflitti, paure, abusi, fragilità e devastanti incomprensioni emotive. L’infanzia stessa è, in sé, un “grande gelo” che nessuno potrà mai del tutto riscaldare, in un tempo “successivo” che diventa solo resa dei conti finale, confronto con questa Verità, che non disvela, ma incupisce ulteriormente e ulteriormente raggela. L’incipit ci mostra subito il nostro commissario Erlendur Sveinsson alle prese con il cadavere di un bambino di sei anni trovato ucciso a pochi passi dal portone di casa sua, in un buio pomeriggio islandese. Il corpo è ormai quasi congelato e una macchia di sangue colora sinistramente la neve sotto di lui. Elìas, madre thailandese e padre islandese, è stato accoltellato mentre stava tornando da scuola. Lo stile secco, asciuttissimo, esattamente il contrario di tutto ciò che potremmo definire “melodrammatico”, ritaglia lentamente i piani di un racconto semplice, fatto della quotidianità di una famiglia di immigrati, colpita da un tremendo quanto incomprensibile lutto. Fa da sfondo il passato altrettanto traumatico dello stesso Erlendur, che ha perso un fratello della stessa età di Elìas, molti anni prima, in una tormenta di neve. Il fantasma del fratello torna a visitarlo attraverso le note plumbee di un senso di colpa persecutorio mai estinto, che rende questa indagine al cui centro sta un bambino, molto difficile per il commissario. La maestria di Indridason, in questo, come in tutti i suoi romanzi, sta proprio in questo spostarsi fluidamente tra passato e presente, un po’ come “Bambini nel tempo” di Ian McEwan, un movimento che, pagina dopo pagina, diventa un’oscillazione dolorosa e sempre presente tra le righe: un dolore che non ti molla mai, che ti accompagna sempre. Un dolore che viene dal passato e si fa presente. Un dolore che è Assenza originaria che si trasforma di volta in volta vestendo i panni di ciascun nuovo personaggio. Anche in questo “Un grande gelo”, tradotto come al solito da un’ottima Silvia Cosimini, come in tutti gli altri romanzi di Indridason, la “solzione dell’enigma” non è catartica. E’ anzi una non-soluzione che ridipinge l’infanzia come luogo di sopraffazione e morte. In questi caso, al tema del “trauma” e delle sue declinazioni contemporanee, si aggiunge un sottile ma profondo rimando al senso di insensatezza di certi gesti generati da una quotidianità sbandata e priva di riferimenti, gesti che tuttavia, alla fine, producono morte. In questo libro Indridason sembrerebbe anche toccare il tema, molto attuale, dell’integrazione degli immigrati in un’Europa caratterizzata oggigiorno da un “grande gelo”, piuttosto che da un vero spirito di accoglienza rispetto a chi viene da altri continenti. Libro molto consigliato, ma da cominciare non prima di aver letto almeno altri due o tre romanzi dell’Autore, per comprendere appieno lo svolgimento di alcuni spunti essenziali presenti nelle opere precedenti.

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