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lunedì 14 maggio 2012

The Hunger Games, di Gary Ross (2012)


Ogni anno, tra le rovine di quello che fu il Nord America, lo Stato di Panem obbliga ciascuno dei suoi 12 Distretti in cui è suddiviso, a mandare un ragazzo e una ragazza a cimentarsi in una sanguinosa battaglia per la vita, gli Hunger Games. In parte reality-show trasmesso in televisione come "Il Grande Fratello", in parte atto di deterrenza da parte del governo nei confronti dei Distretti, che un tempo erano stati teatro di rivolte, gli Hunger Games sono un evento televisivo seguito da tutta la nazione, dal quale uno dei "tributi" (così vengono chiamati i 24 giovani avversari) uscirà vincitore, consentendo al proprio distretto maggiori quantità di cibo. In competizione con "tributi" molto allenati, Katniss, proveniente dal Distretto 12, è tuttavia molto abile nel tiro con l'arco, con va a caccia di animali nel bosco, per sè e la sua famiglia. Per poter tornare viva a casa, al Distretto 12, dovrà far leva sul suo coraggio, nonchè sulla sua tenacia per affrontare prove incredibili, nell'arena del truculento gioco.

Il battage mediatico sorto intorno al film di Gary Ross, ("Pleasantville", 1998; "Seabiscuit", 2003), già faceva annusare un che di pompato ad artem per far accorrere nelle sale soprattutto adolescenti vogliosi di vedere le dolci e fresche forme di una Jennifer Lawrence, senza dubbio graziosa e gradevole alla vista. Il film, a mio avviso, è infatti molto lontano dalle recensioni positive che ho letto in alcuni siti web, nonchè sui giornali che di solito leggo. Cercherò di spiegare qui i motivi di questo mio profondo scetticismo. Intanto la scelta del gruppo di preadolescenti e adolescenti che si vedono costretti dal destino crudele a combattersi fino alla morte, non appare minimamente pensata in sede di scrittura e tanto meno di casting. L'interazione tra i ragazzi, perduti nel bosco come cacciatori primitivi è di una banalità tale da non poter neanche parlare di "caratterizzazione psicologica del personaggio", o di un'idea di costruzione narrativa delle relazioni tra i personaggi stessi. Dinamiche di gruppo, conflitti, amori, pathos relazionale, sono tutti aspetti che svaporano via in un battibaleno, non appena la gara comincia. Tutto sembra immerso in un'atmosfera assolutamente superficiale, "liquida" (nel senso di Zygmut Bauman), clima accentuato fortemente, e forse suo malgrado, dalla fotografia di Tom Stern, che sembra fatta apposta per appiattire e ingrigire la storia, piuttosto che a donare ad essa un tocco di vitalità. La sceneggiatura (di Billy Ray e dello stesso Ross) è poi completamente sbilanciata da un prologo lunghissimo ed inutilmente sfarzoso, nel quale i "tributi" vengono scelti e preparati alla rissa finale, per poi dirigersi nel bosco circense e lì perdersi in modalità quasi fiabesche con tanto di vespe velenose mutanti (gli "Aghi Inseguitori"). "The Hunger Games" è insomma un blando miscuglio tra "Alice nel Paese delle Meraviglie" e "Rollerball" (1975), con qualche spruzzatina di storico-politico-apocalittico, che non convince nessuno, in quanto il tanto acclamato sottotesto socio-politico è pure lui trattato blandamente, senza che lasci impronte particolari sui nostri neuroni. Sono presenti rimandi vaghi e malposti alle vicende del nazismo e della deportazione degli Ebrei (anche il simbolo del nuovo impero di Panem ricorda i simboli novecenteschi delle dittature hitleriane e staliniste), e anche i costumi richiamano uno stile anni '30, ma il tutto è completamente eccentrico rispetto ad una riflessione storica e/o sociologica, che rimane comunque lettera morta. Si tratta cioè di simboli vuoti e giustapposti, all'interno di una cornice narrativa che non sa dove vuole andare a parare (è una critica del capitalismo finanziario contemporaneo? E' una riflessione sul destino delle nuove generazioni? E' un monito circa la totale mancanza di rispetto verso una più equa e solidale ecologia delle risorse?). Anche il tema dell'adolescenza come sguardo verso il futuro di un'umanità da proteggere, come le nuove generazioni di precari e disoccupati che (veramente) fanno la fame, soprattutto nelle metropoli di oggi, è un elemento che viene tagliato con la scure, per nulla approfondito, cioè senza spessore alcuno, e quindi in verità maltrattato e vilipeso, invece che indagato come si meriterebbe. Quest'ultimo a mio parare è il dato più negativo del film, il suo difetto capitale. Perchè credo che allestire un baraccone dalle finalità di entertainment puro, appoggiandolo sulle spalle di problematiche relative all'adolescenza, epoca complessa della vita, e così densa di dolore e fragilità, mi pare sia operazione eticamente molto scorretta, se non si lavora al "pezzo" in modo adeguato e sensibile, come tali problematiche comporterebbero. Sul piano eminentemente cinematografico il film è in ogni caso un prodotto  artistico molto debole, da qualsiasi vertice lo si guardi, per esempio anche da quello delle azioni di lotta tra i ragazzi, che non regalano mai neppure un accenno di tensione adrenalinica. Direi quindi di andare pure a vedere "The Hunger Games", ma per avere un ulteriore conferma di quanto certo cinema odierno possa essere superficiale e scorretto nel far finta di farsi carico di temi sociali importanti, che poi non è in grado (e a mio avviso non lo vuole deliberatamente)  di trattare con la dovuta sensibilità
Regia: Gary Ross  Sceneggiatura: Billy Ray, Gary Ross  Fotografia: Tom Stern   Montaggio: Stephen Mirrione, Juliette Welfing  Musiche:  T-Bone Burnett, James Newton Howard Cast: Jennifer Lawrence, Liam Hemsworth, Josh Hutcherson, Elizabeth Banks,   Stanley Tucci, Woody Harrelson, Donald Sutherald, Lanny Kravotz, Isabelle Fuhrman, Wes Bentley, Willow Shields, Paula Malcomson, Raiko Bowman Nazione: USA   Produzione:    Lionsgate, Color Force, Larger Than Life Productions, Ludas Productions Durata:  142 min.


7 commenti:

  1. Non mi ispria per niente.
    E adesso ancor meno.

    ps: ti ho messo il mio "perché" nel commento di the divide... ;)

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  2. @ Eddy: ho letto il tuo commento a "Frontier(s)" nel post precedente. Considera però che Gens era allora al suo primo lungometraggio, dopo due corti e una serie televisiva. E quindi "Frontier(s)", per essere un film d'esordio, non era per niente male (era il 2007), e gli si può dunque perdonare qualche scivolone. That's my opinion :)

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  3. Pensa che io ho apprezzato di più il lungo prologo che non i "games" in sé, prevedibilissimi e privi di pathos.
    Peccato, adesso però sono curiosa di leggere il libro.

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  4. Ottima recensione, che conferma i miei presentimenti! Però ogni volta mi stupisco di come un buon marketing possa pompare all'inverosimile dei filmetti così...

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  5. @ Babol: sì, sono d'accordo, il che avvalora la mia ipotesi che la sceneggiatura è sbilanciata e non corente. Grazie della visita :)

    @ Death Row: thanks, boy. Il marketing è padrone del mondo, oggi. Riesce a farti sentire desiderabile (e comprabile a peso d'oro) anche un bullone arrugginito. Una vergogna.

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  6. Angelo:

    Avevo vagamente letto del film e nello spizzare la recensione (Azione rituale, sarà per la suspence ), prima d' intravedere le carte nascoste, credevo di avvertire il tuo annusare un bluff.

    Cristian

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