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giovedì 16 maggio 2013

A Lonely Place to Die, di Julian Gilbey (2011)



La giovane Alison, accompagnata da quattro amici, organizza una gita sulle selvagge Highlands scozzesi, alla ricerca di emozioni forti a base di arrampicate in zone impervie. Sciaguratamente l'atmosfera della vacanza vira bruscamente al peggio nel momento in cui  i cinque amici trovano casualmente una bambina serba rinchiusa all'interno di un buco ben nascosto nel terreno di un bosco. La scoperta mette sulle loro tracce i criminali responsabili del sequestro della bambina, e dà il via ad una spietata caccia all'uomo...

La cupissima ambientazione naturalistica in una Scozia di per sé fascinosa, ma ripresa e fotografata nei suoi versanti più ostili e inospitali, è già un buon biglietto da visita di questo interessante film inglese, più noir che horror, che gioca proprio sulle atmosfere e sul rapporto vittima-carnefice. Lo script è costruito in modo da non abbassare mai il livello della suspense, generando situazioni che si avvitano in micro colpi di scena semplici ma inaspettati, a partire dal ritrovamento della bambina nel buco sotterraneo, che sa un pò vagamente di "Lost", con quel tubo periscopico per l'areazione che fuoriesce dai muschi e dai licheni. L'incontro dei cinque amiconi, molto british, molto reali, con la violenza sociopatico-criminale della banda dei sequestratori, è molto duro, immediato, nella miglior tradizione del cinema (ma anche della letteratura) perturbante anglosassone: non viene data nessuna consolazione visiva allo spettatore, neppure sul piano del paesaggio, ottimamente fotografato da Ali Asad che non indulge per un solo minuto in romanticismi da cartolina, e illumina invece di luce grigia, autunnale le alte e verdi montagne delle Higlands, rendendole arcigne e pietrose, cioè sentiero difficile e pericoloso per gli sprovveduti gitanti. La violenza delle sequenze della caccia non è mai urlata, ma risponde all'intento principale dello script, che è quello di mostrare la freddezza e la logica inesorabile del disegno criminoso dei sequestratori. E' un disegno che occorre cioè portare avanti a tutti i costi, in modo per così dire "totalitario", e Alison e i suoi amici sono semplicemente degli ostacoli al conseguimento degli obiettivi di questo disegno: vanno dunque eliminati, a parte la bambina, ovviamente, che è la merce di scambio fondamentale, che bisogna recuperare come un bottino perduto. La violenza, saggiamente, non è quindi apertamente e gratuitamente mostrata, a parte la fucilazione in corsa di uno dei cinque, sequenza molto intensa, lunga e sottolineata con cura da Gilbey che in questo caso desidera però segnalarci il cinismo assoluto dei carnefici di fronte alla fragilità altrettanto assoluta della vittima. Un'altra sequenza molto importante del film, a mio avviso da ricordare perché esteticamente profondissima, quasi geniale direi, è quella in cui Jenny (una Kate Magowan sensualissima e torvamente compresa nel suo ruolo) si trova sul torrente e tiene per mano la bambina: l'inquadratura è sul primo piano della piccola il cui viso improvvisamente si tinge di uno spruzzo di sangue, e un attimo dopo la vediamo cadere trascinata nell'acqua insieme a Jenny colpita da un colpo di fucile. Ho trovato magistrale nel suo piccolo questa sequenza, nella quale l'uccisione di Jenny non viene esibita, mentre l'accento visivo-emotivo è tutto spostato su Anna, la bambina, una bambina tra l'altro non bella, si potrebbe dire "banale" nei tratti somatici, ma appunto per questo molto realistica e toccante. E' inoltre ottima la scelta di Gilbey di tingere completamente di noir il finale del film, alzando il livello di conflitto all'interno della banda, umanizzando anche quella cioè, e allontanandosi così definitivamente da un territorio horror, nel senso di un viraggio fortemente "neorealistico" tuttavia ugualmente perturbante perché  appunto molto "reale". Si tratta cioè di una storia che potrebbe davvero accadere, o che accade già, o che è realmente accaduta e che spaventa molto il bambino-spettatore, senza il bisogno di ricorrere a espedienti sovrannaturali: la violenza è qui, tra noi, in un bosco scozzese, durante una festa di carnevale del villaggio (altra occasione di ottime sequenze che mi hanno ricordato certi racconti neogotici del nostro Eraldo Baldini, ambientati nei boschi dell'Emilia), oppure in un pub tra buoni amici che bevono una birra. Difetti? Certamente, ma sui quali si può ampiamente sorvolare, vedansi ad esempio l'uso eccessivo ed inutile del ralenty in molte sequenze d'azione, nonché il finale, ben costruito, ma che andava forse un pò più lavorato e pensato, perché raffredda la catarsi che tutti ci aspettiamo. D'altra parte che questi inglesi  fossero un pò algidi nei modi lo sapevamo. Per concludere una nota di merito per la protagonista, Alison (Melissa George) che avevamo già visto in gran forma in "Triangle" (2009) e in "30 giorni di buio" (2007): attrice da seguire perché sa interpretare ruoli "perturbanti" simultaneamente con leggerezza e intensità. Non dimentichiamoci poi, che il film ha un budget ridottissimo, attori non molto conosciuti e un regista altrettanto "minore", tutti elementi che non riducono comunque la qualità di "A Lonely Place to Die", che è opera sicuramente da vedere. 
Regia: Julian Gilbey Soggetto e Sceneggiatura: Julian Gilbey, Will Gilbey Fotografia:       Ali Asad Montaggio: Julian Gilbey, Will Gilbey   Musiche: Michael Richard Plowman     Cast: Melissa George, Ed Speleers, Sean Harris, Alec Newman, Eamonn Walker, Karel Roden, Kate Magowan, Gary Sweeney, Stephen McCole, Paul Anderson, Holly Boyd Nazione: Uk    Produzione:  Carnaby International, Eigerwand Pictures, Molinare Studio  Durata: 99 min.
  

10 commenti:

  1. anche per me un film fascinoso, con un'ottima protagonista. non strepitoso, però assolutamente valido

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  2. bello, mi è piaciuto ...Melissa George è una parecchio apprezzata nella mia bottega...

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  3. Angelo:

    E' che - Purtroppo - Il più delle volte non posso non pensarti.

    Che popolo di stronzi ignoranti.


    Cristian

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  4. @ Marco: sì, infatti non strepitoso, ma molto ben fatto.

    @ Bradipo: la Melissa è notevole: me la ricordo bene in "Triangle", molto molto brava.

    @ Cristian: ma a me fa piacere che mi pensi. Essere pensati, in fondo significa esistere. Il nostro popolo? Bè, forse occorre non fare di tutte le erbe un fascio, tuttavia, effettivamente, non è che siamo proprio ben messi...

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  5. Devo ancora leggere con attenzione la rece e lo farò a breve, ma questo film mi è piaciuto parecchio. Bellissime scenografie naturali e un buon impianto registico.

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  6. ma c'è con i sottotitoli?
    Melissa George è bravissima,si possono fare film horror e rispettare i personaggi,non ridurli a idioti manichini e carne da macello

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