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lunedì 22 dicembre 2014

[Rec]4 - Apocalypse, di Jaume Balaguerò (2014)


La giornalista Angela Vidal è sopravvissuta agli spaventosi eventi narrati nel primo film, [REC]. Quello che lei stessa e i soldati che l'hanno salvata e portata via dal condominio contaminato, non sanno è che nel corpo della ragazza si nasconde un parassita che si è subdolamente insediato dentro di lei. Dopo il salvataggio Angela si sveglia all'interno di una nave che sta solcando i mari di una zona isolata e sconosciuta. Nonostante la nave sia apparentemente un luogo sicuro e lontano dalla terra ferma, Angela e i superstiti dell'infezione non riusciranno facilmente a tenere a bada il contagio...

Il primo [REC] (2007) di Balaguerò e Plaza, è stata un'opera assolutamente innovatrice del genere mockumentary perturbante, genere fondato nel 1999 da Daniel Myric ed Eduardo Sanchez con The Blair Witch Project. Più volte ho descritto l'uso geniale della tecnica mocku come osservabile in una parabola storica molto ben delineata, a mio avviso, i cui punti di svolta, le cui pietre miliari sono ovviamente la Strega di Blair, e poi [REC], di Balaguerò e Plaza,  Cloverfield (2008) di Matt Reeves, il primo Paranormal Activity (2007) di Oren Peli, il notevolissimo, imperdibile The Bay (2013) di Barry Levinson, per poi giungere a quel capolavoro horror che porta il nome di Megan is missing (2011), di quel genio chiamato Michael Goi. Lungo questa parabola cinematografica sono presenti alcune varianti minori, non certo "pietre miliari", ma comunque interessanti, che ho peraltro segnalato qui, come ad esempio Afflicted (2013), di Lee e Prowse.

Il percorso sedimentativo, generativo, operato dal genere mocku percorre dunque il perturbante cinematografico contemporaneo da ormai molti anni, aprendo a sprazzi orizzonti emotivo-visivo inediti, squarci immaginativi e di linguaggio mai sperimentati prima, tutte evoluzioni che hanno preso varie forme più o meno riuscite (vedi l'ultimo, interessante e di cui prossimamente parlerò su questi schermi Exist -2014, di Eduardo Sanchez). Ora Balaguerò, allontanatosi da Paco Plaza per motivi suoi che non ci interessa qui ulteriormente indagare, decide di continuare la saga cominciata nel 2007, rompendo radicalmente con il mocku, quasi a voler dire: "basta, adesso facciamo cinema vero". A differenza dalla recensione della mia amica Lucia a [Rec]4, personalmente ritengo che l'errore più grosso del film di Balaguerò consista appunto nell'essersi allontanato dalle origini proprio nel momento in cui re-introduce Angela Vidal nel tessuto immaginifico filmico che va costruendo. Perbacco, Angela Vidal è una giornalista, che fa tutt'uno con il suo videoreporter, il quale per giunta ci lascia le penne nel primo film. Angela è una vera e propria icona del mocku. Che ci fa su una petroliera rugginosa in mezzo al mare, e in un "vero" film? Questa è la prima domanda che mi sono posto visionando questa pellicola. 

Quello di Balaguerò è dunque un tradimento, sventolato ai quattro venti come trasgressione e/o emancipazione da un genere (forse) da lui ritenuto ormai non più percorribile, fuori moda, fuori tempo massimo, o non so. Ecco quindi che riagguanta lo scettro del "vero" regista e muove la macchina, certo, con una certa scioltezza e insieme fermezza, ma per raccontare una storia che proprio come una barca in mezzo a flutti pericolosi, fa acqua da tutte le parti. Il primo buco, a prua, enorme, è costituito dal casting, che più scialbo e grigio non si poteva condurre. Un gruppo che ha una funzione esattamente contraria a quella coreica che dovrebbe avere, considerato che al centro del coro c'è lei, Angela, mica noccioline! L'equipaggio, invece, affossa le esigue capacità interpretative di una Manuela Velasco che era così vitale, fresca, autentica, giustamente cocciuta, nel primo [Rec], quanto è vuota, prevedibile, finta, in questa quarto capitolo. 

Neanche la storia gira come uno si aspetterebbe. Anzi prende subito strade di involuzione somma: e pensare che tra il primo e il secondo lungometraggio, Balaguerò e Plaza avevano disseminato negli script sufficiente materiale perturbante da poter poi far nascere alberi robusti, aldilà della parentesi anomala e a se stante di [Rec]3 Genesis (del solo soletto Plaza). Nasce invece un fragile Ficus Benjamin chiuso dentro una stanza senza luce. Ma vi ricordate la prima sequenza dell'attacco da parte della grassa signora nella camera da letto dell'appartamento in [Rec]? Se vogliamo continuare ad utilizzare metafore botaniche, quella sequenza era un'orchidea tropicale colta nella luce albeggiante della foresta pluviale brasiliana. Qui invece troviamo solo stereotipi coattivi dei soliti zombie che abbiamo visto in mille salse, forse ripresi dal noto videogame per bambini "Piante contro Zombies", appunto (al quale mio figlio che ha 9 anni gioca molto spesso con gran divertimento). Niente pathos, niente sorprese, tutto già visto.  

E' chiaro che Balaguerò vuole emanciparsi dall'ambiente che lo ha generato e fatto crescere, ma lo fa senza curare affatto il cambio di scena, cioè quella scena "altra" che è, a differenza del mocku, il Cinema classicamente inteso. Ma non si può uscire dalla serra in cui si è maturato un proprio "carattere" estetico, un proprio "idioma", pensando inopinatamente di lasciarsi indietro tutto, ma proprio tutto, quasi rinnegando questo "tutto", senza correre il rischio di avventurarsi su terreni che non si sono ancora ben coltivati, perdendo così, completamente, quella magia che l'antica serra manteneva in vita con le giuste temperature. Questo è ciò che succede a Balaguerò: perde con [Rec] 4 la "giusta temperatura emotiva" che era stato in grado di mantenere dal primo all'ultimo minuto nel primo, mitico, magico film. 

Ci troviamo quindi, semplicemente, dalle parti di un piatto film zombesco come tanti. Grigio com'è grigia l'inutilmente verdognola fotografia di Pablo Rosso, bidimensionale come lo sono tutte (tutte!) le interpretazioni degli altrettanto bidimensionali attori. 

Tacerò sul prefinale con il verme-demone che passa da un corpo all'altro come una Tenia improbabile quanto ridicola.

Un vero peccato.

E anche, in verità, una presa in giro grossolana non solo di fan e sotto-fan che tanto attendevano questa quarto capitolo della saga, ma dello spettatore genericamente "normotipico", neanche tanto acculturato, ma quanto meno alla ricerca di una sensazione perturbante che questo film non sa dare nemmeno per un secondo. 

Torniamo al mockumentary classico. Torniamo a Sanchez e compagni, grazie. 

Regia: Jaume Balaguerò   Soggetto e Sceneggiatura: Jaume Balaguerò, Manu Dìez  Fotografia: Pablo Rosso   Montaggio:David Gallart   Musiche:Arnau Bataller   Cast: Manuela Velasco, Hèctor Colomè, Marìa Alfonsa Rosso, Mariano Venancio, Ismael Fritschi, Crìspulo Cabezas, Paco Manzanedo Nazione:Spagna  Produzione: Filmax, Somnium Films  Durata: 96 min.  

2 commenti:

  1. A me è piaciuto. Non un gran film, e un film molto facile, uno con il curriculum di Balaguerò può farlo a occhi chiusi, i personaggi sono poco interessanti e la trama ancora meno, ma è un horror vecchio stampo agile e veloce, l'ho guardato con piacere e mi sono divertito. Un niente di che carino. :)

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  2. @ Simone: sì, immagino che possa piacere questo film. Anche Lucia ne ha scritto bene (ecco perchè l'ho linkata). Secondo me invece il materiale che aveva sotto mano Balaguerò, a partire dal primo [Rec] poteva essere lavorato decisamente, ma decisamente meglio. Perché trasformare il tutto in un puro film di zombie? Perchè non ritornare al marchio così originale che imprimeva il primo film su tutta la cinematografia perturbante europea? Boh.

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