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giovedì 10 maggio 2012

The Divide, di Xavier Gens (2011)


Un improvviso attacco nucleare alla città di New York obbliga un gruppo di residenti di un condominio, a rifugiarsi in una cantina dell'edificio. Gli otto sopravvissuti saranno costretti ad abituarsi a condizioni di vita estreme, soprattutto sul piano della dinamiche psicologiche che si verranno a creare tra loro. Fuori dal loro rifugio il mondo è cambiato, e un'entità maligna farà di tutto per portare a termine il suo disegno di distruzione...

Uno Xavier Gens così intenso, ispirato, generatore di tale estesa e profonda materia di riflessione estetico filmica, non lo si era mai visto. Tantomeno dai tempi di "Frontier(s)" (2007), attraverso il quale aveva già dato comunque una scossa adrenalinica non da poco al cinema horror europeo. In quest'ultimo "The Divide", Gens va ben oltre se stesso: cresce, matura, sviluppa poetiche visive e narrative di notevolissimo spessore, aiutato dalla mano di ferro di due sceneggiatori, Mueller e Sheean, che costruiscono un binario stilistico insieme geometricamente coerente e fluido, binario su cui Gens fa avanzare la locomotiva di una storia drammatica e molto, molto perturbante. Più che "avanzare" dovremmo in verità usare il verbo "regredire", perchè il regista francese mette in scena le tappe di una regressione gruppale, graduale ma inesorabile, verso il buio della perversione e della destrutturazione di ogni legame civile e affettivo tra esseri umani. Oltre agli sceneggiatori, Gens ha dalla sua parte anche l'evocativo montaggio di Carlo Rizzo, che mai come in questo film risulta fondamentale elemento tecnico rispetto alla resa emotiva dell'intera storia. Non dimentichiamoci che il film dura ben 112 minuti, un tempo infinito per un film di questo tipo; tuttavia Rizzo riesce a concatenare sequenze e inquadrature in modo "liquido" e tale da dare la percezione del tempo che passa, sottolineando con grande maestria i passaggi cruciali della regressione del gruppo, da uno stato per così dire "civile", ad uno "psicotico-animale". L'alternanza sapiente di campi medi e primi piani sui volti dei personaggi, che contrappuntano gli intensissimi dialoghi, rendono poi Gens personaggio di primo piano nel panorama cinematografico odierno. Ma è bene che ricordiamo la storia, che parte subito in quarta, con i nostri otto eroi: Mickey, ex-militare fascistoide ma previdente, che si è ricavato un rifugio antiaereo nella cantina dell'edificio in cui abita. Qui riusciranno a troveranno rifugio (nella lunga sequenza iniziale apocalittica della fuga di massa giù per le scale del condominio) Eva e il suo fidanzato Sam, Josh e suo fratello Adrien, Bobby, amico di Josh, Marilyn, sua figlia Wendi e da ultimo Devlin. Mickey (un Michael Biehn in stato di grazia assoluta, soprattutto nella sequenza agghiacciante in cui verrà torturato, legato ad una sedia a rotelle, dai suoi ospiti), sigilla la porta, per evitare la contaminazione da radiazioni, ma poco dopo irrompono nel rifugio alcuni soldati armati e coperti da tute anticontaminazione. Non si tratta tuttavia dei salvatori, bensì dei veri nemici, al punto che rapiscono Wendi, la bambina, strappandola dalle braccia di Marilyn, sua madre. Questo incipit è il vero pilastro narrativo su cui si appoggia e si evolve in spirali sempre più dense, lo script. Uno script che parte, appunto da un distacco violento, traumatico e irreversibile tra madre e figlia, e che ci srotola davanti il naufragio di una convivenza umana in condizioni di sopravvivenza. Un sopravvivere minato dagli effetti pulviscolari delle radiazioni, che lentamente cominciano ad infiltrarsi nei corpi dei nostri personaggi, causando visibili e terribili danni, che sono comunque minori dei danni psicologici determinati dalla coabitazione claustrofobica. Come sappiamo i temi del corpo e del suo dolore, sono due capisaldi stilistici del cinema horror francese (si veda lo stesso "Frontier(s), ma anche e soprattutto "Martyrs" (2008) di Laugier e "A l'interieur" (2007) di Bustillo e Maury). Anche qui l'area corporea è centrale. Il corpo è torturato e amputato (quello di Mickey); è usato come oggetto sessuale perverso-maniacale (quello di Marilyn); è utilizzato come cavia animale da esperimento (quello di Wendi); è oggetto di degradazione biologica a causa delle radiazioni; è oggetto di smembramento con finalità antropofagica. Un corpo totalmente identificato con l'Io soggettivo dell'individuo (nella miglior tradizione horror francese, ribadisco) e attraverso il quale viene perpetrato l'annichilimento di ciò che è umano. Un corpo-metafora, quindi, un corpo che ospita in sè il seme della barbarie, in una gestazione che attende solo alcuni requisiti ambientali particolari per manifestarsi come barbarie pura, mortifera. In questo senso la sequenza pornografico-perversa in cui è coinvolto il corpo di Marilyn, è magistrale e diretta in un modo che definirei semplicemente sublime, oppure poetico, declinato in modalità perturbante. Gens si assume la notevole responsabilità artistica di rappresentare la violenza assoluta che alberga nell'umano, laddove certe condizioni ambientali consentano il suo proliferare, a partire dalla metafora nucleare iniziale, per poi indagarla sul piano della psicologia-etologia dei gruppi umani posti in condizioni di vita estreme. Il risultato è davvero ottimo, sotto tutti i punti di vista, in particolare l'utilizzo di un cast superbo, molto espressivo, a tratti dolente, sempre al centro della storia in ogni sequenza, illuminata dalle luci radenti e drammatiche di Laurent Barès. Il finale molto adrenalinico è condotto con un uso del climax sorprendente, e consente molte letture possibili, aprendosi a interpretazioni multiformi, poichè poi il film stesso rimanda a sottotesti molteplici, che in questa sede sarebbe troppo lungo descrivere in dettaglio (ma possiamo approfondire il discorso nei commenti). Da queste parti, come sapete, la parola "capolavoro" non si usa praticamente mai, perchè appare pomposa, e, come direbbe Gadda, "tonitruante". Allora dirò che "The Divide" è un film molto ben fatto, anche se nella mia mente è circolata per un attimo la tentazione di usare proprio quella parola. In ogni caso, il film è assolutamente da non perdere, mettiamola così.
Regia: Xavier Gens  Soggetto e sceneggiatura: Karl Mueller, Eron Sheean Fotografia:     Laurent Barès  Montaggio:  Carlo Rizzo  Cast: Michael Bihen, Rosanna Arquette, Courtney B. Vance, Lauren German, Michael Eklund, Ivan Gonzales  Nazione:Canada, Germania, USA      Produzione: Instinctive Films, Preferred Content, BR Group  Durata: 112 min. 


9 commenti:

  1. Una lettura interessante. Devo dire che, pur ritenendolo un buon film, non mi aveva proprio entusiasmato. Per carità, buona la fattura e gli interpreti, ma mi era sembrato un pò derivativo e grossolano. Del resto era la stessa impressione che avevo avuto con "Frontier(s)": prendere un tema piuttosto abusato ed "urlarlo", estremizzando la messa in scena. Evidentemente lo stile di Xavier Gens non è troppo nelle mie corde. Condivido comunque il giudizio sul momento felice che sta vivendo il cinema francese nel campo del perturbante (ad avercene noi in patria di gente così...). In ogni caso la tua recensione qualche elemento di rilessione in più me lo ha fornito ed è probabile che lo rivedrò. Certo una cosa mi aveva impressionato già alla prima visione: subito dopo la fine, ne ho rivisto infatti i primi minuti e, nel confrontare i diversi personaggi fra l'inizio e la fine del film, ho provato un senso di estraniamento. Incredibilmente, per quanto distanti quasi anni luce nelle fattezze, gli attori ed i personaggi sono gli stessi. Nei comportamenti, atteggiamenti si intravedono già i barlumi di imbarbarimento a cui si andrà incontro gradualmente durante il film. Solo che all'inizio ci paiono normali e alla fine ne avremo un quadro chiaro e sconvolgente. Forse è qui che dopotutto il film contiene un elemento di originalità: mostrare aspetti individuali e relazionali propri di un gruppo sociale i quali, estremizzati da particolari condizioni al contorno, portano lentamente ed inesorabilmente alla rovina ed all'autodistruzione. Dimostrando che non dobbiamo cercare troppo lontano da noi i semi del male. Forse dovrò in parte rivedere il mio giudizio iniziale. Bè, serve a questo il confronto, no?
    Grazie e a presto.

    P.S.: i miei post proseguono come da programma (ultimo nell'ordine: La Cosa, che mi ha portato via un pò di lavoro... troppe cose da dire... Fammi sapere che ne pensi)

    Jena

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  2. anche a me è piaciuto particolarmente. e pure partivo senza troppe aspettative...
    dal capolavoro però siamo lontani, dai :)

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  3. Mi sto preparando mentalmente a vederlo e se già avevo aspettative enormi, adesso devo anticipare la visione.
    Anche io non apprezzai moltissimo Frontiers, però aveva il suo perché.
    Ansioso di vederlo, poi, magari, ne parliamo!

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  4. Angelo:

    Punto la penna sul foglio e sollevata l' agito affinchè fuoriescano fiotti d' idee.
    Mi sento come il copista che avrebbe molto da dire, se vorrai, eventualmente, sarai il primo a sapere.

    Cristian

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  5. @ Jena: a me "Frontier(S)" era piaciuto molto, invece, soprattutto per il link con tematiche sociali, nonchè per la regia in sè, sapiente, e creatrice di nuove atmosfere enigmatico-perturbanti. Vero poi quello che dici sulla trasformazione dei personaggi, che a un certo punto, rispetto all'inizio, non li riconosci più, proprio fisicamente, a testimonianza della modalità regressiva in atto. Solo Mickey ed Eva, rimangono uguali a se stessi, per motivi che si capiscono solo guardando il film, e per ciò che essi rappresentano. D'altra parte, come scrivo anche nella recensione, l'uso del corpo come rappresentante simbolico di trasformazioni psichiche, è un "topos" del cinema horror francese, che forse bisognerebbe studiare meglio (è come se i francesi ci dicessero che a un certo punto non ci sono più parole per descrivere l'orrore, e allora entra in scena il soma e il linguaggio del corpo sofferente. Potremmo allora, forse dire che il cinema horror francese è un "cinema psicosomatico"? Forse sì, forse no, non so, però il tema è interessante).

    @ Marco: infatti ho parlato solo di mia "tentazione" nel definirlo un capolavoro. Ma la mia tentazione l'ho confessata, quindi attendo la vostra assoluzione :)

    @Eddy: dicci quel'è "il perchè", Eddy. Lo sai che siamo curiosi :)

    @ Cristian: come al solito, a disposizione! :)

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  6. Angelo:

    E' da qualche giorno che "Studio".
    Mi spiego meglio, cerco, in qualche modo, di ragionare come altri, discostandomi da una cristallizzazione mentale che reputo dannosa, e, credimi, avverto il pensiero "Slegarsi".
    E' proemio d' intenti da confortare col tempo che verrà, ma, diciamo, avrei in cantiere il progetto di qualche idea che al momento è solo teorica.
    Vedremo : )

    Cristian

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  7. Diciamo pure che lo sfondo sulle rivolte delle banlieu era molto ben congegnato. Mi piaqque, di Frontiers, la "violenza sopra la violenza" che superava i confini del sociale. Peccato che poi si stravaccava in una serie di inutili rimescolamenti di genere.

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  8. The Divide rimanda aIl Signore delle Mosche, qui adulti là ragazzini, qui pochi lì molti, ma la stessa precipitazione allo stato selvaggio, a quell'animalità priopria dell'essere umano, che si risveglia in situazioni estreme di compressione psicologica. Paranoia, follia, regressione.
    A differenza del bellissimo Frontier(s), qui Gens sembra trattenuto, e non riesce ad andare oltre, e quindi la rappresentazione della discesa agli inferi non è mai estrema quanto avrebbe potuto, c'è una soglia che pare insuperabile, che blocca, e che in Frontier (s), non v'era.
    Non è, per me, assolutamente un capolavoro, The Divide. E' un buon film. Un capolavoro è Martyrs, tra tutto il cinmema horror francese finora visto.

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